ROCCO SCOTELLARO _ E’ FATTO GIORNO – ULTIME

 I TOPI

I topi sentono gli occhi
quando mi sollevo a vederli.
Si muovono con gambe lunghe
di uomo nella stanza.
Resistono perché sanno
che anche io alla fine mi addormento
e per loro sarà libero giuoco.
 
La coda è la grande ala
che raschia e con quella
il topo vola dai buchi
pallottola dell’animo
dei fucili al bersaglio.
O mio cuore antico, topo
solenne che non esci fuori
e non hai libero sfogo
come non l’ha la frana
della città degli uomini accesa e ruotante:
e non senti gli occhi
di chi tra le donne – meno crudele
e meno esitante – pure ti guarda lontana.

 (13 dicembre 1953)

p. 205 della II edizione di E’ fatto giorno, dicembre 1954 con 10 tavole di Aldo Turchiaro

     La poesia I topi, una delle due ultime poesie di Rocco Scotellaro, esprime l’angoscia per una giovane vita che si sente sfuggire. Un ragazzo di trent’anni non scrive « se campo», come Rocco scrisse alla madre, il giorno stesso in cui morirà; nella lettera ad Antonio Albanese dello stesso giorno fatale c’è disperazione e scetticismo sull’orientamento diagnostico del suo male. Riferisce di esami delle feci «color ardesia», che inducevano a sospettare la presenza di sangue digerito nelle feci e, quindi, un’emorragia intestinale, tanto che Rocco si dichiarava pronto a tornare a Tricarico per un eventuale intervento chirurgico, ma egli pensava che altro fosse il suo male, «un forte reuma al petto», che sfortunatamente, confida al suo amico, c’era un solo medico in Italia che sapeva curarlo, guarendolo: aveva 95 anni e viveva a Ferrara. Alludeva al dott. Minerbi, nonno materno di Giorgio Bassani. Questo male, che egli sente essere il suo male, lo grida, con voce impotente, negli ultimi versi della poesia I topi: O mio cuore antico, topo / solenne che non esci fuori / e non hai libero sfogo / come non l’ha la frana / della città degli uomini accesa e ruotante; / e non senti gli occhi / di chi tra le donne – meno crudele e meno esitante – / pure ti guarda lontana.

   Rocco non ignorava che i topi nella letteratura sono prevalentemente simbolo di angoscia, indicano disgusto e degrado e sono raccontati da moltissimi scrittori antichi e moderni. Egli stesso, come testimonia il prof. Bronzini in L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, p. 227, aveva raccolto, tra i numerosi documenti demologici e popolari, minuscoli testi in cui si esprime l’ossessione per i topi. E, d’altra parte, non ignorava che se in occidente il topo è un animale poco amato, non è la stessa cosa per gli orientali, che ne hanno invece un grande rispetto. Non può, quindi destare meraviglia che egli avesse dedicato un’altra poesia ai topi, Topi e condannati, che chiude la sezione Capostorno (vedi)- poesia dal forte timbro politico, metafora della lotta di classe, scritta nel 1948, l’anno dell’epico scontro in cui Rocco si schierò col Fronte popolare socialcomunista, non condividendo il pensiero dei suoi amici Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.