Devo alla cortesia di Enza Spano Spano anche questa poesia di Enrico Buono, dove l’usignolo è presentato come messaggero di primavera, sull’eco di un celebre frammento di Saffo (Usignolo amabile voce / messaggero di primavera).

   Buono rappresenta un giornata di rigido inverno. Una fitta nebbia e un silenzio tombale avvolgono un paesaggio di gelo eterno e una natura che appare morta. Su un ramo sfrondato canta un usignolo. E’ una sfida temeraria, la nebbia, con minacce di morte, intima all’usignolo di tacere (se pur non vuoi / che l’inesperte piume / giacciono inerti tra più dense brume). Ma il canto dell’usignolo sveglia la natura: la nebbia svanisce e il cantore gentile / signoreggiò la zona.

 La nebbia e L’usignolo (di Enrico Buono)

 Dal sommo di un ramo

Che il gelido inverno ha sfrondato
-Un usignolo canta.
La nebbia che vive in agguato
Sovrana
Tra l’umide zolle
D’un fumide abbraccio crucciata
Recide quel folle cantore;
poi roca
gorgoglia la fiera rampogna
che sgorga dal freddo suo cuore:
–         “ Una pietosa sfida
  osato hai tu lanciare
  nel cuore stesso del mio vasto regno:
  ma il tuo è un vaneggiar
  strano insensato!
  Fuggi lontano
  e non turbar mai più
  quest’immani silenzi e il gelo eterno           
  se pur non vuoi
        che l’inesperte piume
        giacciono inerti tra più dense brume” .-
–     Che nebbia nebbia- l’usigniuol rispose –
Ogni terrena cosa
Eterna qui non dura:
anche il tuo regno effimero
nel nulla svanirà
e la Dolce speranza rifiorirà nei cuori
col primo raggio della primavera;
questa nel cor presago
è la certezza mia
che messagger d’azzurro
dalle vette più eccelse
alla natura sconsolata annunzio”.-
La nebbia vinta si disciolse allora
e il cantore gentile
signoreggiò la zona.

    Un altro frammento di Saffo presenta l’usignolo come  cantore della notte, qual è.

 

   Tutta la notte
Le fanciulle vagliano.
Cantano l’amore
Di te, della tua sposa
Cinta di viole.
Suvvia, déstati e chiama
I tuoi giovani amici:
Così noi dormiremo
Anche meno
Dell’usignolo canoro.
 
L’usignolo canoro della notte rinvia alla scena del quinto atto dell’immortale tragedia di William Shakespeare Giulietta e Romeo, quando i due sposi, dopo l’unica notte trascorsa insieme, devono dirsi addio, perché Romeo al sorgere del sole deve lasciare Verona per scontare l’esilio cui era stato condannato per l’uccisione di Tebaldo. Qui il passare dalla notte al giorno è annunciato dal canto dell’usignolo (cantore notturno) e dell’allodola(cantore dei giorni di primavera).
 

L’orto dei Capuleti
ROMEO e GIULIETTA sono in alto, sul balcone

 GIULIETTA – Vuoi già partire? L’alba è ancor lontana.

Era dell’usignolo,
non dell’allodola, il cinguettio
che ha ferito poc’anzi il trepidante
cavo del tuo orecchio. Un usignolo,
credimi, amore; è lui che canta, a notte,
laggiù sull’albero di melograno.
 
ROMEO – No cara, era l’araldo del mattino, 
l’allodola; non era l’usignolo.
Guarda, amor mio, quante strisce di luce
maligne sfrangiano le rade nuvole
che si dissolvono laggiù all’oriente.
Le faci della notte sono spente
e già s’affaccia il luminoso giorno,
quasi in punta di piedi,
sugli alti picchi brumosi dei monti.
Debbo andarmene e seguitare a vivere,
o restare e morire.
 
