Antologia della Civiltà contadina – 3) DIABETICI E ALLERGICI
L’aggiornamento della categoria Contadini e Luigini con la categoria Diabetici e Allergici, secondo il prof. G.B. Bronzini (Il viaggio antropologico di Carlo Levi da eroe stendaliano a guerriero birmano, Bari, Dedalo, 1996, p. 381 ss., che si avvale del linguaggio matematico, rappresenta l’eguaglianza tra due rapporti (Contadini : (sta a) Luigini = (come) Diabetici : (sta a) Allergici), che l’antropologo e studioso di tradizioni popolari materano definisce equazione. In termini matematici tale formula non è un’equazione, bensì una proporzione, ossia l’eguaglianza tra due rapporti. L’equazione è invece un’eguaglianza tra due espressioni contenenti una o più variabili incognite. Un insieme di valori, che sostituiti alle incognite verifica l’equazione, ossia la rende vera, è la soluzione dell’equazione.
La lettura del prof. Bronzini, compiuta nell’ambito della relazione proporzionale, mostra il suo limite allorquando ritiene che il contrassegno di diabetici dato ai contadini non regge a una verifica di medicina sociale. Il diabete colpisce più i ceti di persone agiate, mentre è meno frequente tra la gente avvezza a un’alimentazione semplice e naturale. Non a caso la malattia passa per simbolo e scotto dell’opulenza. Discutibile sarebbe pure il contrassegno di allergici apposto ai luigini, i quali, però, – si badi – sono per Levi prima di tutto antidiabetici: la diagnosi di allergia, la cui frequenza sociale è meno verificabile, riguarda una sensazione in sé borghese, considerata dilettantesca estranea al repertorio contadinesco delle malattie vere ed effettive; quella diagnosi, comunque viene aggiunta per rendere più evidente la differenza, quindi è secondaria alla inventio comparativa. A Levi premeva il raccordo di questa nuova dualità con la prima, colta dal vero, di contadini e luigini (Bronzini, ivi).
Seguitando nell’analisi, l’etnologo fa notare che i caratteri opposti delle due malattie e dei relativi tipi di malati si presterebbero meglio a rappresentare un’antinomia più storica e tradizionale, anche più drammaticamente e drammaturgicamente comica: la guerra ingaggiata nel medioevo cristiano tra il tempio del Mercante e quello della Chiesa, e combattuta sempre con asprezza e reciproco dileggio tra i Carnascialanti e i Quaresimeggianti seguaci di Quaresima con tutti i contorni di godurie e leccornie degli uni e le astinenze degli altri.
Sono considerazioni incontestabili ma che non spiegano l’aggiornamento della vecchia categoria contadini e luigini, a meno che non lo si ritenga una bizzarria, come sembra ritenere lo stesso prof. Bronzini allorquando afferma che la contrapposizione tra diabete e allergia è una delle più bizzarre e gustose trovate in funzione di satira e parodia della medicina ufficiale.
Ma proprio il lapsus matematico, che suggerisce la presenza di incognite nel rapporto, muove a cercare la spiegazione fuori dell’ambito della medicina ufficiale. Mi pare che sia questa la strada seguita da Italo Calvino nella sua lunga recensione al Quaderno, pubblicata sul Corriere della Sera del 24 giugno 1979 col titolo Con l’occhio della lumaca, ora in I. Calvino, Saggi 1945-1985, Meridiani della Mondadori, pp. 1126-1132. «La più antica classificazione dei caratteri umani – egli scrive – non è moralistica né psicologica ma medica: prende origine dalla dottrina dei quattro umori di Ippocrate: sanguigno, flemmatico, collerico e malinconico. Nell’orizzonte della medicina moderna non è detto che una tale classificazione debba complicarsi, anzi potrebbe ridursi ulteriormente, limitandosi a distinguere nel genere umano due temperamenti fondamentali: i Diabetici e gli Allergici». Ed è questo che ci propone Levi.
Ricoverato nella clinica San Domenico, a Roma, assistito amorevolmente da Linuccia Saba, Levi fu operato nel febbraio del 1973. Egli compie l’esperienza di una grave malattia, che gli fa perdere d’improvviso, con la sia pure transitoria cecità, il senso della immortalità, come testimonia Linuccia Saba, che per immortalità intende quel vivere così naturale del suo compagno dentro il cerchio fermo della sua totale armonia con il mondo (Carlo Levi, Quaderno a cancelli, Einaudi, 1979, p. IX). Non satira bizzarra, pertanto, perché Levi intinge la penna non in un calamaio d’inchiostro zuccheroso, ma nell’inchiostro della sua malattia.
