Ricordo del mio amico fraterno Francesco(Franchino) Martino,
l’amicizia ha tanti volti che sono anche  quelli delle varie  epoche della nostra vita. L’amicizia con Franchino risale al periodo più bello e spensierato  della gioventù .
E’ stata un’amicizia breve  ma intensissima, nata nel periodo delle scuole elementari, quando l’immaturità  rendeva il rapporto superficiale,maturata poi in gioventù quando le nostre vite, pur divise dalle diverse strade degli studi liceali ed universitari,  si ritrovavano d’estate a Tricarico.
Sono di quell’epoca i ricordi più belli ed imperituri di Franchino che è stato per me il mio vero  indimenticabile amico fraterno.
Mi è capitato recentemente di trovare,in rete,su” Rabatana  bagattelle e  cammei tricaricesi”della quale non sono un gran frequentatore ,un articolo di Antonio Martino(Tonino) , fratello maggiore di Franchino, riguardante il planetariodi Modena . Una   bella fotografia di Franchino , in età matura,  ha acceso i sopiti ricordi e sentimenti .Gli occhi si sono perlati di lacrime, il cuore e la mente hanno sussultato   sotto l’onda dei ricordi dell’amico di quei tempi . Come per esorcizzare quel rapporto, sono sprofondato piacevolmente in quei ricordi ed ho avviato la vecchia pellicola, facendo rivivere nitidamente nella mia mente quell’epoca felice e l’amico che non c’è più.
Franchino era tra gli amici di Tricarico  degli anni 50-60 un adone,molto corteggiato dalle ragazze ,  prestante ed atletico,  giocava a calcio con  buon valore(faceva parte della squadra del Tricarico che credo militava in promozione),  ed era imbattibile nel ping-pong. Era anche  un provetto centauro con la “Guzzi Airone  250“ che talora sgraffignava al fratello Michele con la quale,  in una mattina di agosto,avemmo,una rovinosa caduta (almeno per me) . Aveva un’intelligenza fulgida  ed un sorriso mite, che contrastava con il portamento austero,ereditato dal padre.Il suo volto faceva trasparire un animo buono e generoso,  rendendolo  immediatamente simpatico. Era  considerato,tra le altre “virtù”, uno specialista nella cattura dei grilli, tanto che era stato soprannominato  “grillanetto”
 
Aveva un segno di riconoscimento unico  e particolare: il suo dito mignolo  della mano destra, non si fletteva  più a seguito di una lesione del tendine, avvenuta  durante le nostre lunghe passeggiate sulla via Appia,  dopo essersi seduto su un vetro  che si trovava sul ciglio della strada.
In Ospedale ebbe la disavventura di imbattersi  in un medico (del quale non faccio il nome) che non fece caso a sistemare anche l’integrità del  tendine, con il risultato finale che non potè ,da allora,più flettere il dito. Questa sua invalidità  la usava spesso per giocarci. Al Ginnasio-Liceo di Amalfi,quando doveva  uscire dalla classe, chiedeva il permesso con il classico dito indice alzato, essendo il mignolo  esteso, si creava un gesto inequivocabile, come quello che   si  mostra agli arbitri di calcio, generando una  certa ilarità della classe e le ire del professore.
Il padre , Don Luigi “il daziere”(direttore dell’Ufficio del Dazio sui consumi), aveva un aspetto austero ed era molto severo (almeno così appariva a noi ragazzi).  Non tollerava la sciatteria nel vestire dei figli, tanto che talora  accadeva, che Franchino passando nel Corso davanti al suo ufficio, che era di fronte a casa Molinari , vedendolo ritto sulla soglia dell’ufficio, mentre nascondeva la sigaretta accesa nel pugno della mano,  veniva “passato in rassegna”   dal  suo sguardo severo  e  rinviato a casa a lustrarsi le scarpe.
Franchino frequentava spesso la mia  casa, era amico delle mie sorelle  e di mio fratello più piccolo,Gaetano, i quali  lo amavano e lo consideravano come  uno di famiglia, come anche i miei genitori e le  zie che vivevano con noi. Era sempre molto discreto e cortese nei rapporti con i miei ,ma non resisteva di fronte ad un piatto di peperoni  fritti e pomodori (pietanza tipica estiva) che la mia vecchia zia Gaetana preparava per la cena con una maestria unica. Venendo a casa sentiva il profumo inebriante  della pietanza e si faceva preparare un panino con il “ruccolo”  (una specie di pan- focaccia tipico di Tricarico) imbottito con quel ben di Dio, che consumava con un piacere ed un gusto invidiabile.
