La politica, una … carriera per caso di Emilio Colombo
Molti lettori del libro di Colombo[1] resteranno sorpresi, se non increduli, nel leggere, nell’ultima pagina del primo capitolo e a conclusione del racconto della prima parte della sua storia personale, nell’Italia fascista, prima di iniziare la sua vita di uomo politico nell’Italia repubblicana, di un cattolico credente, attivo nelle organizzazioni cattoliche, che egli non ha mai cercato di far politica, anzi ha cercato in ogni modo di sfuggire alla politica, ma la politica se l’è sempre trovata davanti.
Questa incredibile confessione (della quale posso testimoniare la veridicità, per quanto affiora dai ricordi dei miei 13-16 anni), apre la prospettiva a due possibili carriere in alternativa alla politica: cantante di successo di canzoni napoletane o professore universitario di diritto ecclesiastico.
La carriera di cantante di successo di canzoni napoletane è ipotizzata con tono affettuosamente ironico da Arrigo Levi. Il cantante di canzoni napoletane Colombo l’avrebbe potuto fare con molto successo, come sa – sostiene Levi – chi l’ha sentito cantare. Non sono del tutto d’accordo. Non c’è dubbio che Colombo avesse una bella voce e, nei momenti di pausa, talvolta si abbandonava a un canto regolato da un ritmo dolce e melodioso, ma la faringite cronica di cui soffriva – il mio male antico, si lamentava – forse non gli avrebbe permesso di diventare un cantante di successo. Anche se, nella campagne elettorali, riusciva a tenere sei-sette comizi al giorno, camuffando il suo problema faringeo. Agli inizi della sua vita politica mi è capitato di accompagnarlo in qualche sfibrante giro elettorale, avendo anche la responsabilità di assicurarmi della buona organizzazione dei comizi., anticipando le sue tappe e di nuovo raggiungendolo, e tenendo riunioni. Al ritorno, a notte fonda, eravamo stanchissimi e correvamo il rischio che l’austista si addormentasse e finissimo in un fossato. Colombo ogni tanto cantava in falsetto, e il suo canto melodioso e distensivo infondeva energia a tutti, e soprattutto teneva sveglio l’autista. Il che non toglie che una volta, tra Stigliano e il bivio per Cirigliano ci svegliammo bruscamente in una vigna. Una curva subito dopo la Serra fu battezzata «curva dei ministri», per l’incidente che subì, fortunatamente senza conseguenze, una macchina con tre ministri a bordo, tra cui Colombo e Moro.
La carriera di professore universitario è quella che Colombo veramente aveva aspirato a fare. Egli si era laureato, col prof. Arturo Carlo Jemolo con una tesi di diritto patrimoniale ecclesiastico, riguardante la storia delle «chiese ricettizie» e delle «collegiate».
Apro una parentesi. Dossetti, che aveva sette anni più di Colombo, seguì il corso di diritto ecclesiastico tenuto all’Università di Bologna da Arturo Carlo Jemolo, al quale chiederà la tesi su «La violenza nel matrimonio canonico» (anche se il professore non la potrà poi seguire perché chiamato ad insegnare in altra Università). Jemolo ricorderà sempre quel suo studente e molti anni dopo, il 17 maggio del 1972, gli darà — su «La Stampa» — un clamoroso «riconoscimento» muovendo a Paolo VI un severo rimprovero perché non aveva avuto il «coraggio» di nominarlo vescovo[2].
Torno a Colombo. Quando egli tornò a Potenza dopo il servizio militare disse di no a quanti volevano che egli partecipasse alla vita politica lucana e alla promozione in Lucania della Democrazia Cristiana (attività nella quale ricordo particolarmente impegnato il prof. Michele Marotta, insegnante di matematica nel Liceo-Ginnasio Quinto Orazio Flacco di Potenza, che diventerà deputato e sottosegretario). Colombo se ne tornò a Roma per iscriversi, alla Pontificia Università Lateranense, al corso di laurea in Utroque iure, e accettò di fare il segretario generale della Gioventù cattolica italiana. Incarico che Colombo nega fosse un ingresso in politica e afferma che per lui, anzi, era un’alternativa alla politica.
