«Nello studiolo dell’usciere giudiziario, zona franca dove i canonici si riuniscono – scrive Franco Vitelli nella Nota tecnica – risalta in microcosmo l’universo dei preti, scrutati con finezza psicologica e penetrante ironia durante i loro accesi confronti: uno che oscilla tra storia e dottrina, leggi razziali e ruolo degli ebrei per la Chiesa; e gli altri sulla guerra e la posizione da tenere nel referendum monarchia/repubblica».

     I canonici, racconta ironicamente Mario Trufelli, discutevano in conclave nell’ufficietto dell’ufficiale giudiziario. Nel racconto affiora il vivo ricordo di uno spaccato della vita nella piazza di Tricarico negli anni Trenta/Quaranta, quando sul fare della sera i canonici si riunivano nell’ufficietto di don Michele Valinotti, nonno di Mario Trufelli o, quando il tempo lo permetteva, prendevano il fresco seduti accostati al muro. Qualche volta si sedeva anche mio padre e, comunque, Mario ed io trovavamo il pretesto di intrufolarci per sentire i discorsi dei monsignori, titolo cui i canonici avevano diritto.

    Quando il vescovo Delle Nocche entrò a Tricarico – scrive don Beny Perrone – a riceverlo ci fi il capitolo cattedrale al completo: i dodici canonici, i mansionari, tutti esponenti di un organismo antico e ancora vitale nell’esercizio delle sue funzioni. Quei preti erano fieri di rivestirsi delle loro insegne; le mozzette violacee e, nelle grandi occasioni, la cappa magna; una lunga stola con un rosone che scendeva sul lato sinistro, la cappa con il cappuccio e l’ermellino. Il gusto dell’abbigliamento evocava vecchie armonie rinascimentali. Mario ed io eravamo presi dal fascino di questa fierezza e grandezza e godevamo del privilegio di poter essere talvolta ammessi o tollerati ai conclavi nell’ufficio del nonno.

     Torniamo al romanzo. Samuele Hanau è stato sepolto la mattina, i discorsi dei canonici si concentrano su di lui e la sua condizione di ebreo. Con finezza psicologica emergono diversità di opinioni, dalla netta posizione antisemita di don Giacinto alla ironica opposizione di ogni forma di condanna degli ebrei di don Armando (don Peppe Uricchio). L’usciere giudiziario riferisce le poche notizie che è riuscito a raccogliere in pretura, suo luogo di lavoro, dove, confida, «si controllano anche le confidenze».

     Ma giungono ben altre novità: la convocazione del vescovo per comunicazioni urgenti, recata da Gennaro, factotum dell’episcopio, per le dieci dell’indomani. Di che vorrà parlare il vescovo? Vorrà forse anticipare notizie sul progettato Congresso Eucaristico, che si sarebbe tenuto tra un paio d’anni? Ma non è troppo presto? E perché tanta urgenza?

 

 

Era tornata la luna piena come dopo uneclisse e i canonici in conclave nellufficietto dellusciere discutevano le novità.

«Adesso ci aggiorniamo» disse don Giacinto mentre si sistemava sulla sedia: era come se si posasse sopra un cumulo di domande per le quali aspettava impaziente le  risposte. Don Oreste, allangolo della scrivania, lontano il più possibile dal fumo della pipa e dei sigari toscani che appestavano laria, si dondolava sulla sedia con finta indifferenza. Don Paolo, il fratello di don Alfonso  (due preti esaltavano il prestigio della famiglia), canonico numerario nel Capitolo Cattedrale, parlava poco, ma  era nota la sua franchezza. Se ne uscì con alcuni interrogativi.

«Vi risulta che in diverse città italiane i nomi di molti  ebrei, di quelli più in vista nelle attività commerciali, sono scomparsi dagli elenchi telefonici? A me sì, E che a molte famiglie sono stati requisiti finanche gli apparecchi  telefonici? A me sì. Però non capisco perché è stata vietata ai giornali la pubblicazione a pagamento di avvisi di  morte di cittadini ebrei. È proprio il caso di dire che lebreo Samuele ... qual era il suo cognome

Don Giacinto, sollecito:

«Hanau, con l’acca davanti. Nome tipico».