– Erano i primi giorni di quella inaspettata esperienza di malattia – testimonia Linuccia Saba – Carlo stava lì disteso, fermo, apparentemente paziente e tranquillo quando, guardando il calendario, vidi che era il 2 febbraio. «Peccato, – dissi – quest’anno Stefano (Stefano De Rosa, un nostro amico che compiva allora i cinque anni ) non avrà la sua rosa». E intendevo quella che Carlo gli ha disegnato sempre, da quando è nato, per il suo compleanno. « No? E perché?. Dammi la carta, la penna, qualcosa su cui appoggiare il foglio …» -. Riprese quindi a dipingere, malgrado l’assoluta temporanea cecità; e a scrivere il suo ultimo libro, Quaderno a cancelli cit. In una prima fase scriveva a mano libera; poi, apparsa evidente la difficoltà dell’impresa, si avvalse dell’ausilio da lui stesso ideato di una sorta di scrittoio: un «quaderno» di legno a cerniera, munito di cordicelle tese tra le due sponde per guidare la mano. L’ingegnoso espediente non poté che alleviare in parte la difficoltà dello scrivere. Inoltre, la posizione del degente (supino, con la testa in basso rispetto all’asse del corpo) impediva l’uso della penna, causa il rifluire dell’inchiostro.
Quaderno a cancelli è anche il titolo della penultima sezione della raccolta di poesie di Rocco Scotellaro E’ fatto giorno, inserita da Carlo Levi, che dette il titolo alla sezione, non riprendendolo, come per altre sezioni, dal titolo di una delle poesie che ne fanno parte, ma assumendolo dal primo verso della poesia stessa. Aldo Marcovecchio, nella nota al libro di Levi, suppone che il titolo sia un riferimento a quella sorta di quaderno di legno a cerniera di cui ho detto sopra. Di qui – deduce Marcovecchio (Quaderno, p. 231 – il titolo dell’opera nel duplice significato (tipico polisenso leviano) letterale e metaforico; «probabilmente in sotterraneo richiamo al Quaderno di prigione, scritto nel 1935 nel carcere romano di Regina Coeli». Ma, più probabilmente, si può vedere un sotterraneo richiamo alla citata poesia di Scotellaro, che in una certa misura è invenzione di Levi per la selezione delle poesie che compongono la sezione e l’idea del titolo della sezione stessa.
L’esperienza della malattia parve concludersi e fra il 7 e il 10 dicembre 1974 Levi compì l’ultima visita in Basilicata, presentando una cartella di 7 litografie ispirate al Cristo si è fermato a Eboli, pubblicata dall’editore Esposito di Torino. Ma il 23 è ricoverato in ospedale e muore dopo alcuni giorni, il 4 gennaio 1975 dopo alcuni giorni di coma. In quell’occasione prestò consulenza neurologica, come neurologo di turno, il lucano prof. Rocco Pisani, docente presso la facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma, ora in pensione. Il prof. Pisani è un mio caro amico, col quale trascorriamo le nostre vacanze sul dolomitico Renon, nello stesso hotel dove trascorreva le sue feconde ferie Sigmud Freud e scrisse Totem e tabù. Pisani è anche amico del tricaricese Nunzio Campagna, che è stato professore di filosofia di due delle sue tre figlie, ora valenti professioniste. La nostra amicizia ha un forte legame sentimentale, perché il padre, che Rocco ha perso quando era bambino, era amico di mio padre e io, che ho diversi anni più di Rocco, l’avevo conosciuto e di lui ho nitidi ricordi. Linuccia Saba –mi ha raccontato Rocco – gli disse: – Come sarebbe stato contento Carlo, se avesse potuto sapere che l’ha visitato un medico lucano! -.
Ciò che Levi descrive è la cecità: un mondo privo di tempo e privo di spazio, in cui agli occhi senza vista pur sempre appaiono immagini, o meglio frammenti di immagini, residui della memoria, la «vista all’interno dell’occhio», una luna scrostata e polverulenta, quella che egli definisce «la grigia spiaggia dell’assoluta Futilità». Obbligato a contemplare senza interruzione questo paesaggio astratto e sfuggente, ad abitarlo e a dominarlo, Levi s’impegna a descriverlo minutamente, a trarne tutte le analogie possibili, le associazioni di figure e di parole. Comprende che «la storia del mondo è iscritta nella malattia assai meglio e più chiaramente e profondamente incisa che nella storia delle idee e delle istituzioni, assai più ingannevole e equivocabile e alterabile e sofisticabile che non quella dei tessuti, della carne e del sangue, del cuore e del respiro». Cosi Carlo Levi riflettendo sul diabete che è all’origine della sua cecità lo eleva a categoria tanto storica quanto di tipologia individuale, di destino. Il Diabetico è colui che non pone frontiere né difese tra sé e il mondo, che annulla la diversità, accetta, ingloba e trasforma l’universo nel proprio zucchero, e finisce vittima di questo eccesso di dolcezza. È Giobbe, è Booz (progenitore di David, sposò Rut per la legge del levirato, dal matrimonio nacque Obed, nonno di David) è Cristo. La contrapposizione tra il Diabetico e l’Allergico può essere la chiave per interpretare il mondo (dominato dagli Allergici), e Levi è tentato di riformulare in questi termini la sua favorita contrapposizione tra contadini e luigini, coniata nelle pagine del Cristo si è fermato a Eboli e ampliata in quelle dell’Orologio.
