Le carte di Rocco Scotellaro.

Il prof. Giovanni Battista Bronzini ha curato con acribia le carte di Rocco Scotellaro nel suo volume «L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro».

L’edizione occupa le pagine da 229 a 424, a cui segue, nelle undici pagine successive, una tabella di «Titoli e capoversi in ordine alfabetico».

Le carte sono state divise in tre gruppi (A, B, C) con una numerazione progressiva dei testi di ciascun gruppo. Una riflessione manoscritta sul folklore, comunicata da Scotellaro a una sua amica del Nord, è stata posta in primo piano – e qui sarà ripetuta in questo stesso articolo, dopo aver reso succintamente la composizione dei gruppi – perché, ad avviso del prof. Bronzini, essa ci dà la prova più esplicita che a Scotellaro interessava non l’accademia del folklore, ma il folklore vissuto e prodotto dai contadini senza che ne sapessero il nome.

Il Gruppo A comprende carte manoscritte di Scotellaro e carte dattiloscritte presumibilmente da lui stesso. Per trascrivere i canti Scotellaro utilizzava il primo pezzo di carta a portata di mano: ricette mediche, ricevute di ristorante, buste da lettera, circolari, quarti e frammenti di foglio e altro. Anche per gli Appunti dell’ «Uva puttanella» Levi rilevò, dal modo in cui li trovò trascritti, che Rocco aveva l’abitudine di mettere su carta (e spesso su foglietti microscopici, scatole di cerini, risvolti di buste, pagine di quaderni, pacchetti di sigarette) ogni cosa veduta, ogni immagine e sentimento ed espressione» (Carlo Levi «Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia», Einaudi, 1955).

Il Gruppo B comprende 22 carte manoscritte e 3 dattiloscritte. Si tratta di testi inviati a Scotellaro da amici, compagni di partito, anonimi informatori.

Il Gruppo C comprende 4 quadernetti:

1° «Canzone e proverbi popolari di S, Chirico Nuovo» raccolti da Michele Scaccuto.

2° Quadernetto a righe di 5a elementare, di 16 pagine manoscritte con dedica «Al prof. Pedio con molti ossequi. Maria Mastroroberto-Mazzastetta». Irsina, 30 novembre 1924,

3° Quadernetto a righe di 5aelementare di 13 fogli manoscritti. Raccoglie versi per nozze datati nel 1986 e altri divertissements conviviali ed occasionali di Vito Sansone di Bella (Basilicata), che si definisce nella dedica del primo carme nuziale «un più che settantenne vecchio cucco di poeta»

4° Versi popolari del sac. Nicola Tomasulo vergati da due mani su tredici pagine di un quadernetto a righe di 4aelementare.

Folklore: il nome e la cosa.

Riporto ora il testo prima annunciato sul folklore. Il testo è un manoscritto con alcune cancellature di Rocco Scotellaro, di cui il Bronzini, all’inizio, riporta la traduzione, cui seguono, in carattere più piccolo, la nota critica e, ovviamente col carattere del testo, il commento del prof. Bronzini.

Il testo, tradotto, è il seguente:

Teresa

Folklore è una parola equivoca, ad ogni modo incomprensibile qui dai paesani. Essi dicono, che si vestono e cantano, le donne si mettono il corpetto colorato con la pettorina, la gonna nera a pieghe o di velluto marrone, e sul capo lo scialle di velluto marrone e alle orecchie, sui seni l’oro antico; gli uomini i giacchettoni di lana quadrettata, i pantaloni che arrivano al ginoccio e le ghette fino al ginocchio, che si muove libero ed è coperto dalle calze bianche, portano il cappello nero; uomini e donne si mettono all’antica-

[Rocco Scotellaro]

     Secondo lo studioso di Grassano l’idea che Scotellaro aveva del folklore era connatura con la nascita e crescita umana e intellettuale di cui fra i contadini di Tricarico ed è coerente con la osservazione diretta e continua che egli rivolse, dall’interno e dal basso, alla realtà contadina come matrice della sua esistenza e della sua produzione letteraria.

Tra il folklore nominale, presentato dalla cultura ufficiale e corrente fra i dotti, e quello reale, creato e tramandato dai contadini, si apre un divario profondo dal punto di vista antropologico, che Scotellaro individua e dichiara in questo appunto epistolare. Il primo è sancito da un nome che, coniato e imposto dall’alto, confonde, altera e travisa l’essenza della cultura popolare; può, quindi, risultare artificioso e talvolta falso, in quanto allontana i prodotti dai portatori di folklore e li astrae dal loro mondo. L’altro, il folklore reale, è dato dalla cosa o azione che i contadi- ni per tradizione rispettivamente sentono propria o compiono; non è, pertanto, definibile con lo stesso nome che, di per sé equivoco, riesce difficile e incomprensibile: i contadini indossano il costume, fanno la festa, come lavorano, vivono e muoiono.

Tale dicotomia si elimina con una moderna prospettiva di critica morfologica che consideri i due piani in un rapporto dinamico di scambio e di reciproca illuminazione tra fatti reali, modelli strutturali e tipi classificatori. Ma la percezione del divario è giusta per il tempo in cui operò Scotellaro e per la visione realistica ch’egli ebbe della cultura popolare. La esplicitazione di questa idea nel suddetto brano è, pertanto, molto significativa e ha valore di concezione estensibile a tutta la corrente di realismo critico che segnò una svolta negli studi di folklore in Italia e caratterizzò propriamente la stagione demartiniana.

 

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