Itinerario poetico di via Roma
Perché via Roma e non via Rocco Scotellaro?
Via Roma è la strada dove abitava Rocco Scotellaro. Quattro luoghi di questa via hanno ispirato altrettante poesie, e qualcuna, secondo me, è tra le sue più belle. La lettura delle poesie di Rocco Scotellaro mi riporta a luoghi di Tricarico e a situazioni di quando Rocco era vivo ed è il modo che ho di ritornare a Tricarico, la mia è una lettura che m’ispira questo sentimento.
Questa che ora compio è una passeggiata per la strada di Rocco, via Roma per l’appunto. E’ una passeggiata che compio leggendo non quattro ma sette poesie: non sono tutte le poesie che possa ricordare via Roma, ma quelle che hanno accompagnato questa mia ideale passeggiata.
Sopportico delle api il primo amore
Il primo luogo che si incontra percorrendo via Roma dalla piazza è il Sopportico delle Api. Chi saprebbe più indicare con sicurezza questo sopportico, tra i tanti che uniscono via Roma al piano a destra e al Monte a sinistra? Non ci sono più targhe ( o almeno in tale condizione avevo lasciato Tricarico) che indichino i nomi delle nostre vie e dei nostri vicoli. Le due piazze e le vie principali di Tricarico erano indicate con normali targhe; gli innumerevoli vicoli, invece, con scritte in vernice nera su uno sfondo di intonaco quadrato o rettangolare. L’amministrazione del mio carissimo e compianto amico Benito Lauria rifece tutta la segnaletica, con targhe eguali (e dunque secondo un criterio democratico) formate di piccole mattonelle bianche, di quelle che si adoperavano per bagni e cucine senza pretese (e dunque di estremo rispetto per le casse comunali). Tecnicamente si rivelò una scelta sbagliata. Col tempo, una alla volta, dove tutte dove in parte, le mattonelle si sono staccate. Al sopportico delle Api non è rimasta una. Uno scempio.
Quel budello ha ispirato una bellissima e tenera poesia a Rocco, che racconta un suo amore giovanile, anzi il suo primo amore. Gli amori delle vecchie generazioni dei ragazzi tricaricesi si vivevano e crescevano alla macchia, segretamente, nei luoghi più impensati e inaccessibili. Impensabile e inaccessibile era certamente il Sopportico delle Api, dove il Poeta fa rivivere il suo primo amore in una stalla con una cugina dai seni sterpigni. Erano invece ben floridi i seni delle sue cugine, e la macchia è fatta rivivere anche in un depistaggio anatomico. Teneri gesti d’ampre di due ragazzi e le ombre dei loro corpi in fuga gettate dall’improvviso arrivo del mulatiere con la lanterna per dare la biada ai muli.
Ho il torto di non essermi mai preoccupato di informarmi su quella strana dedica alle api del sopportico, che con le api suppongo non abbia e non possa mai aver avuto nulla a che fare. Si può ora vedere sul sito del Centro di documentazione Rocco Scotellaro elencato tra i luoghi scotellariani un «sopportico dei lapi». Ma non so cosa sono o chi sono questi “lapi”.
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Nel trigesimo di mio padre
Il sopportico è a circa cinquanta metri dalla casa di Rocco. Le volte che sono tornato a Tricarico la porta era sempre chiusa e richiamava alla memoria la poesia che Rocco scrisse per il trigesimo del padre. Una sera le famiglie sedevano dopo cena ai gradini delle porte a paralare dei morti e dei nati in quell’estate in corso. Passava un contadino sul mulo e salutava i suoi compari. Una porta era deserta – la porta di Vincenzo Scotellaro, il padre di Rocco, morto mese un mese prima
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Suonano mattutino
La casa di Rocco Scotellaro sembra arrampicarsi, come tutte le case di via Roma, strada a metà del fianco del monte. A pian terreno il lavatotio, da dove una scala conduce alla stanza del focolare con la faccia di Francesca Armento, sua madre al focolare, e salendo un altro livello della casa. A quel livello c’è, o c’era una piccola stanzetta, che sembrava la cella di un monaco. Un lettino, un tavolo, due sedie, una piccola libreria: lì Rocco studiava, scriveva, dormiva. Da quella stanzetta una porticina immetva in un viottolo, «lungo budello», che congiunge via Roma, al Monte. Quando ancora era notte lungo quel viottolo cominciava la “processione” dei mietitori e dei contadini che si recavano al lavoro. I ferri dei muli sulle selci svegliavano Rocco, suonavano mattutino.
