1°maggio 1944. Prima Festa del Lavoro della rinata libertà. Con Giulio Dente abbiamo ricordato episodi ancora impressi nella nostra mente di quel memorabile evento vissuto assieme. Eravamo ragazzi di terza media e quell’anno, seguito alla caduta del fascismo, all’armistizio e al disastroso bombardamento di Potenza e le scuole era state chiuse, eravamo rimasti a Tricarico, preparandoci privatamente per l’esame di licenza media.

Giulio ricordava un passo del comizio di Rocco Scotellaro, che mi accingo a pubblicare, copiandolo dal fascicolo di Luigi Settembrino, Scotellaro: la cronaca ritrovata, pubblicato a cura della Pro Loco di Tricarico, pagg. 83-87.

Per comprendere quella Giornata – simbolo di un Mondo che aveva ritrovato il suo equilibrio, ben descritto, benché un po’ retoricamente, da Rocco Scotellaro, bisogna ricordare quanto era accaduto nei mesi precedenti, dal crollo del regime fascista, all’armistizio dell’8 settembre, alla rapida liberazione delle province del Sud, alla fuga del re a Brindisi, al Convegno dei partiti antifascisti a Bari, e occorre ricordare, in particolare, gli eventi delle settimane  precedenti, che ho già più estesamente ricordati in questo blog..

Nel pomeriggio del 27 marzo il Vesuvio eruttò una enorme massa di cenere e lapilli, lanciati a molte diecine di chilometri, dopo di che il vulcano si quietò. La cenere raggiunse anche Tricarico, dove nevicava a larghe falde nere per il contatto con la cenere, che si depositavano come una coltre nera sui tetti, per le strade e le campagne. In quell’inferno, nella sede della federazione di Napoli del partito comunista si presentò a Raffaele Cacciapuoti, segretario federale, il mitico compagno Ercole Ercoli, alias Palmiro Togliatti, segretario generale del partito dal 1927.

Togliatti il 1° aprile convocò il primo consiglio nazionale comunista delle regioni liberate e annunciò quella che sarebbe passata alla storia come la «svolta di Salerno»; e il 2 aprile espose la nuova linea in un’intervista all’Unità. L’impressione suscitata fu enorme e sconvolgente, benché Togliatti avesse dato qualche anticipazione, prima del rientro in Italia, in interviste concesse al Cairo e ad Algeri. Il 22 aprile si costituì il secondo governo Badoglio, di cui facevano parte i sei partiti antifascisti e Togliatti ne fu vice presidente.

La risoluzione che era scaturita dal consiglio nazionale dava assicurazione a tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro condizione sociale e politica, che l’azione era tesa essenzialmente a liberare il paese dai tedeschi e dai fascisti. La partecipazione al governo di Togliatti al livello più alto dopo Badoglio suggellava tale assicurazione.

Fu in quel clima che si decise di celebrare a Tricarico la festa del Primo Maggio (la prima Festa dei Lavoratori dopo la nefasta parentesi fascista), con un comizio pubblico in cui presero la parola, per il partito d’azione, il sindaco avv. Carlo Grobert, di Pozzuoli, già confinato o sfollato a Tricarico (la memoria vacilla) dove, dopo la liberazione, rimase per un certo tempo ad esercitare la sua professione, Rocco Scotellaro per il partito socialista e Abdon Alinovi, per il partito comunista.

Gli oratori non disponevano di un microfono: nessun problema per il sindaco Grobert, uomo corpulento dalla voce tuonante, e anche Alinovi riuscì a farsi sentire. Solo chi si fece sotto la scalinata della cappella di San Pancrazio riuscì ad ascoltare qualche scampolo del comizio di Rocco Scotellaro: ricordo lo sforzo che fece per tirar fuori tutto il fiato che aveva, ma a malapena le sue parole giungevano distintamente appena oltre la cancellata della cappella. Il mio ricordo è che il suo discorso fu pronunciato a braccio.

Rocco aveva il senso del momento storico che vivevamo e il suo discorso l’aveva scritto – prima o dopo l’evento – ed è quindi possibile leggerlo, pubblicato nell’appendice documentaria del citato fascicolo pubblicato dalla Pro Loco di Tricarico.

