Giappone è il personaggio che domina la scena e che attira anche la maggiore attenzione di Rocco, che lo ritrae (cap. X) corto e grigio, ma duro nella stessa  pingue pancetta e nelle grosse natiche, con molto pelo  pizzuto in capo e sugli occhi. Non era quasi mai triste,  ma chiuso come un riccio o che leggesse e scrivesse  o che, con le mani nelle tasche troppo basse dei pantaloni, stesse al cancello o alla finestra a guardare  avanti a sé.

     Se ne stava sul letto come un antico romano al triclinio, curvo sul fianco, con l’orecchio e la guancia  nella mano a foglia, e in questa posa mangiava anche il rancio (cap. V).

     Giappone è il capo. I compagni di camerata sistemano anche la sua branda quando sistemano le proprie, piegandole per aumentare lo spazio in cui muoversi, mentre Giappone osserva con la coda dell’occhio, fischiando e cantando.

     Giocare a carte era proibito e i carcerati si facevano le carte napoletane per giocare a scopa e a briscola. Preparavano i cartoncini, li rivestivano a uno a uno con la carta dei pacchetti di trinciato forte e vi disegnavano le figure. Giappone disegnava i cavalli. 

     Dopo aver osservato Rocco per due giorni, Giappone disse che gli serviva e dovevano rispettarlo come tale.

     Come capo avanzava con determinazione istanze collettive e di singoli. Reclamò la luce, perché Rocco la sera potesse leggere. – Il nuovo arrivato – dice alla guardia alludendo a Rocco – legge per tutti noi e se legge così lo metterete fuori accecato -. Rocco sorrise alla guardia per farsi perdonare il tono impertinente di Giappone, che poteva sembrare istigato, ma altro non era che il modo di d’imporre la dignità dei  carcerati (cap. I).

     Nel quarto capitolo la personalità di Giappone è delineata a tutto tondo come personaggio di spicco della camorra. Il termine camorra e l’espressione camorra carceraria ritornano più volte nel racconto, e il capito IV si conclude con l’accettazione di Rocco nella camorra carceraria. Occorre distinguere tra camorra tradizionale, durata fino alla Seconda guerra mondiale, alla quale Scotellaro fa riferimento, e il fenomeno camorristico contemporaneo. Nella situazione e concezione tradizionale, comportarsi in maniera camorristica significava agire in conformità a un codice di prestigio e di supremazia, che prevedeva scontri e competizioni tra individui e gruppi. Ciò portava all’emersione di «un’élite» di uomini di camorra., che cercavano di stabilire un potere di governo su una data zona (che può essere anche il carcere), tramite la creazione di un gruppo di amici, clienti e consanguinei disposti ad appoggiarli nell’esercizio delle loro attività. 

     Coloro che erano sistemati alla cucina o ad altri mestieri – tutti uomini d’onore, che, secondo i calcoli più ottimistici, avrebbero dovuto scontare non meno di dieci anni di carcere – lo dovevano a Giappone..

     In carcere, gli «abituali», di cui Giappone è esponente di spicco, fanno gli onori di casa, badano come prima cosa al peso  dell’imputazione, di qualunque natura sia, per distinguere tra «temporanei» e «duraturi», e “coltivarsi” questi ultimi, cui sono affidati tutti i  servizi. Incoraggiano i deboli, scornano  i ricchi, si fanno sempre avanti per le richieste collettive  ai superiori

     Per Rocco Giappone ottenne la fiducia dell’intera camorra e l’adesione di tutti a un’iniziativa perché Rocco fosse eletto scrivanello, con i pieni diritti all’aria dell’intero giorno, visto che il maresciallo lo faceva uscire solo quando si trattava di compitare i verbi latini allo zuccone di suo figlio. Giappone l’ebbe vinta e, per mettere alla prova la fedeltà di Rocco, lo chiamava al cancello anche se non aveva bisogno di  nulla, per vederlo accorrere a servirlo.

     La sera ordinava il silenzio perché cominciava la  lettura e a passeggio intratteneva Rocco a rapporto.

     .Sotto l’apparente solidarietà di cui Rocco fu investito, tra lui e Giappone si stabilì una sorda battaglia. – Veramente tu credi che la plebaglia – diceva Giappone –  questa  – e gli indicava i suoi stessi soci, e Chiellino e gli altri  come lui – è capace di cambiare le cose? T’illudi,  questa è gente che si vende, ha paura, tornerà a baciare  le mani al padrone. E i padroni sono abili e voi –  quelli come te – volete lo scopo vostro e vi dimenticate. Dimmi la verità, quanto ti dava il partito? –

     Rocco si difendeva e protestava accanitamente e riuscì a batterlo, perché nelle sue parole si sentiva che esse erano nei cuori di tutti, anche nel cuore di Giappone. L’uno e l’altro, alla fine, capirono le reciproche ragioni e divennero amici e Rocco, dicendo le parole che Giappone gli aveva suggerito – io sono un cavaliere d’onore, qui ci sono cavalieri d’onore – fu accettato nella camorra carceraria.