Quaderno a cancelli, quaderno e non libro, che non ha scritta la parola fine e che Levi non ha letto, ha pure forma e sostanza di diario. Si sfogliano le pagine e susseguono date: 27. 2. 73; 28.2.73; 1.3.73; …28.4.73 (diabetici e allergici); 29.4.73 (gli allergici operano sempre contro qualcuno); …31.5.73 (ultima pagina scritta in clinica).
Riporto in conclusione stralci delle due pagine del diario del 28 e 29.4.73.
28. 4. 73
……………
Il cortisone (lo si chiami come si vuole con uno dei suoi tanti nomi) non è, al limite, che il diabete. È la manifestazione surrenale, o, se si vuole, surreale, di un modo di essere, di una costituzione, a torto considerata una malattia. Malattia soltanto in confronto di una norma, che nei tempi preistorici delle tribù, e storici della proprietà e della moneta le è avversa, che ne fa perciò un caso anziché normale, aberrante e patologico. Tanto patologico da dover essere nella maggior parte dei casi punito, o castrato o considerato peccaminoso, o curato …..
Il diabetico è il contrario dell’allergico, è l’antiallergico: non solo per le dolcezze circee del glucosio …. Ogni cosa è fraterna e fatta di ogni altra cosa, e la differenza fra cose è proprio nella loro non opacità nella loro trasparenza e capacità di essere molteplici, di avere in sé (o di non avere) sensi intuitivi. Per questo non ogni cosa si equivale ma insieme fanno la sola realtà e verità e non ci possono essere limiti, interne frontiere, passaporti, permessi, eserciti, finanze, divieti premessi a quella infinita circolazione. E tutto si svolge tra uguali, che crescono l’uno sull’altro: non ci sono tribù, clan, e neppure statalismi, né Dèi particolari; l’animo è aperto, il commercio fiorente, le carovane partono per terre lontane e sconosciute, non c’è censura né ufficiale né burocratica, né mentale né cosciente né subcosciente non ci sono complessi ….; gli oggetti, polveri, baciIli, virus non creano eccessi di spavento o di reazione, non sono conosciuti o sono minimi gli choc emoclasici; i cibi sono considerati amici come tutti gli altri elementi della natura; che è tutta cibo, cioè conoscenza (sottolineatura mia)…. . Si tende alla grandezza, alla universalità, avendone o no coscienza. Si è alieni dalla violenza, anche essendo eventualmente fortissimi. Non si chiudono le porte neppure la notte, non si sorvegliano né si fanno sorvegliare i granai o le banche, non si conosce la gelosia, si crede a quello che si dice o si vede, alla moglie, all’amico. Si presta o si regala il denaro. Ci si fida del debitore, e se no, si dimentica il proprio credito. Non si è veramente offesi dall’offesa: in qualche modo invulnerabili. Non si pensa che un po’ di zucchero in più conti nell’armonia della natura … né che si debba aver timore della fatica o del sonno. Si pensa che la vita sia legge a sé stessa cosi infinita contemporanea e complessa da andare al di là della singola cronachistica ragione e distinzione di Male e di Bene ….
Nei tempi della mia preistoria, li avevo chiamati, più o meno, e con qualche variante di senso, i Contadini. Ad essi avevo, certo con una certa impoetica imprecisione (poiché poesia vuole dire precisione) contrapposto quelli che chiamavo allora i Luigini, e che non corrisponderebbero qui, se non in parte, agli antidiabetici o allergici, la seconda, e più numerosa costituzione o temperamento, o razza umana (la sottolineatura è mia).