Don Paolo non raccolse la precisazione e continuò: «Stavo dicendo che il confinato Samuele Hanau, anche  da morto, non avrebbe avuto in nessun altro posto, nemmeno nella sua città, l’affettuosa partecipazione che gli è  stata riservata qui. Perciò, requiem e così sia».

«L’esibizionismo non appartiene ai morti, semmai sono i morti che hanno pietà dei vivi e non scherzano sulla loro sorte» disse don Giacinto con la sicurezza di chi sa  di stupire.

E don Paolo, secco:

«Fanno bene, fanno quello che chiediamo quando preghiamo per loro, continuano a proteggerci. L’esibizionismo è dei vivi, anche di noi preti quando esaltiamo nelle cerimonie funebri le morti eroiche».

Provvidenziale fu larrivo di don Armando e don Alfonso che avrebbero voluto riferire della sepoltura di Samuele, ma avevano ben altre novità. Era giunta la convocazione del Vescovo alle dieci del giorno dopo presso l‘episcopio. «Per urgenti comunicazioni» aveva detto Gennaro, il segretario del Presule.

«Ci vuole incontrare tutti e cinque. Gennaro lo abbiamo incontrato in piazza mentre veniva qui ad avvisarci»,  Partirono sguardi da ogni parte, alcuni pensosi, stupito quello di don Giacinto il quale esclamò:

«E io che centro? ».

«Perché sai già di che cosa ci deve parlare Monsignore?» reagì pronto don Armando.

«E se ci vuole informare sulle iniziative che bisognerà prendere per il Congresso Eucaristico che ha intenzione di indire fra due anni

Don Giacinto, quasi rincuorato:

«Sarebbe una buona cosa. C’è sempre la necessità di richiamare l‘attenzione della gente a capire nei limiti del  possibile il mistero dell‘Eucarestia».

E con le mani in alto, come sull‘altare:

«Cosa disse nostro Signore? lo sono il pane della vita».  Una pausa, un rapido ripensamento e una domanda:

«Ma perché dovrebbe parlarci così in anticipo del Congresso Eucaristico?»

Don Armando, serafìco:

«È una mia supposizione. Domani mattina alle dieci – il Vescovo tiene alla puntualità – conosceremo il motivo per il quale vuole incontrarci. Questa chiamata tutti e cinque per domani mi giunge nuova. Sento sussurri di confessionale». Tacquero per qualche secondo, ne approfittò lusciere giudiziario per ottenere finalmente udienza. Cominciò a leggere da un quaderno a quadretti sul quale annotava appuntamenti e scriveva nomi indirizzi di avvocati e destinatari degli atti giudiziari.

«Il confinato Hanau Samuele, di razza ebraica, sospettato di far parte di società segreta per finalità antinazionali, passato clandestinamente in Francia e riportato alla frontiera italiana, è stato condannato a mesi due di carcere. Pur tuttavia ha continuato a fare propaganda contro il regime fascista con grottesca ironia e c’è chi ha riferito alla polizia che durante una riunione segreta sarebbe stato assegnato allHanau e ad altri suoi compagnilincarico di attentare alla vita del Duce».

«Ora si spiega larrivo degli ispettori inviati dal prefetto Bocchini con lordine di arrestare il confinato».

«L’ebreo, vuoi dire» intervenne provocatoriamente don Armando.

L‘altro, mettendosi il dito sulla bocca per chiedere la riservatezza dei suoi ospiti:

«Vi ho riferito quel che mi è stato possibile sapere. dentro, negli uffici della pretura, si parla poco, si controllano anche le confidenze».

 

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Il personaggio di Gennaro, segretario del vescovo, è ispirato a Ciro, factotum più che segretario di mons. Delle Nocche e dell’episcopio. Anzi, nessuna della molteplici incombenze cui veniva adibito aveva la più lontana attinenza con mansioni di segreteria. Ciro, col linguaggio di quei tempi, quando le colf erano serve, era per l’appunto il servo del vescovo. Veniva da Portici, parlava una dialetto porticense stretto e non ha mai imparato il lucano. Il nome Ciro pareva strano e un po’ ridicolo; induceva a pensare alle scatole di pomodoro Cirio, la sola marca di pomodori in scatola che si conoscesse. E, quindi, Ciro, veniva chiamato A Buatt, I ragazzacci glielo gridavano dietro per strada, ma egli aveva la pazienza e il buon senso di non reagire. Dopo la morte di moms. Delle Nocche tornò a Portici.  

 

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