Alle 10 trascrizioni (versioni in lingua) di canti popolari, nell’Oscar 2004[i] seguono quattro stornelli datati 1947: 1. Canta l’assiolo, 2. Canta civetta, 3. Canta fontana, 4. Canta mio tamburo.

Canta l’assiolo e Canta civetta sono quartine con un quinario d’inizio, rinnovato in chiusura, intervallati da due endecasillabi; Canta fontana e Canta mio tamburo sono componimenti tristici con quinario d’inizio e due endecasillabi. Lo stornello, forma di canto popolare italiano contenente l’invocazione generalmente a un fiore, a una pianta o a un vocativo in genere, nato probabilmente in Toscana non prima del 17° secolo, per la facilità dell’improvvisazione è molto usato nelle gare poetiche popolari.

Bronzini[ii] degli stornelli di Scotellaro scrive: «Nella scabrosità contadina dei suoi versi, Scotellaro è attento, più di quanto si creda, all’armonia di sottofondo del canto improvvisato. Lo dimostra nel fine lavoro di ricreazione letteraria nei componimenti A 67, 68. 69, 70[iii], dove alla tradizionale invocazione al fiore, divenuta oleografica nel quinario di inizio, ha sostituito nei suoi testi in lingua un’apertura di ‘cantata’ con motivo d’animale o d’altro – Canta l’assiolo … – che, a differenza del consueto avvio floreale (Fior di …), si collega col motivo personale e reale svolto nei due successivi endecasillabi».

1.

Canta l’assiolo

la notte sempre mi fai tanto male

col fischio mio quaggiù son tutto solo

Canta l’assiolo.

 

2.

Canta civetta

se non mi pensi sei una gatta

che vai facendo amore nella stretta.

Canta civetta.

 

3.

Canta fontana

oh tu, possa baciare la mia pena

scende tant’acqua che sembro una rana.

 

4.

Canta mio tamburo

a questa cafoncella amara

che non capisce quale amore è puro.

[1947]

 

L’assiolo, col suo monotono grido chiù chiù, che si ode nei campi durante le notti estive, ha ispirato a Giovanni Pascoli una poesia (L’assiuolo), compresa nella raccolta Myricae. In una notte di luna, ma velate di nubi qua bianche e là nere, una voce dai campi, un singulto, un pianto di morte: il verso dell’assiuolo. Si ripete tre volte, a chiusura di ognuna delle tre strofe di versi novenari chiuse dal verso dell’assiuolo –  chiu -, che rima col sesto verso d’ogni strofe: – da un nero di nubi laggiù – com’eco d’ un grido che fuche forse non s’aprono più? –

 

L’assiuolo

di Giovanni Pascoli

Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù…

 

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù…

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?…);
e c’era quel pianto di morte…
chiù…

 



[i] Rocco Scotellaro, Tutte le poesie – 1940 – 1953, Oscar Mondadori 2004

[ii] Giovanni Battista Bronzini, L’universo contadino e la poesia di Rocco Scotellaro, Edizioni Dedalo, Bari 1987, p. 199

[iii] Sono i quattro stornelli secondo la classificazione de L’universo contadino cit.

Tagged with:
 

Comments are closed.