Razza, per essi, è termine quasi appropriato, essendo essi caratterizzati dal loro fondamentale razzismo non tanto ideologico quanto fìsiologico, per cui ogni cosa estranea è nemica…., la donna straniera è intoccabile e impura, il cibo ignoto è tabù, e fa male e è dannoso, le lingue straniere incomprensibili, bacilli, virus, ecc. odiosi barbari mortali, contro cui va mobilitato in un istante l’immenso esercito immunitario, che a sua volta, passando, brucia i fìenili, calpesta i raccolti, violenta le ragazze e le vecchie, spopola i pollai, dà il sacco alle città, infìamma i tessuti, e costa cifre immense ai sudditi stremati dalla fame. Ma la purezza, bene supremo, della razza, è salva, e neppure un granello di polline verrà accolto per timore di incesti floreali …. . Le streghe saranno debitamente e santamente bruciate. I Ku Klux Klan accendono croci di fuoco, le guardie di frontiera vanno avanti e indietro come giocattoli automatici, un poco di glucosio è sentito come lo straripamento del Mississipi; una alterazione del rapporto albume globuline è una crisi intollerabile che richiede almeno la caduta del Ministero, i cibi sono tutti potenziali nemici, e l’Uomo Grasso che nel mondo dei Poveri è il Bello, diventa il Mostro, il Colpevole. L’esercito deve essere obbligatorio e sempre mobilitato; le varie polizie si sorvegliano a vicenda, ogni cosa è nemica a ogni altra, solitaria e isolata.
29. 4. 73
Gli allergici, come dice la parola, operano sempre … contro qualcuno, contro l’altro, un altro. Hanno costantemente un nemico, che li tiene svegli. Riconducono gli avvenimenti, i mali, all’opera di un colpevole: sono gli inventori della colpa, del senso di colpa, del complesso di colpa, degli stati, della vita difensiva di gruppo, dei clan, delle città, delle frontiere, del mistero dell’altrove, della paura, del pudore, dei rituali simbolici di nascondimento, delle idee di influsso negativo e magico. Sono i fondatori e sostenitori degli eserciti permanenti e costosi, dei controlli, del potere dello Stato e delle Polizie, della incontestabile Autorità paterna, della maglia di lana sulla pelle, del timore delle correnti d’aria, del purismo linguistico (toscaneggiante e romanescheggiante). Di tutte le intolleranze, settarismi, violenze, incomprensioni testarde, pregiudizi, prevenzioni. La loro ideale purezza è già sempre macchiata da qualcosa, da un granello iniziale e ipotetico, la cui visibile presenza basta a scatenare gli choc più immediati, la guerra, l’ira folle, il linciaggio. Eserciti linfocitari e immunitari stanno nelle caserme, come battaglioni della Celere con i loro gas candelotti, giornali, poliziotti, giudici e ministri nelle retrovie ….
Dall’altra i Diabetici, immersi già anzitempo nel Gran Tutto nirvanico, ignari di qualunque nemico, inventori del Cortisone e delle leghe bracciantili, e dell’Evangelo e del Socialismo utopistico e umanitario e anarchico, e delle idee tanto tradite di Egalité e di Fraternité, dell’Antirazzismo, della Santità, della Superbia, dell’Orgoglio, delle Sfere Celesti, di Candide ou de l’Optimisme, di Quello che fa il Padre è sempre Ben Fatto, del Lieto Fine, dei bei banchetti in campagna, della pittura impressionista che non poteva durare perché anch’essa si lasciava per noncuranza mangiare dai topi. Il Dio dei Diabetici avendo predicato alle turbe dei Farisei e Sadducei che erano naturalmente allergici, poteva essere adorato soltanto morto deriso e crocifisso, come permanente paradosso. E certo, in un mondo di Allergici, c’è poco da sperare per la razza umanitaria dei Diabetici, relegati alla condizione (vergognosa) di malati da tenere sotto sorveglianza di diete carcerarie e da campi di concentramento, giusta punizione o contrappasso per chi pretenderebbe di aver tutto, di donare tutto, e non mai sapere alcun limite arbitrario! E si ammalano agli occhi, essi che vorrebbero poter vedere ogni cosa, nessuna considerandola nemica, o in sé vergognosa o pudenda; e al cuore e alle arterie, questi che vorrebbero amare ogni oggetto e essere vivente, e circolare dappertutto, come un sangue vitale, senza frontiere. In un mondo, come il nostro, allergico, con le sue ideologie allergiche, le sue superstrutture allergiche, la sua economia politica allergica, la sua medicina allergica …, è naturale che il Diabete diventi non una costituzione, una condizione, un sistema, un modo di rapporti diversi e complessi, una cultura, una civiltà anche da un punto di vista fisico, chimico, biochimico, elettrico, morale, interreativo, scade al livello di anormalità, diventa malattia. …. .
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Il mondo nel suo insieme è di una complicazione immane. Suddividerlo in due (due di tutto: buoni e cattivi, ricchi e poveri, poeti e prosaici…) semplifica un po’ le cose.
Diabetici e Allergici – come Contadini e Luigini -, secondo la poetica metaforica di Levi, sono le due forze o civiltà che determinano i destini dell’umanità: i primi quelli che fanno le cose, le amano e se ne contentano, sono Giobbe e Gesù; i secondi sono tutto il resto e formano maggioranza. Le infinite categorie duali in cui tutto può dividersi con questo non c’entrano nulla.
Grazie, Simplicius, per avermi spiegato con tanta chiarezza il pensiero leviano.