I galli non si sono data voce

 Nell’articolo «Sfollati a Tricarico con divagazioni dickensiane» ho annunciato la pubblicazione – alla quale ora adempio – dell’ «Ufficio delle Circonlocuzioni» del romanzo di Charles Dickens “Little Dorrit”. Mi corre l’obbligo di avvertire che quell’annuncio era sbagliato, e me ne scuso. Esso induce a ritenere che il suddetto romanzo dedichi un capitolo, o un passo all’Ufficio delle Circonlocuzioni, che invece costituisce l’ossatura della satira contro la burocrazia del romanzo. Consiglio di leggere il romanzo – e assicuro che si tratta di un buon consiglio – per sapere tutto del più volte nominato misterioso ufficio.

Per mantenere in un certo qual modo fede alla promessa, mi limito a pubblicare il seguente passo:

 « L’Ufficio delle Circonlocuzioni, come tutti sanno, era un importantissimo organismo governativo, senza il cui beneplacito non si poteva trattare nessun interesse. Metteva il naso dappertutto, nelle grandi questioni come nelle piccole. Senza il placet di quel dicastero era impossibile provare il più evidente diritto o raddrizzare il torto più sfacciato.

Codesto glorioso istituto era sorto quando gli uomini di Stato avevano scoperto quanto fosse difficile governare il paese; era stato il primo a studiare l’essenza di quella sublime rivelazione e a estenderne la brillante influenza su tutta la procedura ufficiale. Qualunque cosa ci fosse da fare, l’Ufficio delle Circonlocuzioni era alla testa di tutti gli altri uffici pubblici nello scovare il modo di non farla. Attraverso questa delicata percezione, il tatto con cui ne faceva uso invariabilmente, e la genialità che vi applicava, l’Ufficio delle Circonlocuzioni era arrivato a superare tutti gli altri dicasteri, e la situazione pubblica era diventata…quello che era.

Inoppugnabilmente, NON FARE era lo studio e lo scopo principale di tutti gli uffici pubblici e di tutti i professionisti della politica dipendenti dall’Ufficio delle Circonlocuzioni. Inoppugnabilmente, ogni nuovo Primo ministro e ogni nuovo governo, giunti al potere sostenendo la necessità di fare qualche cosa, non appena preso possesso delle cariche dedicavano tutta la loro intelligenza a cercare il modo di NON FARLA. Inoppugnabilmente, ricorrendo le elezioni generali, coloro che fino a quel momento dalle tribune della propaganda elettorale avevano smaniato imputando gli avversari di non aver fatto una determinata cosa, non appena eletti cominciavano a escogitare come NON FARLA.

[…] L’Ufficio delle Circonlocuzioni tirava avanti meccanicamente ogni giorno, mantenendo in moto la meravigliosa macchina di governo che serviva a non fare. Se qualche mal ispirato funzionario statale si accingeva imprudentemente a fare qualche cosa, o c’era un lontano pericolo che vi si accingesse, l’Ufficio delle Circonlocuzioni gli piombava addosso con una nota, un memoriale o una lettera di istruzioni che lo annientavano. Così, dato questo spirito nazionale di efficienza, a poco a poco l’Ufficio delle Circonlocuzioni a giunto ad ingerirsi di un po’ di tutto. Meccanici, filosofi, soldati, marinai, postulanti, memorialisti, gente che aveva subito un torto o desiderava prevenire un sopruso o riparare a qualche ingiustizia, speculatori e vittime di speculazioni, individui che non riuscivano a ottenere una ricompensa meritata o che non potevano essere puniti per colpe commesse, tutti indistintamente venivano seppelliti sotto le montagne di carta protocollo dell’Ufficio Circonlocuzioni. Innumerevoli persone si erano smarrite in quell’Ufficio.

Disgraziati che avevano diritti da rivendicare o proposte da fare per il benessere civico che erano riusciti a passare fra i tormenti di altri uffici pubblici con lenta agonia ma uscendone sani e salvi, tiranneggiati secondo la regola in uno, ingannati in un altro, delusi da un terzo, quando infine venivano rimandati all’Ufficio delle Circonlocuzioni, capitati lì dentro non avevano più riveduto la luce del sole.

[…] Talvolta, qualche spirito corrucciato osava attaccare l’Ufficio delle Circonlocuzioni, talvolta si presentavano interpellanze al Parlamento, o demagoghi così ignoranti da credere che la ricetta per governare fosse fare, osavano presentare – o minacciare di presentare – mozioni. Allora il nobile Lord o l’onorevole deputato al quale spettava difendere l’Ufficio delle Circonlocuzioni si metteva un arancio in tasca e si disponeva a una giornata campale. Presentandosi davanti alle Camere riunite dando un gran pugno sulla tavola, impegnava battaglia con l’avversario. Spiegava all’inclito gentiluomo che l’Ufficio delle Circonlocuzioni, non solo in quella faccenda era privo di colpe, ma meritava addirittura gli elogi e doveva venire portato ai sette cieli. Affermava che l’Ufficio delle Circonlocuzioni aveva sempre ragione, perfettamente ragione, e mai aveva avuto ragione come in quella particolare circostanza.

[…] Quel dicastero era un vivaio di uomini di Stato diventati tali in virtù di una lunga carriera di quel genere, e parecchi Lord nobilissimi e gravi si erano acquistati fama di prodigiosi uomini d’affari unicamente perché stando a capo dell’Ufficio delle Circonlocuzioni si erano impratichiti nell’arte di non fare. Quanto ai sacerdoti e accoliti minori di quel tempio, giù giù fino all’ultimo fattorino, si dividevano in due categorie: o avevano fede nell’Ufficio delle Circonlocuzioni come un’istituzione divina che godeva il diritto di fare quel che più le piaceva, o la tradivano considerandola palesemente dannosa. »

 Questa divagazione satirica non vuole essere una presa in giro del burocrate – e come avrei potuto, essendo stato io stesso un burocrate? -, né ho voluto irridere alla figura di Toni, ma parlando di lui in modo faceto ho voluto ricordare una pagina persa del nostro duro passato, sulla quale neppure i galli si sono data la voce.

 

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