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Per il camposanto
Erano miei ospiti per una visita a Tricarico Pierluigi Bersani, che allora era assessore della regione Emilia-Romagna e la moglie. Un pomeriggio percorremmo all’inverso il primo tratto della fuga di Rocco alla vigna del padre nell’Uva puttanella. «Uscii per la seconda porta di casa, che mena alla parte a monte del paese; con la borsa che avevo, ognuno, dallo spiazzo di Sant’Angelo fino in campagna, mi chiese con meraviglia dove andavo…». Terminata la discesa del lungo budello viottolo incontrammo Antonietta, la sorella di Rocco, seduta davanti la porta con un paio di amiche. Mi feci riconoscere, feci riconoscere mia moglie e la presentai ai Bersani. Antonietta ci invitò a salire. Provai una grossa emozione. Ero stato in quella casa, l’ultima volta, nel 1958, alla morte di Nicola Scotellaro. Il focollare era spento e portava i segni di non essere più in uso, tutto l’ambiene s’era spento col focolare, portava i segni della morte. Ebbi un groppo alla gola.
Antonietta ci fece accomodare attorno a un tavolo e ci offrì un amaro lucano. Mi venne in mente la poesia Per il camposanto. Rocco quella poesia la leggeva spesso agli amici. Durante la passeggiata, passa indifferente davanti al cancello del camposanto, ma si pente e chiede scusa al padre. Scusami se non ti saluto. E ricorda quando, ragazzino, tornando accaldato, con l’affanno per le scale fatte di corsa dal lavatoio alla stanza del focolare, c’erano “ospiti e forestieri”, dove noi eravamo seduti, e non salutava. Il padre di Rocco, severo, levava il braccio e, con l’indice puntato, lo rimandava indietro: «Fuori! Esci fuori! E poi torna e dici: buonasera».
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Mio padre
Nel corso della conversazione, Antonietta, parlando delle varie celebrazioni e rappresentazioni teatrali, televisive e cinematografiche su Rocco, ebbe a lamentarsi, risentita, perché il padre veniva ricordato come ciabattino. Non era un ciabattino papà, protestava, era un maestro d’arte. Le dissi che ciabattino era un modo poetico di ricordare il padre e onorarlo come maestro. Lo chiamavano ciabattino rifacendosi a una poesia di Rocco, che per la prima volta fu letta alla radio svizzera, dove Rocco il padre lo chiama ciabattino e lo chiama maestro (/Mio padre misurava il piede destro /vendeva le scarpe fatte da maestro / nelle fiere piene di polvere/ …/ Allora non sperò più/ mio padre ciabattino/ …).
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Vico Tapera
Dirimpetto alla casa di Rocco Scotellaro, dalla parte che scende al Piano, è vico Tapera. Vicolo non cieco ma senza sbocco: in ripida discesa finisce in una specie di buco, senza collegare via Roma al Piano.
Sopportico delle Api, sul versante verso il Monte, e Vico Tapera sul versante opposto, sono i luoghi più “brutti” tra i vicoli di via Roma. A Rocco, che ci passava davanti tutti i giorni, hanno ispirato due bellissime poesie. Vico Tapera, per me, è una tra le sue più belle, un pezzo dell’anima tricaricese. Ogni volta che la rileggo è come se la leggessi per la prima volta e mi commuovo
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Il garibaldino novantenne
Via Roma termina alla Porta del Monte in un piccolo spiazzo, dov’era la casa del veterinario don Vincenzo Benevento. Chi può più sapere che in quello spiazzo il vecchio garibaldino novantenne veniva portato su una sedia, avvolto anche in piena estate in un mantello di lana grigioverde, come in fotografia si vedono indossati dai soldati della prima guerra mondiale, a prendere il sole? Ho un vivo ricordo di lui, immobile e inespressivo come una statua di neve. Quando rileggo questa poesia, ora che sono passati tanti anni e conosco l’effetto dei betabloccanti, che regolano la mia pressione agendo sul sistema circolatorio periferico e sento i piedi freddi come la neve e facendo per riscaldarli, sfregandoli, desisto, perché li sento caldi come il fuoco, mi chiedo: come facesse Rocco, un ragazzo poco più che ventenne, a conoscere queste sensazioni del corpo di un vegliardo (era più caldo lui del bue nella stalla, /era più freddo lui della statua di neve).
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