Mi riservo di ritornare sugli inediti di Rocco Scotellaro ordinati nel Gruppo A), allo scopo di mettere in evidenza aspetti che mi sembra possano fornire una più approfondita conoscenza della poetica scotellariana. Intanto definisco il contenuto del Gruppo B), composto di 28 testi inviati a Scotellaro da amici, compagni di partito, anonimi informatori, e ordinati dal prof. Bronzini.
     (1) Un «Dialogo tra il Lavoratore e la Natura». Il titolo non compare nel manoscritto e fu dato probabilmente da Carlo Levi. L’originale è un testo manoscritto, in bella grafia, di un componimento di bandiera comunista composto da uno o da entrambi i fratelli calabresi Domenico e Pasquale Jaquinta, contadini poeti, che lo recitarono a Carlo Levi e a Rocco Scotellaro nella Camera del Lavoro di San Giovanni in Fiore, nel dicembre del 1952. Il componimento è composto di diciotto quartine in volgare. Nel dialogo prevale il Lavoratore (U Fatigature), che apre il dialogo con le prime due quartine; risponde la Natura con le successive tre, e il Lavorator riprende la parola, nella successive tredici, fino alla fine;
     (2.,3) Seguono due poemetti calabresi di protesta contro l’Ente Sila dei fratelli Jaquinta, autori del precedente dialogo. Il primo si intitola «Consigli di un contadino silano a tutti i nuovi assegnatari di I(aquinta) Pasquale)». E’ un testo manoscritto, composto di tredici quartine, in grafia più andante. della stessa mano del testo precedente.
     Il secondo poemetto si intitola «U contadin silanu all’Ente Sila». E’ un testo dattiloscritto con aggiunte e correzioni a penna dello stesso trascrittore dei due testi precedenti, composto di diciotto quartine. A ciascuna quartina segue un ritornello sul noto motivo di Calabrisella mia, motivando a non sopportare più i soprusi dell’ente. Riporto, a titolo di esempio, il testo della prima quartina: «O Ente che ti chiami mangia Sila, se la Sila ci chiama per modo di dire, tu sei venuto per mangiartela in spese di picnic e per viaggi. Ritornello: Calabrisella mia, Calabrisella mia non sopportare. Turilla llera, lla llera …». Componimento di aperta denuncia contro l’ente pubblico Sila, dunque, di cui sono autori i fratelli Jaquinta, presentato come documento ufficiale dell’Associazione dei Contadini della Sila e del Cotronese di San Giovanni in Fiore. Esso fu udito e raccolto da Scotellaro nella stessa località e occasione dei due precedenti testi;
     (4) Una canzoncina di vicinato, scritta in dialetto campano italianizzato, intitolata «E Cummarelle». Secondo il prof. Bronzini essa va probabilmente riferita alla campagna elettorale del 1948, ma a me pare che si tratti delle elezioni politiche del 7 giugno 1953, in considerazione del riferimento all’“apparentamento” (alleanza politica tra la D.C. e i tre partiti del centro laico), a cui si accenna nel testo della canzone, nonché di quanto, a parte, è trascritto a mano da Rocco Scotellaro: elementi propri della legge elettorale polemicamente calunniata legge truffa, vigente per lo svolgimento delle suddette elezioni;
     (5) Un manifesto elettorale in versi, a stampa, intitolato «I papaveri». Il titolo identifica l’epoca (1952) della composizione del manifesto, nel quale si fanno i nomi dei tricaricesi Menonna (consigliere provinciale) e Aragiusto (candidato nella lista DC per il consiglio comunale), il che mostra che esso si riferisce all’elezione del 7 gennaio 1953 per il rinnovo del consiglio comunale di Tricarico, che vide l’affermazione della D.C., dopo le due vittorie di Rocco Scotellaro nel 1946 e nel 1948. In quella campagna elettorale io, che ero segretario della sezione D.C., fui attivamente impegnato. Tanti ricordi si affollano quindi alla mia mente e penso che, prima o poi, racconterò quei fatti;
     (6,7) Due canzoni popolari materane. Una si intitola «La Cantinera», confessione della cantiniera presa dagli scrupoli per aver aggiunto per molti anni acqua al vino. La canzone è composta di due strofe: la prima della confessione e la seconda degli scrupoli; alle strofe segue il ritornello, che contiene il distico omesso nella prima edizione di «E’ fatto giorno», a cura di Carlo Levi, e si ritrova nella seconda edizione del 1982 a cura di Vitelli, apposto al titolo della prima sezione del poema, intitolata “Saluto (che nella prima edizione leviana è intitolata “Invito): Mariarosa statti bona / io te lascio e t’abbandono” (Maria Rosa, stott ben / je t loss e t’abbandona).
