Questa sera a Tricarico, presso il palazzo Lizzadri, sarà inaugurata una mostra fotografica dei maestri Henri Cartier-Bresson, Mario Cresci, Aldo Marinetti e Arturo Zavattini. Ci informa Vito Sacco con un articolo su Oltrefreepress. Si tratta di 26 delle fotografie che Cartier-Bresson scattò nei suoi due soggiorni in Basilicata, nel 1951-1952 e nel 1973 e donate alla Città di Tricarico, sindaco Pancrazio Toscano, nel 1985 tramite Rocco Mazzarone; di immagini donate da Cresci alla Città di Tricarico negli anni 1960-1970, quando il fotografo, nativo di Chiavari (Genova), aveva avviato un’intensa ricerca etno-fotografica; di una selezione di 15 fotografie che Marinetti scattò in Basilicata tra il 1996 e il 2007, pervenute alla Città di Tricarico da una donazione dell’autore, in seguito alla mostra “L’uomo lo spazio il tempo”, curata da Cataldo Colella e allestita nel 2009 a Palazzo Lizzadri; infine, di 60 fotografie, sulle 150, che Zavattini scattò a Tricarico, in primo luogo nella Rabata, al seguito della prima sistematica spedizione etnografica condotta nel giugno 1952 da Ernesto De Martino e che l’autore, nel cinquantenario della morte di Rocco Scotellaro, ha donato al Centro di documentazione “Rocco Scotellaro e la Basilicata del secondo dopoguerra”. In occasione dell’apertura della mostra fotografica, sarà esposta la scultura in cartapesta “Contadini che ballano”, realizzata, nel 1970, dal pittore, scultore e incisore Vittorio Basaglia (nato a Venezia il 19 agosto 1936 e morto a Valeriano di Pinzano del Friuli, Udine il 25 febbraio 2005) in collaborazione con il cartapestaio materano Nicoletti, recentemente fatta restaurare dal Centro di documentazione. La scultura fu donata in quello stesso anno alla Città di Tricarico da Aldo Musacchio, coordinatore del gruppo di urbanisti del “Politecnico” che redasse il Piano regolatore di Tricarico, a fine anni Sessanta e poi quello di Matera, formato, tra gli altri, dallo stesso Basaglia, dal fotografo Mario Cresci e dall’architetto veneziano Ferruccio Orioli, al quale si deve il progetto dell’attuale municipio. Nei locali di Palazzo Lizzadri, infine, sarà aperta anche la mostra di arte presepiale di Pinuccio Dabraio. La serata sarà completata da Antonio Dambrosio Ensemble che, in piazza Garibaldi, alle ore 21.30, presenterà “Sempre nuova è l’alba. Omaggio in musica a Rocco Scotellaro”. Le esposizioni rimarranno aperte al pubblico fino al 31 agosto 2011 e potranno essere visitate tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20.

 

Io sono in vacanza a Klobestein, Renon e manco da Tricarico dal 2004. Al mio doloroso distacco dedico il passo che segue di Leonardo Sinisgalli e la poesia di Rocco Scotellaro Passaggio alla città. Questa poesia fu scritta nel 1950, molto probabilmente nel mese di maggio, dopo l’assoluzione dalla vergognosa accusa che costò a Rocco Scotellaro circa due mesi di carcere e le dimissioni da sindaco, alle quali – cosa che non s’è voluta dire – fu costretto.

Il distacco

 

Io dico qualche volta per celia che il ponte sull’Agri crollò un’ora dopo il nostro transito; mi convinco sempre più che tutto quanto mi è accaduto dopo di allora non mi appartiene, io sento di non aderire che con indifferenza al mio destino, mi convinco sempre più che tutto quanto mi è accaduto dopo di allora non mi appartiene, io sento di non aderire che con indifferenza al mio destino, alla spinta del vento, al verde al rosso. Io so che la morte arriva all’ora prescritta; … io so di essere stato tradito per tutta la vita uscendo fuori dalle mie dolci mura, io che non ero innamorato di carte e stampa… e volevo semplicemente perire dentro la mia aria. Forse siamo pochi a lamentarci di non sapere più trovare una patria fuori dalle nostre mura.

 

Belliboschi, Mondatori, 1979, p. 161 ss.

PASSAGGIO ALLA CITTA’

Ho perduto la schiavitù contadina,
non mi farò più un bicchiere contento,
ho perduto la mia libertà.

Città del lungo esilio
di silenzio in un punto bianco dei boati,
devo contare il mio tempo
con le corse dei tram,
devo disfare i miei bagagli chiusi,
regolare il mio pianto, il mio sorriso.

Addio, come addio? distese ginestre,
spalle larghe dei boschi
che rompete la faccia azzurra del cielo,
querce e cerri affratellati nel vento,
pecore attorno al pastore che dorme,
terra gialla e rapata
che sei la donna che ha partorito,
e i fratelli miei e le case dove stanno
e i sentieri dove vanno come rondini
e le donne e mamma mia,
addio, come posso dirvi addio?

Ho perduto la mia libertà:
nella fiera di luglio, calda che l’aria
non faceva passare appena le parole,
due mercanti mi hanno comprato,
uno trasse le lire e l’altro mi visitò.

Ho perduto la schiavitù contadina
dei cieli carichi, delle querce,
della terra gialla e rapata.

La città mi apparve la notte
dopo tutto un giorno
che il treno aveva singhiozzato,
e non c’era la nostra luna,
e non c’era la tavola nera della notte
e i monti s’erano persi lungo la strada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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