Come, avverbio modale, è l’incipit del banale racconto di un semplice fatto che si esaurisce nel titolo di questa bagatella: un tizio sferra un pugno a Gilberto Marselli, che agilmente lo schiva e il cazzotto colpisce duro in pieno volto Giorgio Napolitano, che gli era alle spalle.
     Perché, avverbio interrogativo, è l’incipit di un viluppo di metafore espresse dal suddetto fatto, che richiamano una fervida stagione culturale e politica ricca di pagine, forse datate e forse no.
     Gilberto Marselli è l’anello di congiunzione della banalità del fatto con la metafora.
     La pagina che più immediatamente salta agli occhi è una guerra senza quartiere tra comunisti ed ex comunisti. Non ricordo dove tanti anni fa ho letto che Ignazio Silone riferì di aver detto una volta a Palmiro Togliatti, il leader comunista italiano, scherzando, che la lotta finale sarebbe stata tra i comunisti e gli ex comunisti». Non so se la guerra continui ancora oggi, che i comunisti non ci sono più e gli anticomunisti si assottigliano sempre più per effetto dell’inesorabile decorso del tempo.
     Chi tentò di sferrare il pugno a Marselli fu un comunista: per la storia, un comunista lucano. segretario di una delle due federazioni comuniste della Lucania. Marselli non era un ex comunista e neppure un anticomunista. Con quella guerra non c’entrava, eppure rischiò di prendersi un pugno a causa della guerra a cui, sbagliando, pensava di essere estraneo. Egli era l’assistente di un ex comunista, il prof. Manlio Rossi Doria e, a sua insaputa, era in guerra per contaminazione.
     Il fatto accadde nei minuti che precedevano una conferenza moderata dal prof. Nino Cortese, storico di fama, liberale di scuola crociana, esponente di spicco della Baronia universitaria. Il professore aveva già preso posto in cattedra, attorno alla quale si era radunato un gruppetto, del quale facevano parte, ognuno per suo conto, Marselli, il comunista lucano e Giorgio Napolitano. Il professore chiese a Marselli come si chiamasse e cosa facesse. E quando Marselli disse che era assistente del prof. Rossi-Doria, il comunista lucano sibilò: – assistente di un traditore! -. Marselli reagì e il comunista lucano gli sferrò un cazzotto, che Marselli schivò e colpì duro in pieno volto il futurissimo Presidente della Repubblica. Che pugni in faccia ne prende ancora da una confusa schiera di gnomi, con stile di statista – rara avis in questa stagione – e dignità di Capo di Stato,.
     Nella guerra si combatteva un’altra guerra, ingaggiata dallo stato maggiore comunista del Mezzogiorno, contro il meridionalismo di Levi-Scotellaro-Rossi-Doria. Dalla rivista «Cronache Meridionali» Mario Alicata, che ne era il direttore, sparava colpi a pallettoni contro il cadavere di Scotellaro, morto da pochi mesi, per colpire Rossi-Doria. Giorgio Napolitano adoperava la penna per lanciare frecce acuminate contro «Contadini del Sud» e la civiltà contadina. Non erano atti di guerra gli argomenti, l’espressione delle proprie convinzioni o di quanto era nelle direttive del partito – cosa pienamente legittima -, ma l’ira, l’indignazione, la ferocia con cui gli argomenti erano sviluppati. Fu giustamente notato che tutta quell’ira, indignazione, ferocia era la caratteristica di una lotta politica volta a precludere la discussione e dettare come esclusiva la linea del gruppo dirigente comunista.
     Nella specifica occasione di cui si occupa questa bagatella, Marselli, oltre a essere considerato simbolico rappresentare dell’ex comunista Rossi-Doria, aveva l’ulteriore e personale colpa di collaborare al lavoro culturale e scientifico di quella corrente meridionalista così ferocemente avversata.
     La bagatella a questo punto ha detto tutto quello che aveva da dire a doveva dire. Ma ne approfitto per rinnovare un auspicio, che ho già fatto su questo blog. Mi rifeci allora al Convegno per il 50° anniversario della morte di Rocco Scotellaro e al fatto che non si sa che fine abbiano fatto gli atti di quel convegno, disperdendo così un rilevante patrimonio culturale, che emerge con chiarezza dalla seguente succinta contabilità. Nelle cinque sessioni di lavoro, in cui il Convegno fu diviso, si alternarono critici letterari, linguisti, storici, economisti, sociologi, antropologi, editori, scrittori, giornalisti, intellettuali militanti e uomini politici, che indagarono su situazioni di contesto e aspetti particolari riguardanti il dopoguerra nel Sud e gli orizzonti della modernità, il contadino e il latifondo, la condizione dell’intellettuale, le implicazioni socio-antropologiche, la cultura poetica tra ermetismo e neorealismo, la rappresentazione dell’identità tra autobiografia, racconto e cinema-teatro, i codici linguistici all’incrocio di cultura alta e cultura subalterna, la fortuna in Italia e all’estero. Nelle tre giornate di lavori furono pronunciate trentotto relazioni, interventi e indirizzi di saluto. In sintesi, fu data visibilità e voce a pagine di storia culturale e politica che dovrebbero essere ricordate ‘für ewig”, avrebbe detto Gramsci, ossia per l’eternità.
     Non risulta, tranne una lodevole eccezione, che gli Atti del Convegno siano stati pubblicati, e questa colpevole incuria non ha scusanti.
     Credo che sarebbe possibile fare almeno un’altra eccezione e pubblicare la relazione – così rispettosa del pubblico per la chiarezza, la semplicità di resa e di sintesi, senza trascurare nessun elemento di una storia interessante e complessa, a cui questa bagatella ha modestamente fatto cenno – tenuta da Gilberto Marselli l’8 maggio 2004. Quella relazione ha titolo e un sottotitolo. Nel titolo « Montgomery e pastrani » c’è tutta partenopea arguzia metaforica di Marselli, nel sottotitolo “Il contributo di Portici alla sociologia rurale”, tutta la sua modestia. E’ forse la sola relazione che mi è rimasta fortemente impressa nella mente per la chiarezza, il controllo del linguaggio, l’interesse degli argomenti trattati, e mi fa reclamare che sia tratta dal cassetto in cui giace, che, credo, non sia un cassetto di Marselli.

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