Riflessione del prof. Valerio Onida, Presidente emerito della Corte costituzionale, sul dopo-elezioni
Pubblico la seguente riflessione sul dopo elezioni del prof. Valerio Onida, Presidente emerito della Corte costituzionale, per la concretezza e la semplicità dell’esposizione, l’oggettività e la completezza dell’informazione.
Riflettendo sul dopo-elezioni
1. Ingovernabilità?
Perché si formi un nuovo Governo con pieni poteri è necessario che colui al quale il Presidente della Repubblica conferirà l’incarico ottenga il voto di fiducia in entrambe le Camere. Alla Camera dei deputati il centrosinistra da solo ha la maggioranza assoluta, e dunque non avrebbe problemi. Al Senato, il centrosinistra conta su 123 eletti, la lista Monti su 19 (totale 142). Votando contro il centrodestra (117 eletti), sarebbe sufficiente che i Cinque Stelle (54 eletti) non partecipassero al voto (l’unico modo per astenersi al Senato), perché il Governo ottenga la fiducia con una maggioranza relativa (c.d. non sfiducia). Se poi, come si è sentito dire, il centrodestra minacciasse di non partecipare anch’esso al voto per far mancare il numero legale (160, contando anche i senatori a vita), così puntando a invalidare la votazione, basterebbe, per parare questa manovra, che solo 18 dei 54 senatori Cinque Stelle partecipassero invece al voto, anche votando contro il Governo, per consentire a questo di ottenere la fiducia (presenti 142+18=160, voti a favore 142, voti contrari 18; se invece la destra partecipa al voto, voti a favore 142, voti contrari 117+18=135). La presenza dei quattro senatori a vita (Ciampi, Andreotti, Colombo, Monti), presumibilmente favorevoli al Governo, potrebbe solo migliorare questi numeri.
Naturalmente occorre per questo che il movimento Cinque Stelle collabori, pur senza entrare nella maggioranza e senza votare la fiducia al Governo, e quindi senza rinunciare alla propria posizione attuale.
Se poi i Cinque Stelle fossero disposti a concordare anche un sintetico programma di governo fatto di poche cose (riforma elettorale, riduzione delle indennità, abolizione o trasformazione radicale del finanziamento pubblico dei partiti, legge anticorruzione, legge sul conflitto di interessi, legge sulla radiotelevisione, legge sulla cittadinanza, misure fiscali e sul credito per il sostegno dell’occupazione, interventi urgenti in tema di giustizia, ecc.), tanto meglio: e si potrebbe in questo caso pure discutere e trovare accordi sul nome del Premier (non necessariamente il segretario del PD) e sulla composizione del Governo.
2. Non c’è nessun “blocco”
I primi adempimenti delle Camere sono l’elezione dei loro Presidenti e degli uffici di presidenza. Per tale elezione, anche al Senato, non c’è nessuna possibilità che si crei una situazione di stallo: infatti il regolamento del Senato prevede che si proceda con successive votazioni, e infine con ballottaggio fra i due più votati, alla scelta del Presidente; per gli uffici di presidenza ogni parlamentare vota uno o più nomi, e sono eletti i più votati.
Poi c’è da formare il Governo. Il Presidente della Repubblica dovrà fin da subito esperire tutti i tentativi possibili per la formazione di un Governo che ottenga la fiducia di entrambe le Camere. Se poi il Governo, pur nominato, non ottenesse la fiducia, e tutti gli ulteriori tentativi andassero a vuoto, non resterebbe che sciogliere le Camere e andare a nuove elezioni: cosa che si renderebbe possibile (e in quel caso necessaria), non appena eletto il nuovo Capo dello Stato: l’attuale infatti non può scioglierle perché è nell’ultimo semestre del suo mandato, che però non coincide più con la fine della legislatura.
Resterebbe in carica, per gli affari correnti, il Governo da ultimo nominato ma che non abbia ottenuto la fiducia. Potrebbe accadere che non si pervenga a nominare alcun nuovo Governo, perché nessuno accetta di formarlo (inverosimile), o perché il Presidente ritenesse di non procedere alla nomina in mancanza di affidamenti preventivi e sicuri sul voto di fiducia (ma anche questa seconda ipotesi, all’indomani delle elezioni e non potendosi ancora procedere allo scioglimento delle Camere, è inverosimile, e direi anche di dubbia correttezza costituzionale). In questa ipotesi si perverrebbe allo scioglimento delle Camere restando nel frattempo ancora in carica, per gli affari correnti, l’attuale Governo dimissionario Monti.
