Intervista a Cosimo Montefusco: “Mai che ci sta mai che fa”
Sono nato a Eboli, come Comune, ma precisamente all’Aversana, che è una masseria come questa dove lavoro che si chiama Battaglio. Qui una masseria è di don Vincenzo Cuozzo e un’altra di don Gennaro Pierro, ma le bufale che guardo sono di Matassini e abito nella masseria più in là, laggiù dove c’i sta un pozzo a vento, presa in fitto dallo stesso Matassini da un certo Salvatore Giacchetti, che non è di queste parti.
Mio padre mori nel ’40 e qui ci lasciò me, mia madre di credo 48-49 anni, mio fratello più grande del ’31, l’altro del ’33 e il più piccolo del ’40, io sono del ’36. Tutti a lavorare ancora con don Alberto Matassini. Il primo fratello ha la pensione perché, quando fecero lo sbarco, vicino a noi passavano i tedeschi e la nave da basso alla marina cominciava a sparare e invece di cogliere i tedeschi colse la casa, e noi volemmo scappare fuori e mio fratello Vincenzo, come stava per scendere la scala, gli cadde la scheggia sulla mano e rimase mutilato. La mano ce l’ha mancante a sinistra da sopra il gomito.
Nessuno dei fratelli è andato a scuola, io non so mettere la firma mia. Se noi volevamo andare a scuola da «piccirilli», mamma poteva lavorare da sola e pagare il maestro? Da cinque o sei anni sto vicino alle bufale. Prima lavoravo nella terra a pomodoro, che è tenuta a parte col padrone (quando un tomolo, quando un tomolo e mezzo). Vado a Eboli una volta all’anno quando è il mio nome, santo Cosimo, e qualche rara volta la domenica per trovare mio zio, un fratello di mamma, che coltiva la terra anche lui a mezzadria. Mai stato a Salerno e a Napoli nemmeno. Non sono andato a Salerno, come andavo a Napoli? Sono andato solo a Battipaglia e a Eboli qualche volta per il cinema e ho visto cinema di guerra, cinema d’amore, ma se uno mi dicesse in faccia: — Che cinema hai visto? come era in- titolato? – io non so, perché non so come scriverlo. Da un paio d’anni ho incominciato ad andarci. Mi piace andarci perché vedo quando si uccidono, e mi piace: fanno a cazzotti, voglio dire. Non posso raccontare perché non tengo a mente niente.
Il primo cinema a Eboli fu costruito subito dopo i bombardamenti, lo chiamarono Supercinema e lo fece fare Pezzullo, il padrone del più grande mulino e pastificio. Poi Cosimo Negro, che tiene tutte le esattorie dei paesi e un grande palazzo, costruì un altro cinema che si chiama il Cinema Italia. Si misero di attrito e Nigro faceva due film al posto di uno con lo stesso biglietto.
Il Supercinema, che tiene il palcoscenico, fece venire le compagnie e allora Nigro, che non ha il palcoscenico, ribassava il prezzo del biglietto per spopolare il Supercinema e da 100 a 60 a 50 a 30 lire arrivammo a pagare il biglietto 5 lire e per ogni biglietto ci davano anche un buono per ritirare al caffè o un caffè o un gelato. Si facevano i biglietti pure i bambini e le mamme scendevano sulla piazza con tutti i loro bambini, facevano il biglietto a tutti più per il buono del gelato e ci volevano i carabinieri tanta era la folla per regolare l’entrata. Allora andai a cinema la prima volta, tre anni fa.
Poi i due cinema si sono messi d’accordo e si scambiano i film e ogni film si ripete due giorni, un giorno in un cinema un giorno in un altro e forse tengono le casse unite e si dividono il guadagno.
Mostro a Cosimo un numero della rivista « Tempo» del 10 settembre che ha sulla copertina una foto del pittore Carlo Levi con la giovane attrice Balducci. Chiedo che cosa può essere la tavolozza che il pittore ha in mano, coperta di colori: – Può essere roba di frutta _ mi risponde Cosimo. Sfogliando il settimanale, egli ferma il dito su una fotografia di Coppi che riconosce. Non sa invece cosa siano e a che cosa servano le lamette Gillette Blue che si vedono in un angolo pubblicitario. – Ecco, gli dico, questo è Marconi. Sai cosa ha fatto? ha inventato la radio -. La radio, Cosimo, sa cosa sia, ma non l’ ha: – L’ ha mio zio a Eboli, suona le canzoni.
