Lallaridd inda le fafe

      Lallaridd. A Tricarico c’era uno che si chiamava Lallaridd. Lallaridd ovviamente era il soprannome, che si arricchì di un attributo indicativo del luogo dove si trovava quando il fatto accadde, e gli rimase attaccato addosso. Il luogo era un campo di fave, belle alte in larga distesa, tra le quali scompariva. Divenne Lallaridd inda le fafe.
     Il vecchio usciere di conciliazione facente funzione di ufficiale giudiziario doveva notificargli un atto giudiziario. Si recò in campagna, dove, secondo le informazioni ricevute, presumeva di trovarlo. Camminò a lungo sulla strada oltre il bivio verso Irsina e ripetutamente lo invocava: – Lallaridd, Lallariddo dove sei?-, con le mani a formare un imbuto ai lati della bocca, a fare da megafono.
     All’ennesima chiamata: – Lallaridd, Lallariddo dove sei? -, Lalaridd rispose: – So inda le fafe! – La sua voce veniva da lontano, spuntando dal campo di fave, ma lui non si vedeva.
     – Lallaridd inda le fafeee, senti – disse il vecchio ufficiale giudiziario facente funzione, e procedette al compimento del suo dovere, mediante notifica a spazio aperto, liberamente interpretata depositando l’atto sotto un sasso, non senza aver dato, a voce spiegata, precise indicazioni a Lallaridd.  
     Si leggeva nel famoso Trattato di procedura penale di Vincenzo Manzini di una imputazione a un lupo, penalmente responsabile secondo l’ordinamento di quel tempo e di quel luogo, che aveva sgozzato a mangiato un grosso animale. Che il vecchio ufficiale giudiziario facente funzione fosse un lettore del Manzini? Letture pericolosamente distraenti la storia comparata del diritto processuale con l’attualità e la nostra tradizione, ma non importa. Importa che da quel momento Lallaridd divenne Lallaridd inda le fafe.
     Come il fatto si venne a sapere – siccome non c’era nessun altro oltre il vecchio ufficiale giudiziario facente funzione e Lallaridd – resta un mistero.
 

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