A leggere oggi il discorso di Scotellaro si può rimanere delusi e trovarlo carico di retorica (io invece mi sono molto commosso), ma bisogna saperlo leggere, bisogna sapersi calare nel clima del tempo, avere la saggezza di non sorridere all’attacco (retorico per questi tempi di vergogna) Compagni di fede e d’Azione/ Chiedo la Parola.

Il giovane Alinovi, che aveva ventun anni, come Scotellaro, pronunciò un discorso molto duro, che impressionò negativamente tutti. Giunse ad invocare tribunali del popolo e plotoni di esecuzione, così poco concilianti con la risoluzione del consiglio nazionale comunista e l’assunzione di un’alta responsabilità di governo da parte del compagno Ercole Ercoli. Forse, anzi senza forse, parlava in generale, ma le sue parole da alcuni ascoltatori tricaricesi furono interpretate come riferite a Tricarico e intese, in buona o mala fede, come richiesta di istituire a Tricarico tribunali del popolo e di schierare plotoni d’esecuzione. Ci si chiedeva chi degli ex podestà o segretari del fascio tricaricesi Alinovi avrebbe voluto che fosse messo al muro.

Dopo qualche giorno la D.C. rispose con discorso dell’avv. De Maria, che mostrò di essere perfettamente informato sugli ultimi avvenimenti, li spiegò da par suo senza infierire sul povero Alinovi, col quale, in fondo, aveva rapporti di lavoro intercorenti tra avvocato a cancelliere della locale pretura. La gente capì e il PCI alle elezioni per l’Assemblea Costituente pagò caro l’errore del giovane dirigente, prendendo solo 60 voti.

In seguito non ho dato alcuna importanza al discorso di Alinovi. Io ero un ragazzino di tredici anni, che però qualcosa capiva di quello che stava accadendo e Abdon Alinovi era di poco più grande di me, aveva appena ventun anni. Dagli anni del liceo gli era stato inculcato un fiero spirito rivoluzionario, che aveva dovuto comprimere. Per guadagnarsi uno stipendio aveva dovuto adattarsi a fare un lavoro in una pretura, che allora era considerato dalla sinistra l’avamposto della giustizia borghese (un funzionario della federazione socialista di Matera si impossessò di una piccola somma di denaro e Rocco Scotellaro votò contro la decisione di denunciarlo, perché il caso, secondo lui, non poteva essere rimesso alla «giustizia borghese»). Secondo me il comizio di Alinovi fu soltanto un insignificante episodio di «stupidità rivoluzionaria».

 

Ecco ora, di seguito, il testo del comizio di Rocco Scotellaro

 

ROCCO SCOTELIARO:

IL COMIZIO DEL MAGGIO 1944

 

Compagni di fede e d’Azione

Chiedo la parola.

10 Maggio 1944 Tricarico

 

Il Comizio, che teniamo per celebrare una festa proibita e messa al  dimenticatoio dal Fascismo e sostituita con altra di .più clamorose origini, ci  porta al raffronto tra quel 21 Aprile del Partito fascista con questo nostro I  Maggio.

Il comizio, compagni, non è accessibile solo a coloro che – giusto o ingiusto  – sono chiamati a parlare, ma a tutti che possano portare una qualsiasi nota  di veduta, o idea e d’altronde non ci sono oratori a sbraitare e pubblico a  batter loro le mani o a fischiare o a interrompere, bensì esso: il Comizio è un  rito che deve volgere tra l’attenzione, la fede, la discussione di noi tutti.  Quel 21 Aprile di non grata memoria quando un solo che fosse stretto fino  alla gola dalla camicia nera vi enunciava la verità più ipocrita coincideva –  come tutti sanno – con la data della fondazione di Roma e di quella aveva  lo strascico infame, della fondazione di Roma che porta il segno già della  dittatura d’un fratello sull’altro: di Romolo su Remo e del sangue sparso da  un fratello per mano dell’altro.

Tutta qui la spavalda “romanità” del fascismo che vi seduceva in lusinghe di  8 milioni di baionette, in promesse di impero sul mondo conosciuto, che vi  trasmetteva in petto la stessa smania del dittatore.