Gli domando: – Che giorno è oggi? – Oggi ne abbiamo 3 settembre 1953.
– Come lo sai?
Cosimo non sa cosa rispondere, esita, poi dice calmo: – Se ne incaricano gli altri di saperlo.
Egli sa i giorni della settimana, i mesi dell’anno, sa addizionare uno a uno contando sulle dita delle mani, ma la moltiplicazione e la divisione non sa farle. Appena gli spiego come si fa la moltiplicazione, egli, per rispondere alla prima domanda (quanto fa 7 X 3?) conta sulle dita addizionando: 7 e 7 = 14 e 7 = 21.
Si fa festa quando è poca fatica, una domenica sì e una no, ma dopo che è finito il raccolto, è raccolto anche il pomodoro, e ci sono solo gli animali da pascere, a settembre-ottobre.
Mi alzo tanto alle quattro, alle quattro e mezzo e anche alle cinque, la mattina. Prima vado a prendere i vitelli per mungere la madre. Cacciato il vitello dal cancello, lo meniamo sotto la mamma e appena cala il latte, lo togliamo da sotto la mamma. Quando chiamiamo per mungere, vengono mamma e figlio, se ne
va un’ora e mezza quando anche due ore per mungerle tutte. Non potete mai andare appresso alla bufala per il latte che fa, tanto può fare una secchia (dieci litri) tanto pure mezza secchia, a seconda come mangia, ne fa di più subito dopo che ha partorito. Meniamo allora i vitelli nel parco chiuso e io vado con le bufale in un altro parco. Pascolo fino verso a mezzogiorno e allora le porto all’acqua dove ci stanno i « tonzi ».
Le bufale sono prima vitelli, fino a tre o quattro mesi quando succhiano, poi fino a un anno si chiamano « asseccaticci », vuoI dire che non succhiano più, dopo un anno fino a due anni sono « annutoli » che significa un anno compito. A quest’età si fanno coprire e a due anni e mezzo o tre anni partoriscono e diventano bufale. Ci vogliono dieci mesi per partorire. Qualcuna capita che non piglia e cioè non resta incinta, qualcuna abortisce. Bufale «cacciatore» sono le vecchie e quelle che non danno molto latte e il padrone le caccia per venderle al macello.
Mentre parla, una bufala esce dal parco nella strada; egli corre e la chiama quasi cantando: -Chi comanda–. È il nome della bufala, è anzi la prima parte del nome della bufala, cui segue la così detta «’a vutata », che Cosimo dice che è il cognome: – Chi comanda … chi comanda non suda -; la bufala, così richiamata, rientra nel parco.
– Uno che comanda, mi spiega Cosimo, e dice a un altro « fa la tale cosa », quello non suda a dire quella parola, invece suda quello che fatica.
Le bufale bevono e si coricano nell’acqua e si rinfrescano, le tengo un’ora, e io mangio il pane e vado a fare un pomodoro e bevo l’acqua dai parzunali[1] che la portano e, quando loro non ci sono, sto senza bere e la sera se ne parla. L’acqua c’ è ma è lontana e ci impiego un quarto d’ora fino alla fontana con la bicicletta, ma non posso abbandonare le bufale, che possono andare ai pomodori a far danno e anche in parchi estranei e il padrone poi viene vicino a me a cercare ragione. Quando le bufale stanno con la pancia vacante «alluccano»[2]: noi, quando abbiamo la pancia vacante, non andiamo a trovare qualcosa dove si vende? Così loro: trovano l’erba buona e si fermano. lo sono bufalaro aiutante massaro. Ma non abbiamo fatto nessun contratto con qualifica, cominciai a pascere i porci a 13 anni, il padrone mi disse: – vieni per pochi giorni -, e poi sono rimasto. Verso l’una porto le bufale al parco fino alle quattro e mezza e me ne accorgo dal sole verso le montagne dei paesi:
Montecorvino, Altavilla, Albanella, li conosco a nome ma non ci sono andato, come pure Ifuni (Giffoni), Cam- pagna …
Poi le porto nel parco chiuso, dove c’ è ormai poca erba perché hanno già mangiato, e me ne vado alla masseria, dove lavo i bidoni per il latte, mungo se ci sono le vacche da mungere, preparo il carrozzino a don Alberto per farlo andare via, a Battipaglia. Fatte tutte le cose, vado a casa distante un chilometro dalla masseria.
