Questa notte è mancato Ennio Gallo, da oltre vent’anni, in principio, carissimo amico di vacanza a Collalbo sul Renon, quindi oltre la vacanza. Ci aveva annunciato che quest’anno non sarebbe potuto venire – un annuncio di solitudine per noi. Le sue sofferenze – ci aveva assicurato – non gli impedivano tuttavia di dedicarsi alle sue letture e, soprattutto alla scrittura – e ci aspettavamo un suo nuovo libro.

Ennio Gallo è stato un ingegnere idraulico con la passione delle lettere. Come ingegnere ha partecipato ai importanti lavori di progetto e costruzioni di dighe in Italia e all’estero, ha collaborato a diverse pubblicazioni tecniche ed è stato consulente della televisione svizzera per una serie di documentari sulla laguna di Venezia e sulle città nuove europee.

Come scrittore ha esordito nel lontano 1966 con Giornale dei lavori – Einaudi, Torino 1966 (segnalazione Premio Internazionale Veillon) con lo pseudonimo di Paolo Barbaro.

Ogni anno negli alberghi del Renon, dove trascorreva la vacanze con la bellissima moglie Laura, colta francesista, e la deliziosa e fragile figlia Ilaria, presentava un nuovo libro. Ci conoscemmo in una di quelle occasioni, comprese la mia timidezza e la sera successiva mi portò un altro suo libro, con una effettuosa dedica. Conosceva Scotellaro, Michela Parrella, amava Leonardo Sinisgalli – scienziato come lui – e conosceva a fondo la poesia tursitana di Albino Piero. I fiumi lucani – lui ingegnere idraulico, costruttore di dighe – divennero oggetto delle nostre conversazioni. Diventammo amici, ho lo scrupolo della mia pigrizia avendo mancato di fargli visita nella sua bella casa di Dorsoduro a Venezia, visita promessa e sempre mancata.

Sul tavolo di lavoro ho il suo ultimo libro, un suo omaggio: Cari fantasmi – Frammenti per un’autobiografia -. Letto e riletto, cercavo e continuo a cercare l’ispirazione per colloquiare con i miei cari fantasmi tricaricesi; ma troppo grande è lo scarto tra la mia e la sua sensibilità.

Cari fantasmi – come è scritto nel risvolto di copertina – è un’autobiografia dei primi anni della vita, in cui si formano le nostre più profonde e durature visioni del mondo. Ricordi e confronti, incontri e visioni, si alternano in queste brevi memorie, presentate nella mutevole apparizione sulla scena del tempo degli esseri umani che Paolo Barbaro ha avuto vicini: in un mondo che era anche delle piante, dei fiumi, degli animali. Si svela così fin dalle radici la vita di un piccolo paese del Veneto profondo, dove l’autore conosce la dura fatica quotidiana e la serena bellezza delle stelle, la felicità delle amicizie e il dolore del distacco, la lacerazione della morte e il primo amore. Un orizzonte visto dalla curva estrema dell’esistenza, quando la memoria delle persone e degli avvenimenti più lontani torna improvvisamente vicina e lucida, acuendo le differenze col presente e insieme svelando sorprendenti richiami tra ripetute analogie – forse eterne.

Che orizzonti – più mi avvicino e più si confondono nella nebbia i miei orizzonti – mi indichi, caro Ennio.

Paolo Barbaro, come ho ricordato, ha esordito con Giornale dei lavori nel 1966. Fin dai primi libri usciti per Einaudi e Mondadori tra il 1966 e il 1980 si è imposto alla critica italiana e internazionale. Tra le opere più recenti, tradotte in diverse lingue: Diario a due (Marsilio 1987), Ultime isole (Marsilio 1992), La casa con le luci (Bollati Boringhieri 1995), L’anno del mare felice (il Mulino 1995), L’impresa senza fine (Marsilio 1998), Con gli occhi bianchi e neri (Marsilio 1999), Il Paese ritrovato (Marsilio 2001), L’ingegnere una vita (Marsilio 2011).

Mi piace segnalare il libro Venezia, la città ritrovata. L’idea di città in una nuova guida spirituale (Marsilio 1998). Un uomo del nostro tempo torna a Venezia dopo aver girato a lungo per il mondo: crede di ritrovare la città che conosce da sempre ma si accorge di avere ancora molto da scoprire. Si addentra incuriosito e affascinato tra luoghi inconsueti, seguendo itinerari ignoti e dimenticati. Ben presto la città diversa lo avvince a tal punto da costringerlo a una vera “indagine d’amore”: un labirinto di acque, dove il silenzio della natura è stranamente interrotto dal rombo dei motori e gli abitanti devono affrontare sfide quotidiane per condurre una vita al passo coi tempi. Il viaggiatore Paolo Barbaro osserva il miracolo di Venezia dalla prospettiva di un uomo moderno e riporta le sue riflessione in questo diario di cento giorni.

Antonio Martino

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