Quella festa vi faceva partecipi d’una storia, di cui erede non sono gli Italiani  solo ma il mondo, serviva per schermo che vi allucinasse nell’esaltazione di  voi stessi, che vi facesse diventare di punto in bianco i padroni assoluti degli  altri popoli.

Ma i frutti amaramente tutti li constatiamo se poco si volge lo sguardo  intorno e si scoprono le macerie e la disgrazia ancora in atto della patria  Italiana.

È perché ci compenetriamo di quest’atmosfera di lutto che ci si consente  solo una modestissima coreografia con i canti che ripercuotono in ognuno  di voi i sentimenti di un’Italia lontana e in noi, i giovani, le note di un indirizzo  verso l’avvenire che ci sta bieco di fronte.

A quella romanità fa scontro l’ideale della solidarietà internazionale, innalzato a vessillo dei movimenti socialisti e che Giuseppe Mazzini, il figlio di  tutte le patrie, riaffermava come tradizione nostra mai spezzata: lo Amo il  mio paese perché amo tutti i paesi – son le sue parole.

La nostra Internazionale è quella del Lavoro.

Ogni primo maggio i lavoratori di tutto il mondo sono uniti nella loro lotta  di liberazione dai ceppi dei capitalisti camuffati in veste d’eroi dei nazionalismi  imperialistici militarizzati.

Questo primo maggio i lavoratori italiani rientrati nel consorzio dei popoli,  i compagni della Iugoslavia fanno loro bersaglio giusto le armate tedesche  che attentano alla libertà e alla marcia del proletariato mondiale.

Bene, Compagni, festeggiando per la prima volta il giorno del Lavoro,  anziché si faccia la predica di quello che ancora sarà fatto, ricordiamo un po’  assieme quanto già si è lavorato e quel tanto già che s’è ricavato.

Se ci dobbiamo prendere ip giro a vicenda, questo esame lo chiamiamo  consuntivo, irto di cifre e documentazioni, come all’epoca degli armamenti  quotidiani dell’Italia, così detta Imperiale, ma non è affar nostro. Anche se  direte che nessun esame può esservi che non sia di disgrazie da decifrare,  basterà che citi una conquista per tutte, basilare e gonfia di germi fecondi:  la libertà.

Confessiamo, poco è stato fatto specie in tema di rieducazione morale e  politica, perché vi ritrovate dopo il lungo letargo, perché soprattutto come  motivo preliminare si è imposto la partecipazione e imposizione della idea  antifascista a molti rimasti intontiti dagli eventi incompatibili di nuovi credi,  diffidenti faziosi, se non proprio fascisti.

Abbiamo dovuto affrontare questi residui problemi – non del tutto semplici – per dar l’avvio alle prime pratiche attuazioni.

Contro i fascisti si è impegnata una specie d’epurazione con tentennamenti  dal pure tentennante governo badogliano: ne prendiamo atto come non mai  avvenuta: perché l’epurazione è una cosa più seria oggi quanto non lo sarà  domani, oggi che si metton le fondamenta d’una nuova coscienza, oggi che i nostri sforzi possono ricevere contraccolpi da forze fasciste lasciate in  libertà di azione, oggi che – in guerra – i fascisti possono fare le spie.

In forma solenne tutti i lavoratori chiedono al nuovo Governo la integrale  spazzatura dei fascisti.

Per quel che riguarda il popolo, moralmente e politicamente diseducato  perché la dittatura vi ha lavorato sodamente per farne dei manichini e dei  pupazzi, la preoccupazione deve essere grave.

Si tratta di rieducare, di trasformare la folla in popolo, di portarlo al principio  della libertà, alla coscienza politica, senza la quale – non è inutile insistere –  un partito fascista ventidue anni addietro potè a suo bell’agio imporci con  la dittatura la rinunzia al nostro diritto di libertà, per il quale un unico  Matteotti si fece fare a pezzi; e oggi senza una coscienza la libertà –  malamente intesa – può portarci a conseguenze catastrofiche.

