ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – AMORE E DISAMORE

 

LO SCOGLIO DI POSITANO

 Piú paura che della morte

se si rompono gli amici e gli amori.

Fratelli e sorelle della mia corte

siete qui, vi conto, nessuno è fuori.

 

Li Galli se ne sono andati

e la Punta Licosa

nella notte del mare.

Come ti voglio amare

fin che dura lo scoglio e la paura.

 

(1951)

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p. 163 della II ed., dicembre 1954 di E’ fatto giorno con 10 Tavole di Aldo Turchiaro

Lo scoglio di Positano richiama il mito delle Sirene con le immagini della morte e de Li Galli e Punta Licosa, che se ne vanno nella notte del mare, e ricorda l’arcano del mito dipanato attraverso antiche leggende. Li Galli e Punta Licosa sono le isolette Le Sirenuse, abitate dalle tre sirene del golfo di Salerno (Partenope, Leucosia e Ligia). Li Galli è un arcipelago di scogli inaccessibili di Positano. Grazie all’inaccessibilità si crede che possa sopravvivere la famosa lucertola azzurra, scomparsa invece dai Faraglioni di Capri e da Punta Campanella, che ad Ovest delimita il Golfo di Salerno. Punta Licosa, che lo delimita a Sud, è un incantevole promontorio, con omonima isoletta, di Castellabate, il paese del Cilento reso turisticamente ancora più noto dal divertente film Benvenuti al Sud.

     Il mito è noto, anche se attorno ad esso è fiorita più di una leggenda. Le Sirene, esseri favolosi della mitologia classica, rappresentati in forma di giovane donna nella parte superiore del corpo e nella parte inferiore in forma di uccello o, in epoca successiva, di pesce, emergevano dalle acque del mare e, con il canto dolcissimo, incantavano i naviganti facendoli naufragare. Omero ne canta nel XII libro dell’Odissea, rappresentando le Sirene nel tentativo di affascinare con il canto Ulisse, e il canto sarà anche nella letteratura posteriore l’elemento fondamentale della loro personalità.

Alle Sirene giungerai da prima,

Che affascinan chiunque i lidi loro

Con la sua prora veleggiando tocca.

Chiunque i lidi incautamente afferra

Delle Sirene, e n’ode il canto, a lui

Nè la sposa fedel, nè i cari figli

Verranno incontro su le soglie in festa.

Le Sirene, sedendo in un bel prato,

Mandano un canto dalle argute labbra,60

Che alletta il passeggier: ma non lontano

D’ossa d’umani putrefatti corpi,

E di pelli marcite, un monte s’alza.

Tu veloce oltrepassa, e con mollita

Cera de’ tuoi così l’orecchio tura,

Che non vi possa penetrar la voce.

Odila tu, se vuoi; sol che diritto

Te della nave all’albero i compagni

Leghino, e i piedi stringanti, e le mani:

Perchè il diletto di sentir la voce

Delle Sirene tu non perda. E dove

Pregassi, o comandassi a’ tuoi di sciorti,

Le ritorte raddoppino, ed i lacci. (Odissea, Canto XII, vv. 52-74, trad. di Ippolito Pindemonte)

 

     Secondo una tarda leggenda (altre ne erano fiorite in precedenza) le Sirene morirono  gettandosi in mare per l’insensibilità di Ulisse al loro canto. Il corpo di Partenope fu rigettato dalle onde alle foci del Sebeto (che forse corrispondono all’area dell’attuale piazza Municipio di Napoli), dove fu eretta Partenope, la città chiamata poi Neàpolis (Napoli). In largo Sermoneta, a Napoli, si erge una fontana monumentale battezzata appunto in onore fiume Sebeto, raffigurato come una divinità.

     Leucosia e Ligia furono trasformate in scogli.

 

 

 

 

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