Nella mia mente affiorano con limpidezza i seguenti ricordi. Colombo effettivamente non ebbe alcuna parte in quell’esaltante biennio di democrazia allo stato nascente tra l’armistizio e le prime elezioni amministrative di marzo –aprile 1946 (a Tricarico, per l’elezione della prima amministrazione comunale, si voterà a novembre). La sua assenza meravigliava e di essa può aversene prova sfogliando il periodico della Democrazia Cristiana della Lucania L’Ordine, pubblicato in edizione anastatica dall’editore Osanna di Venosa, e non trovare la firma di Emilio Colombo o un qualsiasi suo contributo. Nel corso di un incontro di esercizi spirituali al seminario di Potenza – Colombo era costituente -, confidò a un ristretto gruppo occasionalmente formatosi durante una pausa, che riteneva impensabile che la politica diventasse l’impegno di tutta la sua vita e che, chiusa la parentesi della Costituente, sarebbe tornato ai suoi studi. In vista delle elezioni politiche del 1958 (allora era ministro dell’agricoltura), confidò il progetto di rinunciare alla candidatura alla Camera dei deputati. Questa confidenza io la ricevetti da una fonte sicuramente bene informata, che mi disse pure quale sconcerto aveva causato questo progetto e con quale determinazione si cercava di far desistere Colombo dal suo proponimento.
Colombo, dunque, si trovò dentro alla politica e come ci si ritrovò! Una volta ritrovatosi, la politica divenne la sua vita. Era inevitabile che ci si ritrovasse, come ci si si ritrovò tutta le bella e grande gioventù cattolica, provenienti dalla Fuci (con Moro e Andreotti, per citare i nomi più rappresentativi) o dall’Azione Cattolica (con Dossetti e Colombo, ancora per citare i nomi più rappresentativi), che si era formata durante il fascismo, pronta ad accogliere la responsabilità delle macerie che il regime avrebbe lasciato, e per quarant’anni ha costituito un grandioso deposito di competenze e valori, che la generazione successiva ha sperperato.
Tratteggio ora brevemente l’ultimo percorso in ombra di una carriera prodigiosa. Non ottenuta dal partito popolare la candidatura al Senato, Colombo accettò la candidatura che gli fu proposta da Democrazia Europea, partito di centro fondato da Sergio D’Antoni, già segretario generale della Cisl, e non fu eletto. Aveva voglia di tornare nelle istituzioni, al Senato, perché era stanco di essere circondato dal silenzio e intendeva di nuovo poter dire la sua, nella speranza di essere ascoltato. Ma la sua fu anche una reazione ab irato per la candidatura al Senato rifiutatagli dal suo partito. Va detto per il vero che egli non tradiva il centrosinistra e intendeva partecipare a un’esperienza politica che tenesse la barra fissa al centro, contro il predominio e la gestione personale di Silvio Berlusconi. Dichiarò l’intenzione di battersi contro la legge elettorale vigente, che giudicava pericolosa, e di lottare per restituire ai cattolici, come alle grandi tradizioni liberale, socialista, repubblicana, la possibilità di tornare a fare politica insieme, fianco a fianco.
Il 14 gennaio 2003 fu nominato senatore a vita dal presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Il 15 marzo 2013, nella seduta di apertura della XVII legislatura, e nella seconda seduta del 16 marzo 2013, è presidente provvisorio dell’assemblea del Senato e, nel corso della seconda seduta, dichiara eletto e proclama il nuovo presidente del Senato Pietro Grasso. Dal 6 maggio 2013, giorno della scomparsa di Giulio Andreotti al 24 giugno 2013, giorno della sua morte, è stato il più anziano senatore in carica e l’unico padre costituente ancora in vita.
Nel mese di aprile 2013 il Mulino finisce di stampare il suo libro, che il 18 maggio, con Arrigo Levi presenta alla Fiera del libro di Torino. Sopravvivrà trentasei giorni, concludendo una straordinaria carriera politica, che non fa certamente rimpiangere né il grande cantante di canzoni napoletane né l’illustre Maestro del diritto ecclesiastico, che Colombo sarebbe potuto essere e non è stato.
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