ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – LA CASA

IL GARIBALDINO NOVANTENNE

Tra tutte le cose che ricordo

(come le bestie, chi ha la forza

chi lo stagno del piscio e chi una fontana:

io anche sono un muletto, scelto nelle fiere

che ha avuto già tre padroni)

quella che fra tutte più ricordo

e vive è un pezzo di stradetta

vicino a casa mia. Aveva ed ha

sempre una coperta bianca di sole

che viene da mezzogiorno: le case

davanti sono basse e scendono a valle.

Qui portavano in seggiola il vecchio garibaldino

novantenne.

Un garibaldino novantenne era

quel vecchio bue che pigliava il sole

a Fuori Porta Monte.

Gli andavo attorno come al monumento;

il grande corpo di una statua di neve

e carboni per occhi aveva.

Una volta e due

– come si fa per capire

il cenno più vero

di un animale che capisce

gli mettevo avanti il sussidiario

ed il ritratto del Generale

che egli non vide veramente mai.

Veniva una nipote a dargli

il pane cotto col cucchiaio,

ad aprirgli le labbra inerti di bronzo.

Mi nascosi per giocare a moscacieca,

sotto il suo pesante mantello di lana:

era più caldo lui del bue nella stalla,

era più freddo lui della statua di neve.

Calato il sole, quattro uomini

lo calavano nella casa.

(1952)

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pp. 156-57 della II ed., dicembre 1954 di E’ fatto giorno con 1o Tavole di Aldo Turchiaro

 Datata marzo 1952 iIn Tutte le Poesie  degli Oscar Mondadori 2004

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Il garibaldino novantenne è uno dei non rari esempi di poesia-racconto di Rocco Scotellaro. Mi ricordo bene del “garibaldino” seduto al sole nel piccolo spiazzo alla fine di via Roma, a Fuori Porta Monte, dove c’era la casa abitata, nel mio lontano ricordo, dalla famiglia del veterinario dott. Vincenzo Benevento. Il vecchio garibaldino novantenne veniva portato su una sedia, avvolto anche in piena estate in un mantello di lana grigioverde, come in fotografia si vedono indossati dai soldati della prima guerra mondiale, a prendere il sole. Ho un vivo ricordo di lui, immobile e inespressivo come una statua di neve. Quando rileggo questa poesia, ora che sono passati tanti anni e conosco l’effetto dei betabloccanti, che regolano la mia pressione agendo sul sistema circolatorio periferico e sento i piedi freddi come la neve e, sfregandoli per riscaldarli, desisto, perché li sento caldi come il fuoco, mi chiedo: come facesse Rocco, un ragazzo poco più che ventenne, a conoscere queste sensazioni del corpo in un vegliardo, come me oramai (era più caldo lui del bue nella stalla, /era più freddo lui della statua di neve).

 

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