Nelle vacanze estive degli ultimi anni di liceo ed università,  il gruppo degli amici si rinfoltiva. Ne facevano parte : Amerigo Restucci  -Santoro , Rocchino Ferri, Giannino Santoro, Enzo Menonna , Gerardo Nido, Ninuccio Zasa  e quegli più grandi : Michele Santoro , Ninuccio Bruno, Gigino Menonna,  Peppino Ercoliani, Orazio Molinari e  Franco Pinto,  questi ultimi  che, possedendo  la  “Lambretta Innocenti   125 con avviamento a strappo”,scorazzavano  per il paese ed andavano a “prendere i bagni “ alla “Ajemàre “ o fiume Basento con grande invidia degli altri appiedati .Durante le lunghe passeggiate  tra La “piazzetta” , il  corso, la Piazza, via Regina Margherita e la via Appia,  si parlava  tra le altre facezie,  della nostra insoddisfazione di  vivere in un piccolo paese.
Franchino avvertiva più di tutti questo malessere. La sua carica interna , la sua intelligenza   lo rendevano impaziente   di  uscire da quel ristretto e mortificante  ambiente, per poter realizzare al più presto  qualcosa di utile .  Dopo  la laurea in Fisica,i nostri incontri a Tricarico si diradarono di molto fino a cessare del tutto, dopo la morte della mamma.Sapevo però dei suoi successi in ambito professionale, nell’insegnamento della   Fisica e dell’astronomia, che faceva con  grande passione ed appezzamento; in una delle sue ultime visite a Tricarico mi regalò una sua pubblicazione che custodisco gelosamente.(“Stelle e sistemi stellari”) con  la dedica “ a Cesare con affetto fraterno ricordando  i bei tempi andati”.
 Mi aveva parlato  della sua  famiglia e della  piena integrazione  che aveva realizzato a Modena . Sebbene  non ci vedevamo e sentivamo più,  custodivo nei ricordi la sua amicizia come un bene prezioso.
Verso la fine del 1989 gli telefonai comunicando che mi trovavo a Roma per un  Congresso e che avrei avuto  piacere di  rivederlo ,mi disse che purtroppo era stato operato  da un luminare della chirurgia di Modena  , per una patologia severa. 
Non esitai un attimo a partire e con la morte nel cuore giunsi a casa sua, dove fui  accolto  con tanta tenerezza ed affetto. Le sue forze erano ormai compromesse, tanto che non volle alzarsi dal divano chiedendomi scusa  di ciò. La sua mente era lucidissima, era perfettamente consapevole  dell’ineluttabilità del suo male ma era sereno. Parlammo di tutto per più di due ore, ricordando i periodi più belli della nostra gioventù ,mi mostrò le tantissime fotografie degli amici di un tempo di Tricarico,mi parlò del suo lavoro e del grande rimpianto di non poter vedere realizzato il  sogno del suo Planetario. Mi parlò della sua famiglia contanta tenerezza ed amore, raccontandomi delle figlie e dell’adorata moglie Alberta .Mi disse della passione di una delle figlie per il Pianoforte,  la chiamò e le chiese di suonare un brano di musica classica ,ella  si scherni più volte,  ma dietro le sue insistenze  acconsentì  come a  soddisfare  un suo ultimo desiderio. Fui molto colpito da quel gesto di amore della figlia, tanto che divenne per me qualcosa di straziante, ben sapendo che tra non molto  il padre non ci sarebbe più stato.
 Bisognava che ripartissi, ci abbracciammo e salutammo in silenzio, presi un taxi e scappai via con il cuore a pezzi .
Durante tutto il viaggio in treno  da Modena a Roma il suo ricordo non mi lasciò più ,ero confuso, prostrato, in preda ad una grande amarezza ,ero come isolato dal mondo esterno, non feci altro che piangere per l’amico perduto.
Dopo qualche giorno mi giunse la  notizia della Sua morte ,codardamente  non volli andare al Suo funerale;Franchino per me era morto il giorno della mia visita  a Modena e non volevo più piangerlo ma ricordarlo da Vivo.
 

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