     Il testo, con traduzione, fu trasmesso da Albino Sacco (fratello di Leonardo) in allegato a una lettera del 18. 11 1952 da Irsina.
     La seconda canzone si intitola la «Trchiaesch», composta di sei strofe, in ognuna delle quali si ripete due volte il primo verso. E’ un canto di corteggiamento alla Turchiesca che va sola a ballare.
     Il prof. Bronzini attesta che esso era tuttora viva (1987, anno della pubblicazione del suo volume «L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro»). Il testo con traduzione, insieme al precedente, furono trasmessi a Scotellaro (in quel tempo a Roma) da Albino Sacco, allegati alla citata lettera del 18 novembre 1952 da Irsina, in cui, tra l’altro, gli scrive: «Ti rimetto le canzoni più in voga. Non so se ci capirai molto. Come puoi vedere sono canzoni che hanno un doppio senso»;
     (8) Una canzone satirica su due fratelli tricaricesi intitolata «Rocco e Michele»: una infilzata di 22 strofe assai sciocche di due versi l’una, seguite fal ritornello “Cara Michele Rocco e Michele / si ni soggiute endù cafè”. Non se ne poteva più a Tricarico, all’epoca, di questa canzone, che speculava su un affare andato male di due fratelli, Rocco e Michele, per l’appunto.
     Il pettegolume a Tricarico ha imperversato a lungo e si manifestava con canti, di cui questo di Rocco e Michele non è il solo, e con lettere anonime, alcune incoscienti e la maggior parte dettate da invidia e pura cattiveria, come quelle inviate al Consolato americano di Napoli per accusare di filo comunismo, in periodo di maccartismo, aspiranti emigranti in America. Vi sono stati tricaricesi che, per questi atti di scellerata vigliaccheria, hanno pianto lacrime amare e vissuto anni di calvario.
     Il prof. Bronzini, citando il libro «I canti popolari della Basilicata» di Franco Noviello, annota: «Canto popolare tricaricese sulla fine in miseria di un fittavolo di Serra Ammendola (contrada agricola in agro di Tricarico) «che per i suoi vizi si vendette le pecore e gli attrezzi da lavoro». Invero si trattò del fallito tentativo di due fratelli, Rocco e Michele, che tuttavia non caddero proprio in miseria, di cambiare mestiere, passando dall’agricoltura e pastorizia al commercio, vendendo a questo scopo i propri beni per l’acquisto di un bar, che mostrarono di non essere portati a gestire. Secondo Antonio Albanese, che lo trascrisse per conto di Scotellaro e me ne parlò, il canto non fu un invenzione corale, ma di una singola persona, che ne ebbe vergogna o paura; e questa convinzione Antonio annotò in calce al canto: «Per scrivere questi versetti, sono andato dietro molti giorni, perché l’ideatore aveva vergogna o paura di darmeli saluti. Antonio»;
     (9) Una versione della canzone narrativa meridionale del «Cognato traditore» o «Della due sorelle», intitolato «Cantico popolare», inviata a Scotellaro dai grassanesi Angelo Mattacchiera e Amedeo Serra. Alcune versioni lucane, successivamente raccolte, hanno il titolo «U cavalier».
