L’UVA PUTTANELLA: Parte I, Cap. 1 – Simbologia della vigna
Un’annotazione reperibile nel Disegno generale del libro (USDB, p. 97) chiarisce l’importanza che, nell’economia del libro, doveva avere la passeggiata alla vigna: «Le dimissioni questa volta mi riportano, nudo e fanciullo, alla vigna del padre. Istintivamente, perduta ogni illusione, di potere essere utile agli altri e pensando di non essere stato utile a me stesso, vorrei prendere in mano la vigna, l’attività del padre. Con le persecuzioni violente che cominciavano saremmo stati schiacciati tutti. Le forze dei signori, l’autorità loro e delle vecchie leggi si ricostruivano. Le nostre parole diventavano vecchie. C’era tuttavia una serie di fatti e di cose, che restavano, che dovevano restare». Il racconto diventa, quinti, una ricca fonte di simboli: la vigna, la borsa di Rocco.
La vigna – come sottolinea Bronzini (L’Universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, p. 129) – nella economia e simbologia contadina è la coltura più ambita e ancestrale, perché dà prosperità e abbondanza in quanto legata al regno dei propri morti. Non a caso Rocco vede il padre morto aggirarsi operoso tra le viti. Lì ogni zolla è la sua tomba, lì sua madre lo «incontra vestito da serpente» o lo «ode borbottare sotto le fabbriche».
Di tale ascendenza reale e mitica rimane traccia nel detto «Il vecchio pianta la vigna, e il giovane la vendemmia», che trova rispondenza nella constatazione di Rocco, diretto alla vigna del padre, che «la vigna non era stata ancora zappata, aveva ragione il padre a predire che, morto lui, (no)i figli saremmo stati dei vermi» .
La duplice allegoria della vigna congiuntamente come fonte di benessere (materiale e spirituale) e come configurazione dell’Aldilà, in quanto sede del Padre – continua a notare il prof. Bronzini -, fu presente in figura e idea pagana nel mondo classico, venne assunta dal Cristianesimo nel Vecchio e Nuovo Testamento, è quindi ridiscesa nella tradizione letteraria, a livello colto e popolare, dell’Europa moderna.
Un filo diretto, inoltre, unisce il significato simbolico della vigna paterna di Scotellaro (1955) a quello della vigna vecchia di Sinisgalli (1956):
Mi sono seduto per terra
accanto al pagliaio della vigna vecchia.
I fanciulli strappano le noci
dai rami, le schiacciano tra due pietre.
Io mi concio le mani di acido verde,
mi godo l’aria dal fondo degli alberi.
La vigna offre dunque all’episodio della passeggiata alla vigna significato biblico, confermato dai riferimenti al libro sacro che fa lo stesso Scotellaro. La vigna nella Bibbia, per bocca d’Isaia, raffigura il popolo eletto e rappresenta la casa del Padre. Nel linguaggio evangelico s’identifica con la vigna del Signore e rappresenta proprio il regno dei cieli nella parabola dei vignaioli (Matteo 20, 1-16), che è paradigmatica, proprio per lo stato di origine che significa, del buono o cattivo operato dell’umanità.
La borsa di Rocco. Salina Borello rileva come la passeggiata alla vigna diventi «il filo conduttore per tenere insieme una serie di notazioni sul rapporto tra l’io-attore e il paese» (Rocco, nell’UP, assume il doppio ruolo di Io-narrante e di Io-personaggio, che agisce, Io-attore) e individua l’ «elemento catalizzante» nel «motivo della borsa che si ripresenta per ben cinque volte», con significati vari e graduati nella loro rapida sequenza, ma «tutti incentrati sul rapporto io-paese».
1. «[…] con la borsa che avevo, ognuno […] mi chiese con meraviglia dove andavo».
2. «Con questa borsa, se non partivo, dovevo apparire stravagante […]».
3. «[…] così che questa passeggiata alla vigna con la borsa era e non era per un viaggio, per una visita alle ciliegie, a un posto senza vento dove leggere e studiare, per una partenza clandestina, per un saluto ai morti».
4. «Ripensandoci, con la borsa per la campagna, era difficile non destare stupore».
5. «Adesso ero solo, svolsi la borsa, trassi fuori un libro per leggere […]».
Nel primo caso, la borsa fornisce l’avvio ad una serie di riflessioni, fatte dal punto di vista dell’io-narrante, che infatti subito interviene a spiegare il motivo dell’interesse e della curiosità dei paesani. È infatti l’io-narrante a prendere posizione di fronte al paese, per cui la borsa diventa un segno d’insofferenza e di stanchezza che, normalmente, porterebbe alla decisione di lasciare il paese e come tale viene interpretato dagli altri. Il fatto di non partire, giudicato dal punto di vista dei compaesani, nel secondo caso appare allora «stravagante ». Ecco perché, interiorizzando il punto di vista dei personaggi-spettatori, l’io-narrante carica quella semplice passeggiata alla vigna di una molteplicità di significati, strettamente legati ad una precisa toponomastica paesana. Ognuna delle strade che conducono alla vigna, rappresenta, infatti, un diverso modo di impostare il rapporto col paese: la strada al Cimitero è scelta da chi vuole professare la propria fedeltà alle tradizioni locali e familiari; la Via Comunale del Corneto è quella degli «spaesati o dei pazzi », di chi cioè, per un motivo o per l’altro, rifiuta l’ambiente paesano, senza però riuscire a staccarsene completamente; la via alla stazione è quella della partenza e dell’abbandono, che molti «per il suo bene» gli indicano; la mulattiera per la vigna costituisce una soluzione intermedia e non certo solo perché vi passa la scorciatoia per la stazione: rappresenta il ritiro dalla collettività paesana, ma anche il ritorno alle tradizioni familiari, nel luogo consacrato alla memoria paterna.
