Ho ricevuto un messaggio di ringraziamento per il post in cui ho riportato, con una breve mia premessa, un brano del racconto Tempo di inverno di Enrico Buono. In questa premessa ho ricordato il “giovane” Cartabianca (giovane rispetto al Cartabianca spaccalegna e magico suonatore di organetto ricordato da Buono), che ha allietato i felici momenti di svago della nostra giovinezza – di noi oramai ultraottantenni – con la sua fisarmonica, accompagnato dalla chitarra di Paolo Luisi, che ricordo tutt’uno con la sua chitarra, segno di una grande passione musicale, ereditata dalla madre Paolina. Questo amico mi ha ringraziato per averlo fatto tornare giovane, “mi hai commosso” mi ha scritto. Gli ho telefonato e abbiamo parlato di Cartabianca e di Paolo, e poi del trio di amicizia che essi costituivano con Lenardecchia, piccolo di statura con faccia volpina, che passione musicale non aveva affatto, e faceva il portiere all’ospedale. Ho saputo – senza che avessi chiesto notizie in proposito – che sono morti tutt’e tre. Non volevo saperlo, io non voglio più chiedere di amici e conoscenti che ho lasciato a Tricarico, per non sentirmi dire che sono morti. Se non chiedo, li lascio vivere, mi dico. E neppure di Cartabianca, Paolo e Lenardecchia chiesi nulla di come se la passassero ora, ma il mio amico mi disse che erano morti tutt’e tre, che si trovava a Tricarico quando morì Paolo e partecipò alla Messa di suffragio presso la Chiesa di Sant’Antonio, stipata di gente, mentre altrettanti e forse più amici di Paolo partecipavano al rito sul largo piazzale.

   Come i grani di un rosario i ricordi si sono quindi snodati nella mente. Innanzi tutto, il ricordo della madre di Paolo, Paolina, e della sua passione musicale per i canti popolari. Ho scritto il suo nome sul motore di ricerca Google e ho trovato due link, che la presentano come una delle esecutrici più significative registrate durante la ricerca di Ernesto De Martino e Diego Carpitella, mentre negli anni finali della sua lunga vita esegue con voca roca ma sicura alcuni brani e la classica tarantella accompagnata dal battito delle mani. A un certo momento prende tra il pollice e l’indice due lembi della maglia e accenna a una danza col corpo.

   Mi sono ricordato del post che pubblicai su questo blog l’11 febbraio 2011 intitolato L’orologio di Santa Maria del Lombardi, col quale accendevo una polemica con Mario Trufelli sull’esattezza di un suo ricordo nel bellissimo libro L’ombra di Barone. Scrissi in quel post: « A Tricarico, Dalla parte di Rocco, Mario inciampa nei ricordi. Sono anche i miei ricordi. Abbiamo la stessa età, abitavamo di fronte, lui era di casa a casa mia e io ero di casa a casa sua. Il compagno di scuola, ritrovato in uno squarcio della memoria, che con mira infallibile abbatteva i passeri con la fionda, anch’io l’ho ritrovato nella mia memoria con la sua faccia e il suo nome; io so chi è Paolina, che Mario ritrova e fa ritrovare a me. Ecco perché qualche spruzzata di nebbia nella memoria di Mario mi feriva l’anima».

   Il compagno di scuola, che non nominavo e di cui allora non facevo il nome, à Albertino Riccardi, che abitava sotto la casa di don Michele Lauria, l’ufficiale postale, dove le sorelle gestivano un asilo infantile privato; Albertino non l’ho più rivisto, e non ho mai chiesto di lui, non chiedo, voglio lasciarlo in vita, ricordarlo com’era, con la sua fionda tesa e un occhio socchiuso nell’attenta mira. Paolina era Paolina Luisi, di cui Mario scrive: « nell’abbraccio di una donna anziana che mi accoglie con lo stesso trasporto con cui si riceve un parente o un amico caro ritrovati dopo anni di assenza. E’ Paolina, una donna alle soglie dei novant’anni ma esuberante e loquace. E non è un semplice ricordo per me. Ha sempre sostenuto di avermi fatto da balia quando mia madre, della quale non penso di profanare l’immagine, era presa dalle faccende domestiche e il bambino, in fasce, piangeva nella culla»; e ancora, più avanti, «… mi anticipa la commozione della vecchia Paolina. Non si è allontanata neppure un istante dal mio fianco; sono ormai un suo ostaggio, come quando ero in fasce. In un visibile rimpianto, la donna non presume di raccontare la vita di Rocco, conclusasi a trent’anni, ma ne celebra la morte, una morte improvvisa, neppure lontanamente annunciata, che risuonò per i contadini di Tricarico come un brusco, doloroso colpo inferto alla speranza. E siamo tanti ora a rivivere il funerale del poeta»

   Paolina Luisi, all’anagrafe Teresa Lotito, subisce la metamorfosi del nome che sembra l’invenzione fantasiosa di un romanziere. Teresa a pochi mesi di vita perse il padre, che si chiamava Paolo; la madre, chiamandola Paolina, ricordava il marito; e Teresa, crescendo, divenne una bellissima ragazza, sempre più bella come la “bella Luisa”, una antenata del padre, donna di rara bellezza.

   Una nipote di Paolina si è laureata con una tesi sui canti popolari materani, in cui  ha la nonna la avuto spazio di protagonista. La tesi è stata presentata a Tricarico; io, ovviamente, non c’ero, ma mi è stato riferito il successo che ebbe e l’interesse che suscitò. Penso che, non so in che forma, il lavoro della nipote di Paolina, per il valore culturale rappresentato dalla storia di un incontro tra studiosi – tra Ernesto De Martino e Diego Carpitella in particolare – e cultura popolare nel materano, meriti di essere pubblicato e di diventare patrimonio accessibile a chiunque abbia interesse. 

 

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