Vituccio ‘u strazzàr prendeva il fresco sull’uscio del bugigattolo in viale Regina Margherita, all’angolo del largo Motta, dove teneva radunate le cianfrusaglie che raccattava, comperava e vendeva per esercitare il mestiere implicito nell’appellativo del suo nome, e cazzava menele e nucedde (sgusciava col martello mandorle e nocelle). La gente, passando, lo salutava all’uso nostro – o all’uso dei mie tempi, non so: – Vitù, ce fai? – [Vituccio, che fai?]. Allora (e spero tuttora) a Tricarico i saluti erano affettuosamente cordiali e partecipativi, esprivano senso comunitario, non ci si salutava con i formali buon giorno e buona sera. – Ce fai?; Osce  ce te  mangi? A ci aspitt? [Che fai? Oggi che mangi? Chi aspetti]-.

 Silveria Gonzato Passarelli, veronese, insegnante di lingue a Verona e moglie di Peppino Passarelli, ha pubblicato un libro di poesie intitolato semplicemente Tricarico, vantandosi – a giusta ragione –  di essere una veneta più lucana dei lucani e più tricaricese dei tricaricesi. Una poesia, intitolata per l’appunto Cosa ti mangi oggi?, tratta di questo nostro modo di salutare, richiamando varie altre forme: su come va la salute, su come stanno i parenti, sul più e sul meno, sui ricordi e sui nuovi eventi. Sul mangiare si accende una discussione col marito. Perché, per salutare, si chiede cosa uno mangia?. Peppino non lo sa, ci pensa un momento, ricorda che lo diceva il padre e non attribuisce al fatto alcuna importanza. Invero questa forma di saluto non solo esprime lo spirito comunitario che ho ricordato, ma ha fondamento in una ragione particolare: non a tutti si poteva chiedere cosa avrebbe mangiato, ma solo a chi si era certi che aveva qualcosa da mettere a tavola, costituiva, quindi, riconoscimento e attestato di condizione sociale. E quando capitava che il salutato avrebbe mangiato verdura, chiamata foglie – cibo vilissimo perché costava una miseria e di verdure selvatiche se ne trovavano in quantità sulle scarpate e i fossi -, bisognava trarlo dall’imbarazzo; tra i due si svolgeva questo dialogo: – Che ti mani? – Eh, oggi foglie! – Buono! ogni tanto bisogna rinfrescare e pulire l’intestino.

I Canonici del Capitolo – don Mauro Dente, don Peppe Uricchio (Pizzilone, il terribile direttore didattico capo dei nittiani, terrore di generazioni di tricaricesi), don Erasmo Lopresto, don Giacinto La Rocca, don Ciccio Miadonna … – tutte le sere, alla solita ora, facevano la loro passeggiata sul marciapiede opposto al bugigattolo di Vituccio; giuntigli di fronte, si fermavano a salutarlo con un mezzo inchino del capo:

– Vitù, ce fai?-

– Cazzo -.

2 Responses to Vituccio ‘u strazzar

  1. Mery Carol ha detto:

    Ciao a tutti gli amici innamorati di Tricarico!
    Osce ce v mangiat ?

  2. paolo ha detto:

    Vtocc (per chi non l’ha conosciuto) nella sua povertà, apparente, era uomo e galantuomo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.