Foss murt tatt e non u ciucc    

La requisizione dei quadrupedi (la … chiamata alle armi degli asini, dei muli e dei cavalli) fu un’operazione improvvisa e inaspettata. Sembra che neppure il podestà fosse stato avvertito. Il professor Fedele Martino si affaccia di buonora al balcone della sua casa e trova la piazza trasformata in stalla. Dell’evento ci si ricordò a lungo a Tricarico, divenne elemento di racconti e discussioni nella casina dei galantuomini e nel caffè Scardillo.

     La commissione incaricata di scegliere i quadrupedi idonei ad avere l’onore di servire la patria combattendo le guerre di Mussolini, era presieduta da un capitano veterinario, friulano, autoritario, tutto compreso dell’importanza della sua missione.  Dava uno sguardo distratto alla bocca dell’animale, a cui un militare con la punta delle dita aveva allargato le labbra, ed emetteva il giudizio di idoneità, che portava la disperazione nelle case dei contadini già private delle braccia dei figli, mandati a combattere sui vari fronti, e ora private anche dell’indispensabile compagno di lavoro. Chi avrebbe più tirato l’aratro per seminare?, chi avrebbe trebbiato il grano?, chi avrebbe trasportato la legna?

     Nulla poteva far cambiare il verdetto del capitano. I ragazzi gli  cantavano il Canto del cafone (questo titolo è della versione in lingua di Michele Parrella – Se mio padre fosse morto / e l’asino vivo. / L’asino andava a legna / e mio padre a vino. /Fosse morto mio padre / e l’asino vivo. [ ….] / Se l’asino fosse vivo /e mio padre morto / salterei tra il cupo cupo sulle canne. [….] / L’asino andava a legna / e mio padre a vino. […. ] ) . Glielo cantavano in dialetto il Canto : – Foss murt tatt / e none u’ ciucc / u’ ciucc scia a lèun / e tatt none. / U’ ciucc uaragnava li quattrin / e tatt si li fricava nda cantina -. Il capitano, offeso e sdegnato, si chiedeva in quale terra di barbari fosse capitato.

     Il podestà era un colonnello della riserva, che fu irritato dal comportamento del capitano veterinario ed ebbe con lui un acceso diverbio, che, stando per degenerare, il podestà/colonnello troncò appellandosi alla differenza di grado. Il capitano battè i tacchi e tacque. Ma il suo comportamento non cambiò.

     Nella casina dei galantuomini si discuteva l’accaduto. Un austero signorotto di campagna di mezza età, del quale non importa fare il nome, come non importa sapere chi, anagraficamente, fosse Laura cantata dal Petrarca – in giacca alla cacciatora, stivali, camicia a quadretti e papillon, baffi e pizzo alla Vittorio Emanuele II, aspetto militaresco, insomma – criticava il podestà: – Rocco ( Rocco era il nome del podestà) ha fatto male a declinare i suoi gradi. Non si fa. Io non l’avrei fatto e non l’ho mai fatto! -.  Il capitano veterinario, che sorbiva un caffè al banco, si avvicinò, batté i tacchi, salutò militarmente e si presentò: – Permettete: Capitano Tizio e Caio. Con chi ho l’onore ? – Comodo, comodo –  rispose l’austero signorotto – Sempronio, caporal maggiore d’artiglieria! –

     Lasciamo ora raccontare l’episodio della requisizione dei quadrupedi alla felice penna di Mario Trufelli.

Fedele Martino si affacciò di buonora dal balcone della sua casa e si trovò di fronte a un’immagine assolutamente insolita della piazza: l’ampio spazio squadrato con i ciottoli di fiume, che all’alba luccicavano di rugiada, si  era trasformato in una stalla all’aperto.

Paglia sparsa da ogni parte, come in una taverna, e decine di cavalli muli e asinelli, che affondavano beatamente  la testa in quel tappero di stoppie, con accanto i proprietari chiusi in un silenzio ostile.

Durante la notte una compagnia di soldati di leva, con  quattro camion militari, aveva preso possesso della piazza e in poche ore l’aveva convertita in stallaggio pubblico. Al comando, un ufficiale medico, un veterinario piuttosto anziano e di poche parole, che agitava di continuo in mano un frustino. Esaminava uno per uno gli animali: nella bocca, che un militare spalancava con due mani  addestrate, nei movimenti, al passo e al trotto. All’istante ne decideva il destino con una parola che quella mattina venne ripetuta più volte: «Idoneo».

Era in atto la requisizione obbligatoria dei quadrupeti per motivi bellici.

Il pianto di un giovane costretto a consegnare il proprio cavallo, un superbo murgese nero che venne fatto salire  lungo una pedana di legno sopra un camion, scosse la  piazza.

Un mormorio, prima sommesso, si diffuse subito tutt’intorno. L’ufficiale veterinario insolentito chiedeva il silenzio, ma rispondevano imprecazioni. A un vecchio contadino che lo supplicava dicendo «Con questo mulo ariamo la terra, ci è rimasto solo il mulo; l’unico fìglio che ci  dava una mano è stato richiamato», l’ufficiale rispose, a  denti stretti e con mezzo sigaro in bocca, che quelli erano gli ordini.

Un altro contadino si era attaccato al collo del suo cavallo, era ostinato e si rifiutava di consegnarlo ai soldati. Si  arrese in lacrime quando un amico, al quale avevano requisito due asini già dirottati sui camion, gli fece capire  che stava correndo un serio rischio di essere arrestato.  Fedele Martino aveva seguito la scena con profondo turbamento. Quando la requisizione stava per concludersi  venne raggiunto da don Armando, che con la fine dell’anno scolastico aveva chiuso con l’insegnamento nel Seminario di Salerno per volontà del Vescovo.

Il presule così gli aveva parlato: «Don Armando, ora sarete molto più utile qui; c’è tanta inquietudine nelle famiglie. La guerra si sente, anche se non si vede. C’è tanta povertà in giro. Il nostro compito è di stare con la gente».

La prima immediata riflessione di Don Armando, quando dalla piazza ridotta a un sudicio bivacco, vide i camion militari che si portavano via un campionario dei  migliori quadrupedi del paese: «Di sicuro li spediranno in Russia. Un’altra follia di Mussolini, che va a dare una mano a Hitler. Ma quando mai! L’esercito è già cosÌ male armato e manda in guerra muli cavalli e asini. Certo,  gli animali nella neve se la cavano un po’ meglio degli uomini

 

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