Nel frattempo, le Camere potrebbero comunque approvare una nuova legge elettorale: dovrebbe essere una priorità assoluta.
Si dovrà poi procedere, fra poco più di un mese, all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, da parte del Parlamento in seduta comune integrato da sessanta delegati delle Regioni: il mandato di Napolitano scade il 15 maggio, e se allora non fosse ancora eletto il suo successore egli sarebbe sostituito dal Presidente del Senato come supplente.
L’elezione dovrebbe scaturire non tanto da un accordo “politico”, collegato a quello per il Governo, fra le forze presenti in Parlamento (fra le quali comunque il centrosinistra e la lista Monti hanno la maggioranza assoluta, sufficiente per l’elezione) quanto dallo sforzo di individuare una personalità “unitiva”, cioè in grado di ben rappresentare l'”unità nazionale”.
Come si vede, dal punto di vista istituzionale non c’è una situazione di stallo “irrisolvibile”: o nuovo Governo, o nuove elezioni consentono comunque di uscire dall’impasse entro la primavera.
3. Cosa non si deve fare.
In questa situazione, l’ipotesi sciagurata che il centrosinistra dovrebbe ad ogni costo evitare è quella di cercare un accordo con Berlusconi, il quale non a caso lo cerca e lo offre. Dopo che il paese si è liberato fortunosamente del predominio, non “della” destra, ma di “quella” destra, rimetterla in gioco con accordi di governo o peggio di spartizione di posti, arroccandosi col PDL nel vecchio fortino assediato dai Cinque Stelle, sarebbe un errore fatale e suicida. C’è anche – ci dovrebbe essere – una discriminante “etica”: non si può cercare l’accordo con chi, ad esempio, ha versato, alla luce del sole, un milione di euro per sostenere l’attività politica di un transfuga dal partito di Di Pietro passato a sostenere Berlusconi.
Una “nuova” destra (quella di Monti e dei suoi) è nata, anche se per ora troppo asfittica per consentire un confronto o una collaborazione a tutto campo. Con essa – e solo con essa, non col PDL di oggi – è certo possibile e anche se del caso necessario dar vita ad accordi da “grande coalizione”, che però per via dei numeri non bastano per governare senza l’apporto dei Cinque Stelle. E tuttavia si può continuare a sperare che in futuro questa nuova destra riesca ad emarginare definitivamente l'”anomalia” berlusconiana.
Da respingere nettamente anche l’idea di inseguire la vecchia destra berlusconiana sulla via di riforme istituzionali di stampo antiparlamentare e presidenzialistico (all’italiana), che è esattamente il modello da essa perseguito. Occorre invece confermare, rafforzare e consolidare le condizioni di una convivenza democratica nello spirito della Costituzione.
Quindi: sul piano immediato del Governo, “ricominciare da cinque” (stelle), spingendo questo movimento a uscire dalla posizione di puro rifiuto e a misurarsi sulle cose da fare per governare il paese.
Sul piano delle istituzioni, farle funzionare al meglio liberandole del peso della cattiva politica, e in prospettiva puntare sulle riforme di “manutenzione” che da tempo sono state individuate come utili (struttura del Parlamento, non svuotato ma potenziato e reso efficiente; efficienza della giustizia e sana divisione dei poteri; rafforzamento delle autonomie regionali e locali in un quadro di unità nazionale e non di spinte secessionistiche; costruzione di amministrazioni pubbliche “amiche” dei cittadini e formate alla cultura del risultato).
4. Un nuovo sistema politico?
Nel frattempo, il compito che attende a medio termine le forze politiche – quelle almeno che sono capaci di prendere atto della “morte” del sistema politico attuale e del connesso presunto “bipolarismo” fra PD e PDL (basta pensare che i due poli contendenti, insieme, hanno avuto meno del 60 per cento di voti, da un elettorato che ha votato solo per tre quarti) – sarà quello di ricreare le condizioni perché il paese esprima delle scelte e realizzi gli strumenti per dare vita a un nuovo sistema politico, dialettico ma concorde sui presupposti della convivenza democratica. Questa sarà l’impresa più ardua, ma necessaria.
Valerio Onida
2 marzo 2013
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