La casa è anche di don Alberto, fittata, di due stanze e la cucina e siamo cinque persone con mamma. C’ è il pozzo per l’acqua. Mangiamo maccheroni, pasta c patate, pasta e fagioli, minestra, vino la domenica, carne mai, proprio qualche volta quando viene una festa, quando muore una bufala. Mia madre deve comprare la mozzarella dal caseificio. Burro mai ne pigliamo, la ricotta quando è una festa. Noi a cose di latte non ci andiamo appresso. Io il latte lo mangio quando dice, poi stufa.
La sera qualche volta facciamo una pazziella, «u ttì e a qua» che è il giuoco a nascondere; tutti i giovanotti delle altre masserie là attorno, raccontiamo un conto di fatti dei vecchi all’antica, io non ne so, e fatti di cinema di chi l’ ha visto.
Quando sto così che guardo le bufale penso a tanti che vanno camminando alla spasso. Passa una macchina e penso «quello se ne va nella macchina e io fatico e guardo le bufale ». Quelli che stanno assettati avanti al bar, si accattano l’aranciata, il caffè, tante cose, e quelli che vanno a cinema tutte le sere, loro possono; io posso un gelato, quando passa la vespa da qui con i gelati; da qualche anno cominciano a venire con la vespa a vendere i gelati in campagna.
Continuo a porgli domande. Gli chiedo: – Sei cattolico? – No, – risponde.
– Come, non credi a Gesù Cristo?
– E come! Sì, ma non sapevo neanche, e avevo capito un’altra parola e non so che si dice cattolico quello che crede a Gesù Cristo. A messa la domenica: niente, non ci posso andare. lo credo a Gesù Cristo più quando fa morire qualcuno; e quando uno è malato, parlano tutti di Gesù Cristo: – Gesù Cristo mio fammelo sanare -. Le cose di Dio le ho imparate tutte a casa mia, ma le ho dimenticate.
– Pare che posso pensare alle cose di Dio? Ma ci credo. Chi creava l’aeroplano? lui l’ ha creato; quando fecero lo sbarco e prima e dopo c’erano pure gli aeroplani che buttavano le bombe, era la guerra e la guerra non l’ ha creata lui, Gesù Cristo; le guerre le fanno fare quelli che non si trovano, che non vanno d’accordo, mai la guerra l’ ha potuta mettere Gesù Cristo.
L’aratro per arare chi l’ ha fatto? I mastri, ce ne sono tanti a Eboli e a Battipaglia. Pure certi mastri, che io non conosco, certamente qui non ci sono, fanno le bombe, che fanno spaccare tutte le cose, terra e masserie, e muoiono i cristiani.
Io mi raccomando a Gesù Cristo di stare bene io e tutta quanta la famiglia. E poi vorrei tante cose, come per esempio, io vorrei più zappare, uccidermi di fatica e non guardare le bufale, mettere mano a faticare alle sette e alle cinque levar mano ed essere a libertà. Ma qua, a questo mestiere, sempre alluccare alle bufale; qua, pure quando mangi, vai a chiamare la bufala, corri, scappi. E la sera vorrei stare al paese: anche se uno non ci ha soldi, pure che guarda nel paese già si spratichisce, si istruisce.
A Battipaglia, è molto distante, sono dodici chilometri, pure ci andrei la sera, anche con la bicicletta, ma dopo il lavoro, mangiare, andare e tornare, uno è già stanco.
Lo zappatore, come vorrei fare io, quando è il sabato sera piglia la settimana di paga e la porta a casa. lo, invece, guardo le bufale un mese intero intero, notte e giorno nella campagna, per 6000 lire, 50 chili di grano, 3 quintali di granone all’anno che fanno 15.000 lire in tutto, e 10 chili di fagioli e 10 chili di olio all’anno. Faccio il sottomassaro e mi pagano da garzone.
