C’est la question qu’on inflige

Sfogliavo L’Ordine, periodico della Democrazia Cristiana degli anni 1944 – 1946[i], quando casualmente l’occhio è caduto su un trafiletto che annuncia la costituzione della sezione della Democrazia Cristiana di Tricarico, avvenuta il il 23 marzo 1944. Risultarono eletti per il consiglio direttivo: Paolo Vulterini, presidente; Nicola Mazzone, vice presidente; Rocco Perrone, Michele Armento, Rocco Minichino, Pancrazio Cellini, Paolo Infantino, Antonio Toscano, Rocco Montesano, Rocco Capobianco, consiglieri; e Giuseppe (detto Umberto) Lauria, segretario. Ignoravo o non ricordavo che il mio carissimo amico Umberto Lauria fosse stato democratico cristiano. Egli è stato un uomo di fede socialista seppure di sobria militanza, forse alla D.C. aderì per senso di amicizia verso Paolo Vulterini, ma sicuramente lasciò presto il partito, che negli anni successivi avrebbe visti impegnati in posizioni di responsabilità i suoi fratelli minori Benito e Gino.

Ho conosciuto tutti i membri del primo consiglio direttivo della DC tricaricese, di cui io sono stato a lungo segretario negli anni Cinquanta e alcuni di loro loro sono stati ancora membri dei consigli direttivi con la mia segreteria. Leggendo l’elenco mi ha colpito il nome di Nicola Mazzone, il contadino sindaco, che, come sindaco negli anni Venti, ha un posto di rilievo nella storia di Tricarico. L’11 febbraio 1922 dette il benvenuto della città al nuovo vescovo mons. Raffaello Delle Nocche, che compiva il solenne ingresso a Tricarico, e nel 1928, secondo quanto leggo nell’appunto di Rocco Scotellaro, di cui dirò più avanti, portò la luce elettrica a Tricarico.

L’operazione fu aspramente contrastata dal paese e in sede amministrativa. Nicola Mazzone ne fu molto amareggiato e segnato da questa esperienza. Egli era un assiduo frequentatore della sezione del partito e mi mise al corrente di quella lontana vicenda, di cui non sapevo nulla. Commisi l’impedonabile errore di non prendere appunti. Fortunatamente l’ha fatto Rocco Scotellaro, che Nei Frammenti e Appunti dai Quaderni dall’Uva puttanella[ii] ci ha lasciato una abbozzo della vicenda, sulla quale intendeva lavorare molto: ne è prova la lista di ulteriori argomenti, che avrebbero approfondito il racconto in merito alle contestazioni mosse al sindaco Mazzone (quante strade illuminate e quante case; il mutuo contratto) e, per altro verso, l’avrebbero allargato alle resistenze conservatrici contro i progressivi miglioramenti dell’illuminazione pubblica con i passaggi dai lampioni a petrolio a quelli a gas, nonché contro la costruzione della ferrovia[iii], fino alla condizione determinata dall’oscuramento durante la guerra, quando, nelle sere d’inverno senza luna, chi era costretto a uscire di casa si faceva luce agitando un tizzone acceso.

Ecco, ora, l’appunto di Scotellaro:

«    Nel 1928, pare e converrebbe aprire il registro delle deliberazioni comunali per respingere il dubbio, ma l’applicato per mostrarlo oggi consulterebbe il sindaco e questi scriverebbe al Prefetto e farebbe finta di negare poi la consultazione, in quell’anno dunque la luce elettrica divenne il problema primario del Comune e il sindaco contadino del tempo, piegandosi al giusto desiderio di illuminare la piazza e le vie e le case e, quindi, alle strangolatorie imposizioni contrattuali della società che gli furono rimproverate, come gli sarebbe stata rimproverata l’incapacità ad amministrare se non le avesse accettate, mise le firma e di lì a poco furono visti gli uomini sui pali con i ganci ai piedi e i fili stesi attorno agli isolatori di porcellana azzurra che parevano bicchieri di birra, di cui si ricordavano bene i soldati che avevano fatto la grande guerra.

     Quando la luce si accese, Nicola Mazzone, il Sindaco, avrebbe voluto tenere il dicorso, ma il farmacista, suo amico, improvviisamente fattosi nero, non volle scriverglielo e gli disse: – Qui la popolazione non voleva la luce elettrica, tutti sparlano che hai rovinato la cassa del comune, c’era altro da fare. E pure io. – Nicola Mazzone, allora, quanto era alto e bruno, un bell’uomo degno di essere sindaco per la salute che portava addosso, si sedette sconsolato sullo sgabello di ferro della farmacia e riunì le meni sui ginocchi come se dovesse piangere un morto in casa. Subito un’idea gli balenò, un’idea trovata per terra sul pavimento della farmacia che ballava agli scatti della fiammella del lume. Disse alla guardia: – Fai bandire che la luce non si accende stasera, ma domani. E al farmacista, che ne sorrise: – Caro mio, il mestiere che tengo alle mani e la salute mi daranno la forza di parlare.