 

Parte terza

[IV]

 

     Giappone aveva concluso le trattative con gli esterni,  uomini di onore tutti, che dovevano a lui – alla sua  approvazione o iniziativa – se si trovavano occupati  chi alla cucina chi ad altri mestieri, loro che ne avrebbero avuto – secondo i calcoli più miti – almeno  per dieci anni ciascuno.

     Giappone aveva ottenuto la fiducia dell’intera camorra verso di me e quindi promosse l’azione perché  fossi eletto scrivanello, con i pieni diritti all’aria dell’intero giorno, visto che il maresciallo mi faceva schiudere solo quando si trattava di compitare i verbi latini allo zuccone di suo figlio: avrebbero iniziato con la  mormorazione, estesa a uno a uno dei detenuti come  la pagnotta, che il maresciallo sfruttasse l’opera di un  intellettuale e si tenesse un altro scrivanello per tutto  il giorno, un altro scrivanello già addomesticato ai  sacri misteri dell’ufficio matricola.

     Giappone vinse e per notare la mia fedeltà mi  chiamava al cancello anche se non aveva bisogno di  nulla, per vedermi accorrere a servirlo.

     La sera ordinava il silenzio perché cominciava la  mia lettura e a passeggio mi intratteneva a rapporto.

     Sono gli abituali – come Giappone – a fare gli  onori di casa, in carcere. Badano in prima al peso  dell’imputazione, di qualunque natura sia, per distinguere i loro compagni tra temporanei e duraturi e  questi coltivarseli. Sono affidati alle loro cure tutti i  servizi e quelli igienici, anche se loro di solito sono  dispensati dall’eseguirli. Incoraggiano i deboli, scornano  i ricchi, si fanno sempre avanti per le richieste collettive  ai superiori.

     Per un suo criterio Giappone mi volle dalla sua  parte – tra i truffaldini i ladri e i rapinatori – e mi  saggiò in tutti i versi. Si stabilì una battaglia sorda  tra me e lui sotto l’apparente solidarietà di cui fui  investito: – Veramente tu credi che la plebaglia, questa  – mi indicava i suoi stessi soci, e Chiellino e gli altri  come lui – è capace di cambiare le cose? T’illudi,  questa è gente che si vende, ha paura, tornerà a baciare  le mani al padrone. E i padroni sono abili e voi –  quelli come te – volete lo scopo vostro e vi dimenticate. Dimmi la verità, quanto ti dava il partito?

     Mi svincolavo dal suo contatto insinuante e chiamavo Chiellino e gli altri, gli stessi abigeatari, per  gridare le mie ragioni e protestare accanitamente.

     Nessun partito mi aveva mai pagato per alcun servizio, avevo mangiato e bevuto nelle case dei contadini e questi a casa mia secondo le regole intramontate  dell’ ambiente.

     Riuscii a batterio nella discussione generale perché il mondo nuovo che si sentiva nelle parole che mi  venivano da dire era nel cuore di tutti, anche nel suo.

     Cambiò anche i suoi temi e sollevò i suoi occhi su Chiellino come su un ritratto. Prima gli aveva sempre detto: Stupido, barile! gli asini si scerrano, i barili  si scassano. Avessi fatto un corredo alle tue figlie, o  una mangiata buona e venuto qui dentro!

     La sera – prima della lettura collettiva – mi provò ai suoi indovinelli poetici. Perché ognuno di noi due  capì le ragioni dell’altro, fummo amici e ci scambiammo  i favori, così il mio ingresso nella camorra carceraria era sicuro.

     -Senti – dissi al portapranzo fermandolo al cancello – non ti credere, qui ci sono cavalieri di onore.

     Il porta pranzo rimase con le guancie schiacciate  ai ferri e mi guardava, ma non aprì bocca, per non  salutarmi subito suo socio e si capiva che attendeva  altre prove della mia qualifica. lo ripetevo le parole  che Giappone mi disse. – Dici: io sono un cavaliere  d’onore, qui ci sono cavalieri di onore!  Non ti preoccupare, cominceranno a capire.

 

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