E come può cambiare questa suonata?
I bufalari grandi fanno tante parlate di partiti. Per votare, io sto al padrone, a quello che lui mi dice. ma io non sono all’età, avendo l’età voterò come lui. Il padrone è del Re. Sono parecchi che votano là. Ma per ora non mi interesso, quando arrivo all’età, sì. E poi io tante cose non le intendo. Posso dire qualche cosa di campagna e delle bufale. E poi nessuno ti dice una spiegazione: c’ è la luna, se non alza il sole non se ne va; è mancante e lo so da me: come non si vede, sera per sera, se manca, se cresce? E posso dire i nomi di tutte le bufale e i cognomi, che sono « a vutata » 1 dei nomi:
Nome e Cognome o «a vutata»’A signora … … ‘a signora cuntente a tutti’U giureo … …’u giureo ‘ncasa li chiuveChi campa … … chi campa vere sta massariaChist’at’anne … … chist’anne t’arriva a fà’U generale … (non ha cognome)’U ‘nturzo … …’u nturzo t’è lassato ‘n cannaMai che fa … … nun ce stai mai che fa’A casa mia … a casa mia tutta uarnita
Abbreghe … amm’arrivate mane ‘e ‘bbreghe ‘A malatia …tiene sempre sta malatia Chi t’arrobbe …chi t’arrobbe bene te vò ‘E cane … …pure ‘e cane stanne amare Poggioreale … …Poggioreale sta a Campolungo ‘A coccagna … …sta coccagna pure firnisce ‘A Puvarella (non ha cognome) Tantu bene ,,, …tantu bene pure firnisce Chiange … …chiange che hai ragione ‘A femmena … …a femmena fa cumme vole Manèila … …manéila ‘n pitt ca ce sta A lu frie … …a lu frie se sente l’addore Traretore … …Si state sempe nu traretore ‘A mmiria … …a mmiria te fa parlà ‘U sposo mio ‘A fera Ra nu tiempo2
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1«A vutata» e, a volte, il predicato, a volte la seconda parte della frase, che, intera, costituisce l’appellativo di ogni bufa la,
2 La signora, La signora soddisfa tutti – Il gìudeo, Il giudeo batte i chiodi – Chi campa, Chi campa vede questa masseria – Quest’altro anno, Solo quest’altro anno riesce a vivere – Il generale – Il nocciolo, Il nocciolo ti è rimasto in gola – – Ma da fare, non c’è mai niente da fare – La casa mia, La casa mia è tutta ornata – Gli ebrei, Siamo capitati in mano agli ebrei – La malattia, Hai sempre la stess-i malattia – Chi ti ruba, Chi ti ruba ti vuoI bene – I cani, Anche i cani sono tristi – Poggioreale, Poggioreale è a Campo lungo – La cuccagna, Questa cuccagna anche finisce – La pove retta – Tanto bene (ricchezza), Tanto bene anche finisce – Piangi, Piangi che ne hai motivo – La donna, La donna agisce come vuole – Palpala, Palpala in petto ché lei ci sta – Dal friggere, Dal friggere si sente l’odore – Traditore, Sei sempre stato un traditore – L’invidia, L’invidia ti fa parlare – Lo sposo mio – La fiera – Da un certo tempo.
Queste sono tutte le bufale con il nome e cognome.