Giovanni Pascoli nella poesia L’usignolo e i suoi rivali immagina l’usignolo gorgheggiare tutto il giorno (e dolce più del timo / è più puro dell’acqua era il suo canto), ma poi cedere il giorno al cuculoe la notte all’assiolo.
 L’usignolo e i suoi rivali (di Giovanni Pascoli)

Egli coglieva ed ammucchiava al suolo
secche le foglie del suo marzo primo
(era il suo nuovo marzo), il rosignolo,
per farsi il nido. E gorgheggiava in tanto
tutto il gran giorno; e dolce più del timo
e più puro dell’acqua era il suo canto.
Cantava, quando, per le valli intorno,
cu. . . cu. . . sentì ripetere, cu. . . cu. . .
Ecco: al cuculo egli cedette il giorno,
e di giorno non volle cantar più.
Non più di giorno. Ma la notte! Appena
la luna estiva, di tra l’alabastro
delle rugiade, tremolò serena,
riprese il verso; e d’or in poi soltanto
cantava a notte; e lucido com’astro
e soave com’ombra era il suo canto.
Cantava, quando, da non so che grotte,
sentì gemere, chiù. . . piangere, chiù. . .
All’assïuolo egli lasciò la notte,
anche la notte; e non cantò mai più.
Or nè canta nè ode: abita presso
il brusìo d’una fonte e d’un cipresso.

   L’assiolo ricorda uno dei quattro stornelli di Rocco Scotellaro,  che ho postato il 9 marzo 2012:

 Canta l’assiolo

la notte sempre mi fai tanto male
col fischio mio quaggiù son tutto solo
Canta l’assiolo.

    L’usignolo ha un comportamento solitario ed emette un canto ricco, forte e musicale, udibile sia di giorno sia di notte. Per indicare dolcezza di voce e melodiosità di canto è nominato in similitudini e in espressioni metaforiche: cantare, gorgheggiare come un usignolo; è, sembra un usignolo. All’opposto, è anche nominato in denominazioni ironiche di altri animali dal verso rauco e sgradevole: usignolo di pantano, la rana; usignolo di maggio, l’asino.

   Il poeta da sempre ambisce, per la sua arte, di raggiungere una raffinatezza direi naturale, simile al canto dell’usignolo.

   Il canto dell’usignolo mitologicamente si radica nel mito delle sorelle Procne e Filomela, rispettivamente trasformate dagli dèi in rondine e usignolo. Tereo, sposato con Procne, ma infiammato di passione per la cognata, rapisce con l’inganno Filomela e la stupra. Per impedirle di raccontare della violenza subìta, Tereo le taglia la lingua, privandola così del linguaggio. La tradizione classica, per accrescere l’ironia della sorte, vuole che Filomela avesse il talento del canto e fosse istruita all’arte e alla poesia. La perdita di linguaggio in definitiva porterà Filomela a passare dalla voce umana al canto naturale. C’è una corrispondenza col mito di Orfeo, secondo il mito il più grande poeta e musicista che la storia abbia conosciuto, che non è soltanto una tragica storia d’amore, ma rappresenta l’origine mitologica della poesia stessa. In merito a questo ritorna rilevante un dettaglio della narrazione di Pausania (scrittore greco del II sec. D. C.) sulla nidificazione degli usignoli: quando questi andavano a posarsi sulla tomba di Orfeo il loro canto si faceva più soave e persistente. Gli usignoli riconoscono il progenitore e sulla sua tomba cantano più forte. L’origine del canto è dunque nella poesia. Si può affermare con lo scrittore messicano Juan José Arreolache «en principio era el verso; nuestra lengua materna es la poesía».

   L’usignolo ha ispirato la fantasia di scrittoti e poeti di ogni tempo e di ogni luogo. Mi limito ad aggiungere i versi di un poeta bosniaco Izet Sarajlić (1930-2002), amico di Alfonso Gatto, della poesia dal titolo Domaća, «Familiare»,). Il poeta rievoca un incontro a casa fra amici. Atmosfera di convivialità dove tutti si ritrovano a cantare. Siamo a Sarajevo, nell’inverno «di un anno fra la seconda e la terza guerra mondiale». Fuori è l’inverno dove ancora sentiamo l’eco del piombo e della violenza. Dentro il calore della compagnia e del canto di gruppo. Indimenticabile il malinconico Les feuilles mortes  prevertiano. Sarajlić nella poesia ricorda pure un canto popolare, Slavuje e il verso che, nella traduzione in italiano, dice: «Usignoli, usignoli,| non svegliate i soldati,| lasciate che i soldati| dormano un po’, dormano un po’…»).

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