I RACCONTI DI ROCCO SCOTELLARO__Il paese
Al romanzo o racconto lungo Uno si distrae al bivio di Rocco Scotellaro sono stati riuniti i frammenti dell’Uva puttanella che non fanno parte del libro edito dall’editore Laterza e seguono otto racconti.
Procedo alla pubblicazione dei racconti, conclusi i quali pubblicherò i frammenti.
Il paese
Tutti d’accordo: per le tre di mattino sarebbero arrivati sotto casa il compare Giuseppe e sua moglie, con l’asina. Essi che dovevano a quell’ora levarsi per arrivare per tempo in una contrada presso la stazione, si offrirono ad accompagnare me e mia madre alla stazione per farci prendere il treno.
Caricarono i nostri bagagli sull’asina. Ma pure a quell’ora un altro compare aveva messo a disposizione due ragazzi suoi e due muli perché ci scortassero. I ragazzi, Ninuccio aveva 18 anni e Paolo un po’ meno, tardavano a svegliarsi. Ninuccio soprattutto che avrebbe anche lui preso il treno per andare la prima volta in città. Giuseppe, il compare, era impaziente. Alle quattro, massimo, bisognava avviarsi per fare in tempo, alle sette, a prendere il treno:
– Mentre, – si affannava a dire – la corriera parte alle sei meno poco, noi dovremo arrivare prima, prendendo scorciatoie una dopo l’altra.
Finalmente Paolo scese da casa nella stalla a prendere i muli, poi scese Ninuccio, tardo con le mani sugli. occhi.
Ci avviammo. Il padre di Ninuccio e di Paolo, dietro il nostro corteo, raccomandava il muletto a Paolo, gridando forte di non montarlo, di non metterlo a galoppo. Svoltammo senza guardare nessuno le finestre tappate di ombra calda che si sarebbero aperte dopo molta strada.
C’era buio, nei tratti più oscuri accendevo la lampadina che mi doveva servire nel treno. Quando Ninuccio me la scorse volle trovarsi in tasca le cartine, sfarinare il tabacco forte e ravvolgersi una cicca. Si era appena sulla rotabile, si guardò tutti adestra in un vallone calmo di nebbia bianca, come lago. La moglie di Giuseppe ci disse:
– Le ragazze a mondare si bagnano le gambe – e rise.
Ninuccio ancora:
– Si rinfrescano – disse con la bocca piena.
Bisognava salire a cavallo sui muli e sull’asina: io e Ninuccio sul mulo più vecchio; mamma sul muletto nel basto, Paolo ne portava la cavezza perché era pericoloso lasciarlo a se stesso. Giuseppe fece complimenti alla moglie. Lei piccolina, con la sua veste lunga e larga, preferì andare a piedi: – La faccio ogni mattina questa strada – disse con tanta convinzione. La vidi far passi lesti da monaca, avrei voluto scorgerle i capelli bianchi come nebbia sotto lo scialle. Il compare Giuseppe decise. Lui si mise sulla groppa dell’asina carica già dei bagagli, e ci precedeva. Poi veniva il muletto, poi il mulo vecchio, mio e di Ninuccio. E la moglie di Giuseppe andava scartando i sassi di lato.
Si pensava alla nebbia. Nelle conche tra i monti, finoa una certa altezza, dilagava, formava dei ponti. – Il mare – mi disse Ninuccio – da noi non ci sta. – Il mare – gli risposi – è molto lontano da noi. E subito dopo una pausa, parlammo d’altro.
Lui disse che se veniva chiamato a fare il militare, si sarebbe gettato con un salto sulle ragazze; chi gli avrebbe detto niente? – Mentre di quà si può giocare solo quando si monda il grano, ma ‘le ragazze vorrebbero … Sono i genitori! – Lui però una ragazza l’aveva salita. A quell’ora dormiva. Gli domandai, staccando che faceva in campagna, tutto il giorno, d’estate. Mi disse che più volte si metteva a dormire nel fieno.
– Ma ci sono i serpenti, non hai paura?
– Che? – recise lui – del muletto ho paura, che scappa o me lo portano via. E allora lo lego con un capo della cavezza a un albero e con l’altro capo alla mia mano; così se lo staccano dall’albero, staccano anche me .
. Volevo chiedergli com’era l’annata, ma lui continuò che sognava le ragazze. Che ieri domenica a sera aveva ballato in una casa, aveva ingoiato tanto vino che se lo sentiva ancora in bocca adesso.
Venne la prima scorciatoia, scendevamo nella nebbia.
– Siamo nel mare – dissi.
– Macché mare – disse lui – mettiti il fazzoletto sui capelli perché punge e prendi la bronchite!
C’erano di là le masserie e s’affacciavano i cani ad abbaiare:
– Sono i fondi di Monaco – m‘avvertì Ninuccio.
Gli altri andavano avanti silenziosi; Paolo tirava la cavezza ma forse camminava dormendo. Giuseppe scese dall’asina e rimase dietro a fare bisogna. Scendemmo tutti e camminavamo a piedi perché era scomodo. I muli così incominciarono ad annusare il terreno strappando ciuffi d’erba. Così con Ninuccio parlammo delle cose della terra, aspettando che Giuseppe si sbrigasse. Penso che poteva già aggiornare, ma noi si parlava ancora come fossimo all’oscuro. Giuseppe ci raggiunse. Veniva l’altra scarciatoia tra due file di querce in piano. Dicevo:
– I serpenti nell’erba stanno dormendo.
