Come fu conferito un incarico di prestazione professionale
a un rubagalline e come questo, pur non assolvendo l’incarico,
contribuì al conseguimento del risultato
 
      B. P. era un rubagalline con falso pedigree. I carabinieri di Tricarico non facevano fatica a capire, quando ricevevano una denuncia di furto, chi e dove cercare. Il ladro – immancabilmente sempre lui, B.P. -, veniva beccato, arrestato, processato, e i periodi di carcerazione crescevano per il cumulo di recidiva.
     B.P. vantava un glorioso passato, che forse e senza forse esisteva solo nella sua fantasia. Si vantava di essere stato uno dei maggiori esponenti del banditismo metropolitano del dopoguerra, a Torino e nel torinese, di avere svaligiato banche, di avere rubato milioni aprendo casseforti con magistrale abilità. Raccontava le rocambolesche fughe, riferiva i resoconti dei giornali. – I giornali mi avevano dato un nome di battaglia – si gloriava. Mi chiamavano: Uccello di bosco! – Pezzo di fesso – gli si faceva osservare – uccello di bosco non è un nome di battaglia, un titolo per una campione della malavita, significa semplicemente che non ti avevano ancora catturato. Quando ti hanno arrestato, non sei stato più uccello di bosco, ma uccello in gabbia -. Ci rimaneva malissimo, non accettava che il suo avventuroso passato fosse così svilito e ci mandava a quel paese : – Sciate affà… .
     Il fatto che sto per raccontare non vede ora B.P. come ladruncolo, ma incaricato ufficialmente di forzare la cassaforte della Esattoria di Tricarico. Fallì nell’impresa, ma un tantino di credito e un po’ più del credito guadagnò di soldi.
     Il Comune, per alleviare la disoccupazione, aveva fatto sterrare un tratto della strada di Malcanale. I lavori erano finiti, i soldi erano arrivati, i lavoratori dovevano essere pagati, ma accadde che nella cassaforte della Esattoria, per una distrazione dell’impiegato, con i soldi erano state chiuse anche le chiavi. La cassaforte, chiusa a scatto, era impossibile aprirla. Uno dopo l’altro furono chiamati tutti i meccanici e i fabbri ferrai di Tricarico, ma tutti dovettero arrendersi. Di scassinare la cassaforte con la fiamma ossidrica manco a parlarne, perché la fiamma avrebbe potuto bruciare i soldi.
     Passavano i giorni e i lavoratori cominciarono a perdere la pazienza. Si riunirono per protestare sotto la Esattoria, che allora era in piazza, nell’appartamento al piano sopra quella che a quei tempi era una falegnameria accanto all’edicola di Vincenzo Carolillo, che ora gli eredi hanno adibito a negozio di oggetti da regalo. La rabbia montava, cominciò a girare la voce che il fatto delle chiavi chiuse nella cassaforte fosse una scusa, per camuffare la verità: ossia che il Comune non aveva ricevuto i soldi e chissà quando e se li avrebbe ricevuti, perché erano stati combinati chissà quali pasticci, e chissà cos’altro!, con le pratiche. Il sobbollimento della folla stava per trasformarsi in rivolta, in assalto alla Esattoria, altri incitavano a occupare il Comune, perché se i soldi non c’erano, l’Esattoria non c’entrava, ma era tutta colpa del Comune.
     Girava un’aria talmente brutta che a qualcuno venne in mente una idea stupida. Succede, quando non sai che pesci pigliare. Quel qualcuno suggerì di dare a B. P. l’incarico di forzare la cassaforte. – Lui ha scassinato casseforti delle banche di Torino, saprà come fare con la cassaforte dell’Esattoria, che, in fondo, è come un armadio un po’ rinforzato -. Provvidenzialmente il suggerimento fu accolto. Provvidenzialmente: perché tutti sperarono che B.P. avrebbe saputo forzare la cassaforte, gli dettero una fiducia basata sul niente, ma fece calmare le acque e dette modo a B.P. di realizzare un onesto guadagno.
     B.P. salì le scale dell’Esattoria con sussiego, la gente guardava naso all’insù verso il balcone dell’ufficio in attesa che l’esattore o l’impiegato si affacciasse a comunicare il lieto evento. Che, naturalmente, non si verificò, ma fu taciuto che B. P. avesse fatto fiasco, bensì fu pregato di far finta di lavorare a forzare la serratura. In piazza la folla aspettava fiduciosa.
     Era accaduto che l’Esattore, mentre B.P. falsamente si industriava alla cassaforte, resosi conto della comicità della situazione da lui stesso autorizzata, portò in porto l’operazione, che stava già conducendo, di ottenere un prestito da un ricco commerciante. B.P. fu incaricato di guadagnare tempo per dar modo che l’operazione finanziaria si concludesse. Il ricco commerciante prestò i soldi e i lavoratori furono pagati. La cassaforte fu mandata al costruttore, che forzò la serratura, la rimise a nuovo e al dovuto prezzo la restituì. Magia del dollaro nel dopoguerra!, pare che il ricco negoziante concordò la restituzione della somma prestata in dollari – 8.000 dollari. La vicenda qualcosa costò. Qualcosa, ma certamente non poco. Non si seppe chi pagò: se l’esattore o l’impiegato distratto, ma non è difficile indovinarlo.

 

 

 

3 Responses to Accadde a Tricarico

  1. Mery Carol ha detto:

    1950 o giù di lì?

    • Antonio Martino ha detto:

      1953 e giù di lì. Era sindaco Giovanni Laureano, che fu eletto nel 1953 e mantenne l’incarico per un paio di anni. Era contrarissimo all’operazione, ma tuttavia l’avallò perché non c’erano altri pesci da pigliare.

  2. Antonio Martino ha detto:

    Di Tricarico. Ti farò il nome, riservatamente, in privato, anche se non ci sono misteri da svelare, che il fatto (o la diceria) era conosciuto/a a tutta Tricarico. Oggi, naturalmente, si è persa completamente memoria.

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