Compagni, i fascisti ai posti di comando, allentati i freni, il mercato nero e  bianco dilagante, l’inflazione al 90%, la disoccupazione, i trasporti inesistenti, le masse lavoratrici affamate. Mentre il re Umberto ha un potere senza  autorità e i partiti antifascisti avevano l’autorità loro conferita dal popolo  senza il potere, la guerra sulla nostra terra (è) diventata spettacolo per noi:  ecco i moventi delle opposizioni al governo del re e alle amministrazioni  provinciali e comunali condotte dai partiti antifascisti con una lotta eminen-  temente politica nei suoi campi ed estensioni diverse e che ebbe espressione  al congresso di Bari e coronamento oggi che le avanguardie dell’ antifascismo  si sono imposte e hanno raggiunto il potere.

Il nuovo governo sintesi democratica dei diversi partiti in blocco è chiamato  ad affrontare e risolvere le più scottanti crisi e a prendere di fronte il  problema della ricostruzione che non può ammettere rinvii di sorta.

Non si possono attendere, se noi non collaboriamo, prodigi, soprattutto  quando – come nel nostro paese – dietro questa minoranza ridotta ai minimi  termini di antifascisti, c’è il fascismo saldo e costrutto nei ceti reazionari,  nelle conventicole degli apolitici, nei circoli dei benestanti, nelle congreghe  dei diseredati dai posti di comando, tra i giovani disfattisti e germanofili, tra  i furbastri che formano la massa incosciente fluttuante su cui lavora la mano  dei feudatari, contro tutti i quali, dando prova di combattività e  insopportazione, coscienti il 27 Marzo del 1942, con lo sciopero che faceste,  foste capaci di imporre la vostra volontà di lavoratori.

Questa minoranza ha capito. Voi altri, compagni, dovrete essere i meno che  trascinerete i più.

Costituiti in Camera del Lavoro che deve essere il centro di forza della classe  operaia nel Meridione.

Pronti a solidalizzare con gli antifascisti di ogni fede politica, perché l’unità  dei partiti è condizione per rafforzarci davanti ai nemici capitali, da cui siamo  attorniati.

I Comitati (di) Liberazione N. (azionale) – poco conosciuti – hanno questo  compito esatto.

Essi in quanto espressione del raggiunto schieramento di tutti i partiti nel  governo, debbono sussistere oltre che per consolidare la unione antifascista  per trasformarsi in veri e propri organi politici con funzioni più sviluppate  e congrue al controllo di tutta la vita politica, amministrativa ed economica  e restare in comune per la difesa del fronte interno contro le improvvise  rinascite dei focolai fascisti.

Al nuovo Governo democratico impende prima di tutto il problema della  coscienza italiana, di arrivare a trattare da alleati con gli alleati e con essi porre  in risoluzione la questione economica e alimentare, chiedere il ritorno infine  dei prigionieri di guerra, di costituire un modesto ma buon esercito nazionale, la conduzione della guerra contro i fascisti e infine: il governo  democratico ci porterà alla Costituente.

Il nostro Mancini diceva al Consiglio N. (azionale) del P. (artito) che non si  può dire al Contadino: che la terra sarà sua, se prima non la difenda.

Ma dobbiamo collaborare alla guerra, che è nostra e la dobbiamo sentire per  i fratelli al di là del fronte, per i partigiani che arrischiano la vita, alla guerra  che è nostra perché siamo antifascisti.

La guerra del 15-18 – dopo l’entrata intempestiva – non aveva avuto il largo  seguito del popolo, diviso nientemeno in neutralisti e interventisti, se non  dopo la sconfitta di Caporetto.

Questo non può oggi essere di nuovo.

Il4 N. (ovembre) ci dette la vittoria sul nemico, rinserrato nelle sue tane e  reso inoffensibile, ma ci preparò pure il nemico in casa: lo spettro della  Rivoluzione, il fascismo, più nemico di tutti i nemici.

La guerra che Mussolini con usurpazione tirannica fece in nome del popolo  italiano, con un governo democratico in patria nostra non si sarebbe avuta.

Il fascismo ci ha portato alla sconfitta odierna.

L’antifascismo è chiamato a risanarne le piaghe, a trovare nella nostra  crudele vicenda lo sforzo estremo per risollevarci.

Noi siamo antifascisti, se siamo ritornati noi, gli alleati degli alleati del 15-  18 contro gli stessi nemici di allora – su quella vittoria luminosa del 4  Novembre noi puntiamo le nostre speranze e l’avvenire della patria italiana.

 

 

 

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