Ninuccio diceva a Paolo che non s’azzardasse a mettersi sulla groppa del muletto, ma Paolo l’addamesticò lisciando il pelo, finalmente senza scosse salì sulla groppa. Fummo tutti attenti e Paolo fu tanto lesto da non lasciarci il tempo di gridare prima di spaventa poi di gioia. Ninuccio però sembrava rabbioso e, volto versa di me:
– Va là coi serpenti – disse – di là, più avanti, troveremo campi di fave e ne mangeremo.
– Su in paese non ci sono ancora.
E disse che venivano i luoghi bassi, il frumento e l’avena e l’orzo crescevano meglio e i frutti vengono prima carnosi sugli alberi:
– Questi luoghi però non sano nostri, appartengono all’altro comune, sono dei Grassanesi.
L’asina davanti si arrestò. Giuseppe disse allora alla moglie:
– Bè, tu te ne vai di quà, che vieni a fare alla stazione?
Diceva alla moglie che lui sarebbe venuto con noi. La comara ascoltò come una giovane sposa. Venne da mia madre e da me, disse:
– Buone faccende e ritornate presto. Noi rispondemmo:
– Statevi bene.
E la vedemmo allontanarsi tenendo sollevata la mano che ci aveva dato.
Il compare la richiamò. Poi dando passa all’asina coi talloni, diceva: ,
– Accendi il fuoco con qualche ramo. Mettiti sul letto fino a che sale la nebbia e prepara la colazione.
Alzai gli occhi, vidi che nebbia tanta non ce n’era. Doveva essere così. Verso una certa ora la nebbia saliva a far le nubi e il cielo tristo. Ora galoppammo allegramente nel piano. Ninuccio se ne scese dalla groppa mentre si galoppava, s’inoltrò tra le piante verde-cupo delle fave, tutte le tasche le riempì e di quelle che mi portò io detti alcune a Paolo sul muletto e Paolo disse:
– Tra 15 giorni!
– Tra 15 giorni – disse Ninuccio.
– Anche da noi fave a non finire!
Ancora era discesa adesso. Ci venivano incontro buoi e cavalli usciti al pascolo e sempre nuove e più belle masserie dei Grassanesi.
– Quei cavalli – disse Ninuccio – il padrone li ha comperati piccoli e per poco e adesso, com’è quel cavallo che ci guarda con la testa alta, minimo ventimila carte grasse. Guarda ancora quanti sul ciglione, una trentina, dove ne trovi al paese? I Grassanesi sanno fare, meglio di noi e sono pure favoriti perché posseggano il piano.
Ragliava venendoci incontro un’asinella sarda. Ninuccio diceva:
– Che infelice! Guarda che pare una capra, fa i passi della gallina, che scema! e annusa il muletto che vuole? Brr. Brr. Brutta scema!
L’asinella rimase dietro di noi e ci guardava sbalordita.
Ninuccio disse:
– Eccone un’altra scema, giù. Il padrone non ha che pensare, compra quelle bestie inutili e sceme per lusso. Il padrone è grassanese. Io vidi la masseria con una torretta troneggiante e pensai come il padrone poteva divertirsi con le asinelle e le altre cose di lusso.
– Tutto è lusso, che fai? – gli .dissi – non pensi a quelli che sono partiti con la corriera?
– Fessi loro, vanno pigiati e il viaggio finisce subito mentre la strada è lunga e non vedono tante cose e rischiano di restare a terra.
Allargò la mano, la spinse intorno dominante da sul mulo:
– Non vedono tante cose – disse – Ecco quà quanti fiori! diceva nomi di fiori e di piante in dialetto, che non capivo: – quest’erba i Grassanesi la mangiano; acerba è, molto.
Lui a Grassano non c’era mai stato benché fossero pochi chilometri. Facevano festa grande a settembre in onore di Sant’Innocenzo. Ci fiancheggiavano lembi di terra con fiori bianchi e papaveri ed erba verde. Sembravano vesti di fanciulle. Ninuccio guardò che mi piaceva:
– Lì- si mise. ad insinuare – una ragazza, eh?
Ma gli risposi: .
– Passa la gente come si fa?
Non sapeva.
Ci mettemmo a correre, fummo di nuovo sulla rotabile per dove sarebbe venuta la corriera, ed eravamo d’un tratto vicino alla stazione, fatta di un po’ di palazzi, di rotaie e di gente nera che girava attorno. Le acacie a destra e a sinistra con i grappoli appassiti dell’altra estate parevano donne partorite, neanche Ninuccio sapeva perché. La corriera ci raggiunse.
Noi fermammo i muli per non farli adombrare. Si dette grande aria Giuseppe, diceva che l’asina s’adombrava, ma Ninuccio ne rise. La corriera ci passò. La guardammo, era una gran cosa, che non poteva fermarsi a perder tempo. Ninuccio fu rabbioso, perché si doveva un po’ prima accelerare per non farci sorpassare”
– Ma non ci pensiamo – poi disse a Paolo – tu ritorni e se attacchi la strada giusta, puoi arrivare in campagna nostra molto presto.
Paolo disse di sì. Giuseppe si sbrigò a scaricare:
– Grazie – ci fece – caffè non accetto, farò colazione con mia moglie. .
– Saluti a tutti – disse trionfante mia madre, che scesa dall’asina, si metteva a correre in varie direzioni, diceva di far presto e si vedeva confusa.
Ninuccio mi scosse:
Guarda, guarda che c’è quel soldato paesano che Paolo
gli offre un passaggio sul mulo e rifiuta, senti: «no grazie, vado con la corriera, non mi ci troverei, si arriva tardi, no grazie! »
Paolo disse al soldato: – Tanto piacere – e gli fece saluti con la mano.
_ Ciao – disse il soldato con voce di femmina.
_- Statti buono _ gridammo a Paolo io e Ninuccio e la mamma, e: – Attento che non cadi.
Così il paese era finito alla stazione con quelle parole.
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