In questa prima macrosequenza narrativa, c’è già, in nuce, il rapporto tra l’io- narrante e il mondo paesano. Di quale profondità sia, è detto dalla capacità del protagonista di prevedere e prevenire le reazioni dei compaesani ad ogni sua decisione o atteggiamento.
Il motivo della borsa attrae costantemente, infatti, quello dello stupore (« ognuno mi chiese con meraviglia », «dovevo apparire stravagante », «anche per questa direzione io dovevo stupire », di cui l’io-narrante tiene conto, scegliendo di volta in volta una strada diversa per raggiungere la vigna. Significativo è proprio il fatto che il protagonista torni due volte sui suoi passi, una prima volta per non imbattersi nel maestro Contino (nella realtà si tratterebbe del maestro di scuola Giovanni Marchese, scelto non a caso come personaggio, perché, se Rocco si fosse imbattuto in lui, difficilmente avrebbe potuto impedirgli di attaccargli un bel bottone) e nei preti (il motivo della scelta di questi personeggi è lo stesso), la seconda per non essere annoverato tra gli «spaesati o pazzi ». La curiosità e lo stupore dei compaesani nel vederlo andare in giro con la borsa non è minore dell’attenzione che egli pone nel non apparire stravagante.
Il prof. Bronzini, inoltre, ritiene che sia da recuperare il significato antropologico dell’azione di andare o ritornare alla vigna paterna, per la sua funzione simbolica e morfologica di ritorno ad uno stato di origine (innocenza e infanzia) e ad un momento d’inizio, come risulta dalle espressioni della citata spiegazione reperibile nel «Disegno generale del libro».
In questa spiegazione è resa esplicita la carica semantica implicita nel racconto, che l’io narrante ha inteso dare alla sua personale vicenda, in una direzione mitica, ch’egli stesso sente come naturale proiezione di una situazione reale. L’andare o meglio il ritornare alla vigna per la strada che mena al Cimitero conferma il significato antropologico di ritorno al proprio antenato per la connessione delle due mete (vigna e cimitero) con il culto dei morti: «lì stanno i nostri morti nudi», scrive il narratore, congiungendo con la loro la sua nudità simbolica.
La ‘borsa’ di Rocco e la ‘sporta’ di ‘Ntoni
La borsa, oltre ai significati narrativi riguardo al “paese” rilevati dalla Salina Borello, per G.B. Bronzini appartiene alla categoria degli oggetti significanti il processo generativo.
L’antecedente della borsa nell’universo contadino è la cesta o sporta, che raffigura analogamente l’alvo materno. Di essa troviamo interessanti riscontri sincronici e diacronici nella stessa area e lungo la medesima tradizione narrativa di letteratura veristica e psicologca del mondo contadino. Lo spurtone, in A’ terra d’u ricorde (1959) del conterraneo Albino Pierro, è il cestone dell’asino, in cui il poeta per magia vorrebbe rientrare: esso ha la forma del ventre materno e diventa per il poeta di Tursi simbolo dell’infanzia, approdo sognato della sua anima torrrnentata..
Ma l’archetipo dello schema narrativo, a cui più si accosta il tratto iniziale del racconto di Scotellaro, si ritrova nel finale dei Malavoglia!. L’andarsene definitivo di ‘Ntoni ha un significato di consapevole per quanto amaro distacco dal paese e al proprio nucleo familiare, distacco che il protagonista avverte ineluttabile e non più procrastinabile dal momento in cui egli stesso si sente fuori della storia di un mondo del quale non può più far parte ora che ne ha riconosciuti, tradendoli, i valori. L’enigma rimane e forse il finale dei Malavoglza venne concepito e lasciato volutamente ambiguo, sospeso, secondo i canoni veristici, tra un piano storico ed uno metastorico. A lunga distanza ne troviamo una possibile, ma non esclusiva, soluzione in questo saluto di Scotellaro al suo Moribondo paese:
Moribondo paese che sai tutto di me e dei miei,
io so chi ha comprato chi ha venduto la casa e la terra,
chi è partito e si è messo nei panni miei,
contento di vivere al di là dell’ombra della stazione
piuttosto che accrescere le carte notarili e i testamenti
sulle tue carni nere di tegoli e di muri l’.
Il rapporto col paese, con la casa e con la famiglia si determina e si sviluppa con la partenza di ‘Ntoni. Ed è il medesimo di quello che si profila con l’uscita» di Rocco dalla casa e dal paese. «Fra poco, ritornando, non mi conosceranno», doveva essere un tratto
da sviluppare, come risulta nel Disegno generale del libro (parte III). E corrisponde a ciò che pensava ‘Ntoni partendo.
Alle cinque funzioni della borsa di Rocco, rilevate dalla Salina Borello, corrispondono altrettante e analoghe funzioni della sporta di ‘Ntoni, che di quelle cinque possono essere considerate matrici.
Rinvio al successivo post, perché questo mi sembra già abbastanza lungo, la comparazione tra le cinque funzioni della borsa di Rocco e le altrettante e analoghe funzioni della sporta di ‘Ntoni.
Nei successivi post pubblicherò i capitoli II e III della Parte prima dell’U.P., cui seguirà il relativo commento. Seguiranno, quindi, i successivi tre capitoli, intervallati dai relativi commenti.
L’UP è favola, racconto veristico, memoria di Tricarico.
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