Quando i galli si davano la voce è il libro di una vita (Franco Vitelli)

 

     Mario Trufelli ha la civetteria di farsi desiderare. Esce, finalmente, per i tipi delle Edizioni della Cometa di Roma, Quando i galli si davano voce, pp.187, €. 20.

Le Edizioni della Cometa – Periodico Mensile dell’Associazione Culturale Amici della Lettura e dell’Arte – sono state fondate nel 1935 da Libero De Libero (n. 1906 †  1981, poeta, collaboratore di varî giornali e riviste e cultore di arti figurative). Quando i Galli si davano voce, è stato stampato a cura di Giuseppe Appella (storico dell’arte e curatore di origini lucane, direttore del MUSMA, il museo della scultura di Matera) da AGE – Arti Grafiche Europa S.r.l. -, Pomezia, in mille copie numerate da 1 a 1000.

La dedica a Mazzarone (a Rocco Mazzarone che questo mondo ha voluto fosse narrato) e, in fondo alla stessa pagina, l’ esergo di Ernesto De Martino, nel quale – scrive Franco Vitelli– sta tutta la chiave di lettura di quest’ultima prova di Trufelli, sono una prima bellissima e penetrante presentazione di questo libro di una vita:

 

Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l’immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l’opera di scienza o di poesia riplasma in voce universale.

 

Tornerò a scrivere di questo libro, e non una volta sola. Per completare la presentazione mi avvalgo intanto della Nota critica di Franco Vitelli (pp. 185 – 187).

 

«Quando i galli si davano voce è il libro di una vita, dove  Mario Trufelli ha riversato il suo processo di formazione,  battendo all’unisono con il mondo che gli stava intorno  ma proiettandosi in un diverso altrove. La chiave di lettura sta tutta nell’esergo di Ernesto De Martino, per cui  il villaggio vivente nella memoria, riplasmato dall’arte “in  voce universale”, dura come valore dello spirito comunitario. Con scrittura limpida, a tratti poetica, e una struttura narrativa anche movimentata dall’inserimento di  carteggi che contribuiscono felicemente a una variatio  espressiva e al progredire dell’azione, Trufelli ci fa rivivere in dimensione socio-antropologica la vita di un paese  del Mezzogiorno durante il fascismo e nel successivo periodo postbellico.

In quest’ambiente, che ha sullo sfondo la cultura in equilibrio di una civiltà millenaria con i suoi antichi usi e costumi, precipita il turbamento devastante di un duplice  suicidio; sottile, invece, s’insinua quello dell’amore che  assume le sembianze di un sentimento timoroso e pudico per la coscienza che non può mai essere effettivamente consumato nelle situazioni contingenti. La piazza, con  la sua ricorrenza, diviene punto di riferimento; luogo nevralgico ove gl’incontri seguono il ciclo rituale della normalità quotidiana nella presenza contrastiva dell’orologio  che ammonisce per un tempo in direzione del cambiamento. E dentro la sua cornice si rappresentano gli eventi, la lettura del canto di Paolo e Francesca con l’eccezionale interpretazione di Nando Tamberlani e l’opera buffa delle adunate di regime. Gli incastri di frammenti evocativi del paesaggio servono a dare respiro e testimonianza della bellezza naturale rimasta quasi intatta.

La preoccupazione documentaria facilmente s’indovina e  vale a mettere sul saldo le voci suggestive della memoria che cercano un’ autonoma esistenza. La scoria circola veicolata da un groviglio di problemi e istanze: essa permea  lo spirito della narrazione col peso insopportabile della  ragnatela fascista e della prepotenza padronale; con le legittime aspirazioni del mondo contadino rappresentare  nei momenti tumultuosi della rivolta, ove aleggia l’ombra di un giovane “pelorosso”, con il disastro della guerra, che più virulenti fa sentire i suoi effetti nei luoghi di  miseria. Quando i galli si davano voce in efficace metafora esprime le segrete corrispondenze che vengono a stabilirsi nel tempo buio della mancanza di libertà e prelude  all’alba nuova della rinascita, al germoglio di nuovi semi  per la ricostruzione.

Fedele Martino, il professore in pensione zio del podestà,  e don Armando, il prete colto punito col trasferimento  perché in diretto contatto con Francesco Saverio Nitti,  formano una singolare coppia di antifascisti che quasi si  logora nelle interminabili discussioni e analisi, mantenendo tuttavia sempre accesa la fiaccola della speranza.  Forse, la nota di maggiore forza del libro, quella che più  lo caratterizza, è la rappresentazione dell’ esperienza dei  confinari che trasferisce nel borgo i riverberi di una scoria lontana e fa intrecciare inediti rapporti di vira corale.  Rispetto a Carlo Levi, viaggiatore esterno pieno di una  travolgente carica amorosa, Trufelli aggiunge al tema del  confino il punto di vista del popolo ospitante di cui lui  sresso è parte. Nel ruolo di testimone fedele consegna al  lettore un referto dal fascino sicuro, frutto della prodigiosa memoria di un ragazzo; quel Ninì io narrante e protagonista, cresciuto ormai e andato al mondo per la sua  strada.

Nello studiolo dell’usciere giudiziario, zona franca dove i  canonici si riuniscono, risalta in microcosmo l’universo dei preti, scrutati con finezza psicologica e penetrante  ironia durante i loro accesi confronti: uno che oscilla tra  storia e domina, leggi razziali e ruolo degli ebrei per la  Chiesa; e gli altri sulla guerra e la posizione da tenere nel  referendum monarchia/repubblica. Ma, come specie si  addice alla sede di una Diocesi, il mondo ecclesiastico  condiziona la vita e ne determina gli orientamenti, divenendo parte importante del sistema sociale. Di qui la  plurima irradiazione nelle pagine del romanzo e il fatto  che don Armando conduca il filo della vicenda insieme a  Ninì, non a caso e simbolicamente a lui vicino nel momento della morte. Personaggio riuscitissimo rimane  quello del Vescovo, che Trufelli ritrae nelle sue collaudate capacità di rapporto con le Istituzioni e il potere, mimandone sinanche il linguaggio curiale, ora solenne ora  insinuante, che ce lo fa sentire vivo e operante in mezzo  a noi».

 

 

 

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