Dopo la morte del giudice  Gedeone, Abimelec, il figlio avuto da una schiava, assassinò tutti i suoi fratellastri meno Iotam, che si era nascosto. In seguito, quando i proprietari terrieri di Sichem acclamarono Abimelec loro re, Iotam andò in cima al monte Gherizim e, mediante l’apologo degli alberi, pronunciò una maledizione profetica sui proprietari terrieri di Sichem e su Abimelec. Quindi fuggì e si stabilì a Beer. —( Gdc 9:6-21, 57).

 [7]Ma Iotam, informato della cosa, andò a porsi sulla sommità del monte Garizim e, alzando la voce, gridò: «Ascoltatemi, signori di Sichem, e Dio ascolterà voi!

[8]Si misero in cammino gli alberi
per ungere un re su di essi.
Dissero all’ulivo:
Regna su di noi.
[9]Rispose loro l’ulivo:
Rinuncerò al mio olio,
grazie al quale
si onorano dei e uomini,
e andrò ad agitarmi sugli alberi?
[10]Dissero gli alberi al fico:
Vieni tu, regna su di noi.
[11]Rispose loro il fico:
Rinuncerò alla mia dolcezza
e al mio frutto squisito,
e andrò ad agitarmi sugli alberi?
[12]Dissero gli alberi alla vite:
Vieni tu, regna su di noi.
[13]Rispose loro la vite:
Rinuncerò al mio mosto
che allieta dei e uomini,
e andrò ad agitarmi sugli alberi?
[14]Dissero tutti gli alberi al rovo:
Vieni tu, regna su di noi.
[15]Rispose il rovo agli alberi:
Se in verità ungete
me re su di voi,
venite, rifugiatevi alla mia ombra;
se no, esca un fuoco dal rovo
e divori i cedri del Libano.

Avrei voluto leggere il saggio su Martin Buber di Maria De Carlo, che sarà presentato domani pomeriggio 5 luglio presso il Centro di documentazione Rocco Scotellaro, sia come forma di partecipazione spirituale all’incontro sia per chiarirmi le idee sulla necessariamente breve presentazione di Vito Sacco nell’invito diramato con la posta elettronica. Non ho trovato il saggio nelle librerie e la spedizione online richiede tre settimane di tempo.

     Ho quindi pensato di postare su rabatana il poco conosciuto apologo di Iotan del libro dei Giudici, a cui fa seguito un breve commento con pensieri di Martin Buber tratto da un saggio del biblista Piero Stefani, pubblicato sul Regno-attualità, quindicinale dei Dehoniani di Bologna, n. 16 del 2009. E’ il mio modo di essere presente all’incontro.

     Una visione pessimistica e conservatrice del pensiero politico sostiene che, se manca uno stato forte, è inevitabile che erompa la guerra di tutti contro tutti. La disciplina è sempre preferibile all’anarchia: il caos proviene dal basso. La Bibbia ha invece optato per descrivere il caos dall’alto. Di esso  è prototipo Abimèlec, il quale, in combutta con i signori di Sichem, conquistò il potere facendo uccidere su una sola pietra i suoi settanta fratelli. (Gdc 9,1-6).

     Dalla carneficina si salcò solo Iotan, che profetizzò l’apologo sopra riportato, che Martini Buber ha giudicato come «la più decisa composizione poetica antimonarchica della letteratura universale».

     Regnano e dominano i peggiori e il loro governo può avere come sbocco solo la distruzione reciproca tra chi detiene il potere e coloro che hanno contribuito alla sua istituzione. Non per nulla il libro dei Giudici avrebbe ben presto prospettato la fine dei sichemiti e di Abimèlec, presentandoli come esito inevitabile del loro patto sciagurato (cfr. Gdc  9,42-57).

     Sarebbe peraltro errato negare che i portatori di un pensiero pessimistico possano rivendicare a se stessi una quota di verità. Proprio Buber, tanto avverso alla monarchia, sostiene che il libro dei Giudici è composto da due parti saldate tra loro «da uno straordinario spirito di compromesso, lo stesso che ha dato luogo alla formazione del canone», la prima opzione antimonarchica è infatti seguita da una seconda (capp. 17-21) filomonarchica. Quest’ultima opzione descrive a più riprese cosa avviene quando dilaga il caos dal basso (cfr. la violenza subita dalla concubina del levita di Efrata e la conseguente guerra civile – Gdc 19-20). Il perno su cui ruota questo violento disordine è ricapitolato dalle parole che chiudono il  libro: «In quel tempo non c’era re in Israele e ognuno faceva ciò che era retto (jasar) ai propri occhi» (Gdc 21,25; cf. 17,6; 19,1. 24).  

     Quando crolla il senso dell’autorità erompe l’individualismo (o, se si vuole, il relativismo).

     Il male deriva dal re?. Il male erompe dalla mancanza di potere? Di volta in volta si è costretti a optare per il danno minore. Più avanti nella sua storia, Israele avrebbe individuato due vie alternative a questo angoscioso pendolo: la Torà (Legge) e il re messia figlio di Davide. Il primo riferimento è per oggi, l’altro riguarda sempre il domani e relativizza ogni pretesa assolutezza presente. Neppure queste due prospettive sono esenti da involuzioni; tuttavia molte volte esse hanno costituito un argine contro i pervertimenti insiti nell’esercizio del potere. Trascritto in termini secolarizzati, tutto ciò ha qualcosa da spartire con la democrazia la quale non vive a prescindere dalla saldezza del riferimento costituzionale e senza attribuire una valenza politica alla parola speranza.

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