II toro non ha nome, è uno solo; le giovenche neanche ce l’hanno, una giovenca prende il nome quando fa il primo figlio e il latte. Come faccio a conoscerle una per una? Voi come conoscete i cristiani? Cosi sono pure le bufale. I nomi delle bufale degli altri sono tanti, io non li conosco, qualcuno l’ ho sentito e lo sento quà attorno, dagli altri bufalari:
Allerchì… …quanno te viesti fai allerchi
‘N guollo a nui … …guollo a nui campino tutti
Salierne … …va a Salierne pe te curà
Mala lenga… … ‘a mala lenga t’ è rimasa
‘U padrone… … ‘u padrone fa cumme vole
Fatti crere… . …fatti crere ca sì buone
Nzuppurtable… …sti vicini so nzuppurtable
Si no sparte… … si no sparte guaragria cchiù poco
Sagli ‘n coppe… .. sagli ‘n coppe t’aggia parlà
Quann è auste… … quanne è auste facime li cunti
Tutti l’usi… … tutti l’usi sò finiti
‘N coppe a paglia… …’ncoppe a paglia s’adda murì 1
3 Arlecchino, Quando ti vesti sembri Arlecchino – Addosso a noi, Addosso a noi campano tutti – Salerno, Va a Salerno per curarti – Ma la lingua, La mala lingua ti è rimasta – Il padrone, Il padrone fa tutto ciò che vuole – Fatti credere, Fatti credere che sei buono – Insopportabili, Questi vicini sono insopportabili – Se non dividi, Se non dividi guadagni molto meno – Tutti contrari, Tutti contrari e Dio a mio favore – Sali sopra, Sali sopra ché ti devo parlare – Quando è agosto, Quando è agosto facciamo i conti – Tutti gli usi, Tutti gI i usi sono finiti – Sulla paglia, Sulla paglia si deve morire.
I nomi certamente hanno un significato e non c’ è bisogno di spiegarli : sono i fatti e i ragionamenti che facciamo ogni giorno tra di noi. Pure i cani tengono i nomi. Mettiamo, chiamo la bufala Poggioreale. Poggioreale dicono che è un carcere che sta a Napoli e allora Poggioreale sta pure qua a Campolungo : non puoi parlare con nessuno, solo chiamare gli animali e stai senza famiglia. Mia madre ora fa i pomodori, tiene un tomolo e mezzo a mezzadria da Matassini, il fratello di 20 anni porta il trattore in un’altra terra, quell’altro tira la pensione perché è mutilato e va in cerca di qualche mestiere, quello di tredici anni fa la terza perché andò a scuola a nove anni, e io sto qua. Ci vediamo la sera, tutti e quattro i figli dormiamo nel letto matrimoniale e mia madre nel lettino. La casa è di due stanze e la cucina è fuori e l’avete vista la casa quando siete passato dalla masseria.
« Mai che fa nun ce sta mai che fa » vuol dire, per scherzo, che lavoriamo sempre.
« Chi cumanne nun sude » ve l’ ho già detto.
« Abbreghe» non sono quelli che imbrogliano la gente?
Io ho messo solo il nome a « Chist’at’anne » perché c’era una bufala che si chiamava così e morì e ce lo misi a un’altra. Così facciamo sempre quando muore una, un’altra prende il nome.
Quando muore un vitello, conserviamo la pelle e la mettiamo addosso a un altro e solo così la mamma annusa la pelle, sente il figlio e si fa mungere.
« Manèila» è per qualche ragazza, ma quando succede! Qualcuna sempre succede chiacchierando che si fa toccare il petto: sono le ragazze che vengono a lavorare ai pomodori e al tabacco, vengono col camion e se ne vanno col camion. Prima di andarsene si lavano le muni e la faccia, si cambiano i vestiti vicino a qualche masseria.
Queste cose c’è bisogno che me le devono dire? Non mi è mai capitato niente, ma queste cose si sanno.
Il toro, quando gli viene « u vulio »[3] I piglia e « zompe ncuollo »[4] ma la bufala può calare la coda, come la femmina: quando vuol rare sta zitta, se no alluccu e se ne va.
Non so più niente. Uno da qua basso, a Battipaglia, a Campoluongo, impara qualcosa a fare il soldato: esce, vede, è un divertimento il soldato. E se succede la guerra, pazienza. Se ci chiamano, andiamo; dobbiamo morire una volta. Ma che guerra può succedere più? Che vogliono fare più?
Qui sentiamo soli i «granugni»[5] quando alluccano la sera e non finiscono mai.
Se avessi i soldi, mi farei la casa, perché oggi o domani ci appiccichiamo[6] col padrone, va’ a trovare un’altra casa, va’ a scasare! e vorrei un po’ di terra per fare un orto. E pure a stare col padrone, voglio andare a zappare, a fare i fossi, ma non più appresso agli animali.
[1] compartecipanti
[2] gridano
[3] la voglia
[4] salta addosso alla bufala
[5] le rane
[6] litighiamo
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