ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – QUADERNO A CANCELLI

SALMO ALLA CASA E AGLI EMIGRANTI

Inchinati alla terra, alla piccola porta mangiata della casa,
noi siamo i figli e la porta è carica di altri sudori,
e la terra, la nostra porzione, puzza e odora.
Mi uccidono, mi arrestano, morirò di fame, affogato
perché vento e polvere, sotto il filo della porta, ardono la gola;
nessuna altra donna mi amerà, scoppierà la guerra,
cadrà la casa, morirà mamma e perderò gli amici.
Il paese mio si va spopolando, imbarcano senza canzoni
 
Che vanno a pigliare l’anello? Come nel giuoco,
sui muli bardati di coperte, e con le aste di ferro uncinate,
al filo teso sulla rotabile, nel giorno di San Pancrazio? *
Ve ne andate anche voi, padri della terra, e lasciate
il filo della porta più nero del nero fumo.
Quale spiraglio ai figli che avete fatto
quando la sera si ritireranno ?

(1952)

p- 186 II ed., dic. 1954 di E’ fatto giorno, con 10 tavole di Aldo Turchiaro

____ *   Giuoco per la festa del Protettore: chi strappa eretto sul mulo, l’anello con la lunga asta, ha in premio un anello d’oro. L’espressione è usata per indicare la sproporzione tra il pericolo di cadere e il premio. (N. d. A.)

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     Di grande interesse per le notazioni psicologiche e di poetica gli appunti sul processo compositivo della lirica contenuti nel fr. 53, parte II di Frammenti e appunti dai quaderni dell’Uva puttanella, in Uno si distrae al bivio, pp. 131-133. Scotellaro riporta il dramma dell’emigrazione a dimensione elegiaca, rivivendolo in proprio come destino esistenziale e peregrinazione verso l’ignoto. Dopo aver visto i suoi contadini imbarcarsi a Napoli egli, postosi il problema della forma poetica più idonea a esprimere l’angoscia di chi assiste al ripetersi dell’esodo biblico, lo risolve per il salmo. (Epica: è falsa, ora. Elegia: è facilissima. Ode: per chi e che? Sonetto: ci vuole pace e molti giorni di incubazione, non delle rime, del fatto. Canzone: sono solo. Comizio: idem. Epicedio: i morti sono freddi. Salmo: sto per arrivarci, ma l’ignoto è lontano. Vada per una specie di salmo). E intonò il Salmo agli emigranti, pubblicato con varianti in «È fatto giorno» col titolo «Salmo alla casa e agli emigranti».

     Qui il poeta riconsacra, ad apertura e chiusura, il suo legame col paese. Il giuoco dell’anello per la festa di San Pancrazio, raschiatone il colore folclorico, acquista un’antichità che in realtà non ha, assurgendo a elemento simbolico di un esodo senza premio dei padri della terra. L’ampio giro comparativo intorno al giuoco per la festa del Protettore («chi strappa, eretto sul mulo, l’anello con la lunga asta, ha in premio un anello d’oro») ha una portata omerica e però vuole solo «indicare la sproporzione tra il pericolo di cadere e il premio (come tiene a puntualizzare in nota lo stesso poeta). Ancora una volta il dato folclorico viene totalmente fuso in lamento corale.

     Scotellaro espresse anche in una quartina in dialetto del genere popolare dei canti di rampogna la delusione dell’America sognata dall’emigrante e il disgusto che questi ne avrebbe provato. Da Trento l’11 giugno 1941 così scriveva ad Antonio Santangelo (fratello di Isabella, suo primo e grande amore) «che stava per partire dal paese»:

 Ma tu ti scorderai mai del tuo traino dalle ruote da mulino, dei tuoi muli lavoratori che ti leccano il pugno solo quando è pieno di biada? Ti dimenticherai dei viaggi di dieci ore a Potenza sotto la luna e sotto la neve, della vecchia Porta del Monte, delle sassaiole di cui l’abbiamo fracassata?

 E poi lo seguì nelle sue vicende, rimproverandogli di voler partire di nuovo, come annotò in un appunto del 25 novembre 1950:

     « E’ stato in aviazione, si ammalò, dichiarato invalido, suo padre ha cambiato il traino con un Bianchi-Miles ed egli ne è divenuto l’autista, come aspirava. Ora vuole di nuovo andarsene, al Venezuela, all’Australia, in Canadà. Io gli canto la rampogna così:

 Oi t’aià nghiotte la anca ca ti tiri
oi possa scé nt’America cu nu suspiri.
te possa venne la ‘amma chi bastone
nchianà na scala quanto lu calancone. »

È una quartina di endecasillabi a rima baciata che Scotellaro improvvisò su un modulo di canto popolare di rampogna per esprimere protesta e rabbia per chi, attratto dal falso miraggio dell’America, si apprestava a partire dal proprio paese. Il testo è tratto da un appunto del 25 novembre 1950,  «dove» – come rilevò Levi nella Prefazione all’Uva puttanella, 1955, p. 12 – «nelle note per un giovane che vuole partire si sente la profondità poetica di un affetto che è insieme una norma di vita, un severo giudizio». (v. Giovanni Battista Bronzini, «L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro», 1987, Edizioni Dedalo Bari, pp. 457 s. e p. 315).

 

 

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