Il sarto, Il barbiere, Minco cantiere salariato, Il contadino, Il calzolaio, Il figulo,

Il falegname, Il muratore, La carogna, Il lutto

 

 

Nove dei dieci epigrammi, escluso La carogna, sono stati pubblicati da F. Vitelli in Un poeta come Scotellaro, Edizioni della Cometa, Roma 1994.

Vitelli, in Nota al testo dell’Oscar Mondadori di tutte le poesie di Rocco Scotellaro, p. xxxv, da cui ricavo questa nota, riferisce che gli epigrammi, pervenuti in due fogli dattiloscritti non autografi, portano il titolo complessivo Paese, assegnato da Levi. In effetti si trovano delineate figure tipiche cui corrisponde un mestiere, ovvero, in due casi (La carogna e Il lutto) la condizione di immobilità e frustrazione del mondo contadino. Concetto, quest’ultimo, che si trova espresso in La ginestra con più fedele aderenza al detto popolare («Le fatiche, e le spighe e le viti in gola al vento»). Visti insieme, gli epigrammi farebbero pensare a una composizione concentrata in un tempo limitato, quasi per l’esecuzione di un preciso progetto.

La carogna è pubblicato con varianti in una lettera ad Amelia Rosselli, in Franco Vitelli, Il granchio e l’aragosta. Studi ai confini della letteratura, Pensamultimedia, Lecce 2003, p. 182. Il testo variato, preceduto dai seguenti passi, «Ti scrivo – forse lungamente – perché è la stessa sera – mezzanotte – ho bevuto un poco, mi concilio facilmente col mondo. Forse non vivo, ho trovato scritto su un appunto «at twenty». E sono folle di una gioia non mia»,  è: Menarmi in terra preso in tanto sonno// che la carne mi abbandoni //come alla carogna// beata al sole.

 

 

 

Il Sarto

Volta e rivolta

puzzano di naftalina

gli abiti americani

 

[Dopo la Liberazione dai parenti in Americana in ogni famiglia arrivavano pacchi di abiti dismessi pieni di naftalina. Tutte le famiglie avevano parenti in America. E anche noi, che indossavamo quegli abiti, puzzavamo di nafatalina.]*

 

 

 

Il barbiere

Ogni casa un barbiere

o un quarto di grano

per tutto l’anno ai soli contadini

 

[Coi barbieri si stipulava un abbonamento annuale. Un quarto di grano, si dice in questo epigramma. S’intende un quarto di tomolo. Il tomolo era una misura agraria, frazionata in stoppelli; lo stoppello era anche un contenitore di legno per la misura delle derrate, in particolare del grano. Uno stoppello equivaleva a 1/8 di tomolo, e conteneva circa 7 chili di grano. Dute stoppelli formavano un quarto.]*

 

 

 

Minco cantiere salariato

Io lavoro, lavoro, lavoro

con l’orologio di Basilicata

da sole a sole

 

 

 

Il contadino

Quattro di foglie e cinque di minestra

La terra grande quanto una finestra.

 

 

 

Il calzolaio

Rocco Magro senza lavoro,

va a bottega di affitto,

senza capitale, e scarpe fatte,

qualche cosa vecchia da accomodare

 

[Del calzolaio Rocco Magro c’è una fotografia di Arturo Zavattini; si veda Arturo Zavattini, fotografo in Lucania, in Lucania, a cura di Francesco Faeta, Federico Motta Editore, Milano 2003 (Vitelli, Nota cit., p. xxxvi)]

 

 

 

Il figulo

Uricchio Rocco fu Nicola

senza lavoro, disoccupato.

Lavora a mano, figulo.

Nessuno fabbrica e non vende niente.

 

 

 

Il falegname

Noi poveri  artigiani

a colpi di tasse e ferme le mani.

La penicillina ci voleva,

siamo quaranta, nemmeno una bara:

un morto a settimana.

 

 

 

Il muratore

Manco i giorni buoni a fabbricare:

statti in piazza a vedere

quanto è alto il sole.

 

 

 

La carogna

Menarmi  in terra preso in tanto sonno

che la carne infine mi abbandoni.

C’è una carogna beata al sole.

 

 

 

Il lutto

E’ stato tutto inutilmente

i sacrifici in canna al vento.

 

 

 

*Nota del blog

 

 

 

 

2 Responses to Dieci epigrammi di Rocco Scotellaro

  1. Giuseppe De Rinaldis ha detto:

    Caro Antonio, non riesco ad evitare di commuovermi al leggere le preziosità che questo giovane bravo poeta ha lasciato a tutti noi, ed ammiro e apprezzo infinitamente la tua nobile dedizione nel portare a conoscenza del grande pubblico della rete questi stupendi scritti di Rocco Scotellaro.

  2. antonio torre ha detto:

    Per quanto mi riguarda farei un monumento in onore di Scotellaro. Perdonate la mia ignoranza se già c’è. Di fatto ho da qualche giorno conosciuto parte (piccola) della sua opera. Ma un grande poeta si riconosce subito. E’ necessario fare conoscere la sua voce come ad esempio quella di Leonardo Sinisgalli ed Alfonso Gatto.

    Antonio Torre

    torreanton@tiscali.it