     Il farmacista adesso gli sputò quasi in faccia per la risata e gli uscì un rivoletto di saliva quando disse: – Ti fischieranno! – perché lo martoriava il difetto della esse. Nicola la prese anche lui a ridere e disse: – Dammi una cartella per il male di capo – E come il farmacista si voltò alla scansia, Nicola sputò sul lume che si spense e uscì ridendo sulla piazza. Era così contento che gli parve vedere la piazza acclamarlo come un deputato per l’impareggiabile discorso tenuto al farmacista:

1)      quante strade illuminate e quante case

2)      il mutuo contratto

3)      i lampioni a gas e la canzone di rampogna; i tizzoni

4)      le nevicate e i pali rotti

5)      il mulo ucciso dalla corrente

6)      la prima orchestra

7)      i furti delle lampade

8)      la guerra e l’oscuramento

     Mentre, con la sostituzione dei lampioni a petrolio con la luce a gas, ci fu una reazione e si cantò: «Giustizia alla comune che ha levato i lampiuni, ha messo la luce a gasso, non si pote dà nu passo»; con la luce elettrica apparvero i contrasti tra chi se la metteva e chi non in casa, ci furono le bestemmie per le zolle espropriate nei terreni dove si piantavano i pali di linea, ci furono le lamentazioni per il mulo ucciso dalla scarica, ma, in complesso, il paese rimase spaurito; dall’epoca del treno[iv] – ma esso era lontano nella valle e solo qualche centinaio di persone viaggiavano o avevano occasione di vederlo vicino dalle terre sul fiume – e con le prime automobili e poi con la luce elettrica si videro i germogli contorti della nuova generazione e il blocco dei contadini era lì, sempre più sbigottito e docile, sempre più amaro quando saliva in piazza a sedere sui ferri e le luci si illuminavano. I contadini dicevano ai figli: – Prima si campava meglio – e, vicino al fuoco, raccontavano i fatti.

 

 

Postilla

 

Ho riportato lo scritto di Scotellaro astenendomi dall’integrarlo o commentarlo in base ai miei ricordi, dei quali non mi fido dato il lungo tempo trascorso da quando Nicola Mazzone me ne parlò personalmente. Ma intendo fare un precisazione riguardo al periodo in cui la corrente elettrica fu portata a Tricarico. Secondo il mio ricordo, e in base alle considerazioni seguenti, l’elettrificazione del paese avvenne nel 1923 e non nel 1928, come sembra attestare Scotellaro. A parte che non si può escludere un errore di digitazione o di lettura dello scritto di Scotellaro, sembra incredibile che Nicola Mazzone, il quale certamente era sindaco di Tricarico nel 1922, lo fosse ancora sei anni dopo. E’ certo, inoltre, che l’elettrificazione fu portata dal «contadino sindaco», ma nel 1928 i sindaci erano stati soppressi e sostituiti con i podestà in forza della fascistissima legge 4 febbraio 1926, n. 237: dal 21 aprile 1927 (Natale di Roma, secondo la mitologia fascista) tutti gli organi democratici dei comuni furono soppressi e tutte le funzioni in precedenza svolte dalla giunta e dal consiglio comunale furono trasferite ai podestà, nominati con regio decreto per cinque anni e revocabili in ogni momento. (a.m)

 

 

 

 



[i]Ristampa anastatica delle Edizioni Osanna di Venosa, 1988. Il carattere di rivista di formazione teorica assunto da “L’Ordine” era impresso anche dalla personalità del redattore che scriveva quasi tutti i pezzi del giornale: don Angelo Mazzarone, giovane insegnante del Seminario regionale di Potenza, che ricorrendo a sigle e pseudonimo faceva immaginare al lettore chussà quale redazione affollata di professoprini e di studenti universitari (dalla Postfazione di Angelo Labella alla Ristampa anastatica, p. 133

[ii] Rocco Scotellaro, Uno si distrae al bivio, Roma-Matera, Basilicata editrice, 1974, p. 141 s.

[iii] All’appunto Scotellaro ha premesso il seguente passo tratto da una nota di presentazione di «Espoir, collection dirigée par Albert Camus» dell’editore Gallimard: «Nous sommes dans le nihilisme. Peut-on sortir du nihilisme? C’est la question qu’on nous inflige. Mai nous n’en sortoron pas en faisant mine d’ignorer le mal de l’époque ou en décidant de le nier. Le seul espoir est de le nommer au contraire et d’ena faire l’inventaire pour trouver la guérison au bout de la maladie»

[iv]Benito Lauria aveva trovato in una soffitta un fascicolo a stampa di una «dotta» conferenza contro la costruzione della ferrovia nella valle del Basento, recante la «dimostrazione scientifica» che il fumo del treno sarebbe stato la causa primaria di una spaventosa epidemia della tubercolosi e della peronospera della vite.

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