     E’ un canto di quattro strofe. Narra che c’erano due sorelle, una bella, di cui il cavaliere si innamorò, e una brutta. La madre, allo sposalizio, gli fece trovare la brutta. Il cavaliere la sposò e non disse niente. Ma lasciò che la sposa annegasse nel mare e sedusse la cognata. Ecco cosa dice la strofa finale: “O colomba che vai volando, porta questa notizia a mamma, teneva due belle figliuole e non se le seppe tenere: una se la gode il mare (e l’altra il suo cognato”;
    (10) Un tipico canto di questua accompagnato dal suono del cupa cupa, intitolato «A Carnevale»;
     (11-15) Altri vari canti popolari senza indicazione di luogo e di nome, trascritti da una stessa mano;
     (16) Proverbi popolari di Barile trascritti su due fogli di quaderno a quadretti da Manfredi Savino. Il primo proverbio in altra forma corrisponde al più noto «scrupolo della mezza lenticchia»: «Ora fai lo scrupolo del vaccaro!» Ma anche gli altri proverbi hanno corrispondenze in proverbi lucani;
     (17-21) Scongiuri e orazioni in dialetto di Potenza: Orazione pe la piglià d’uocchie de li porci, Orazione pe la piglià d’uocchie de li cristiane, Orazione pe la mala a la ventra, Orazione pe fa ndrattené lu sanghe da lu naso, Canzone popolare dei ragazzi.
     Le orazioni contro il malocchio e contro il mal di ventre, con la traduzione di Rocco Scotellaro, le ho postate su questo blog il 3 marzo 2012, con la traduzione poetica di Sinisgalli (La vigna vecchia, p. 106) di un’altra versione lucana del scongiuro contro il mal di ventre:
Fugge l’acqua sopra la paglia
Come fugge l’Onnipotente.
Come s’allenta la tenaglia
Ti passerà il mal di ventre;
     (22,23) Canzonette ed Inni religiosi di Cancellara;
     (24) Canzonetta Carmela di Micco, che reca l’annotazione: «Questa canzona appartiene ad un pagnottista di Cancellara di nome Giovanni Messina»;
     (25) Versi cantati da alcune madri per addormentare i loro bambini (firmati Zampulla Domenico). Sono 9 quartine ciascune delle quali esprime una nenia;
     (26) Un componimento dialettale d’occasione per l’«Anno Nuovo» di Gabriele Sellitti. In calce al foglio ove su due colonne è riportato il canto si leggono, di mano di Scotellaro, le seguenti annotazioni: «Pace in terra è la speranza di tutti a Natale. A Bethlehem, negli Stati Uniti, vi è fede e speranza per un mondo libero e pacifico. /Una delle tradizioni più care ai bambini italiani è il presepio. Anche a B. (Brooklyn?) negli S. U., quasi ogni casa ha il suo presepio. / Bambini che provano gli inni nella Chiesa Morava. / Gli americani sperano e lavorano per la pace intera. / Albero eretto di fronte alla C[asa B[ianca], residenza del Presidente. Rockfeler Center a N-Y., vengono sospese sull’albero 500 lampade bleu che creano un soffitto di stelle.»:
     (27) Una poesia albanese «Pse Jam Kët këndim ja jap zotis Agostino Ribeku» datata 29.9. ‘951, di Giovanni Manes (Perché vivo. Questo canto lo offro al signor Agostino Ribecco), liberamente tradotta da Rocco Scotellaro;
     (28) Formule epistolari e un fatto di cronaca: «Succede a Castelluccio». Il fatto: «Il sindaco propone il riscaldamento delle stufe. In conseguenza delle sparse aule era impossibile procedere ad impianti elettrici, o a carboni centralizzato. Il comune delibera per l’acquisto di stufe a gas: gli insegnanti si dividono in due fazioni 6 contro 3. Il comune ha assentito al riscaldamento ai 3 con stufe a gas. La Prefettura respinge la delibera, pare per intervento D.C. Il Sindaco ha scritto al Prefetto protestando e i 3 hanno avuto la stufa a gas; gli altri 6 mantengono il carbone vegetale in braciere».
 

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