Rocco SCOTELLARO, PASSAGGIO ALLA CITTA’
ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – LA CASA
PASSAGGIO ALLA CITTA’
Ho perduto la schiavitù contadina,
non mi farò più un bicchiere contento,
ho perduto la mia libertà.
Città del lungo esilio
di silenzio in un punto bianco dei boati,
devo contare il mio tempo
con le corse dei tram,
devo disfare i miei bagagli chiusi,
regolare il mio pianto, il mio sorriso.
Addio, come addio? Distese ginestre,
spalle larghe dei boschi
che rompete la faccia azzurra del cielo,
querce e cerri affratellati nel vento,
pecore attorno al pastore che dorme,
terra gialla e rapata,
che sei la donna che ha partorito,
e i fratelli miei e le case dove stanno
e i sentieri dove vanno come rondini
e le donne e mamma mia,
addio, come posso dirvi addio?
Ho perduto la mia libertà:
nella fiera di Luglio, calda che l’aria
non faceva passare appena le parole,
due mercanti mi hanno comprato,
uno trasse le lire e l’altro mi visitò.
Ho perduto la schiavitù contadina
dei cieli carichi, delle querce,
della terra gialla e rapata.
La città mi apparve la notte
dopo tutto un giorno
che il treno aveva singhiozzato,
e non c’era la nostra luna
e non c’era la tavola nera della notte
e i monti s’erano persi lungo la strada.
_________________
p. 152-3 II ed, dicembre 1954 con 10 Tavole di Aldo Turchiaro
Pubblicata con due varianti (v. riferimenti nell’edizione di E’ fatto giorno a cura di F. Vitelli, p.165) su «Svizzera Italiana», settembre 1950 (sulla quale sono pressoché sicuro di averla letta la prima volta in quel periodo)
_________________________
L’8 febbraio del 1950 Rocco Scotellaro fu arrestato e tradotto nelle carceri giudiziarie di Matera, dove restò fino al successivo 25 marzo. La Costituzione era entrata in vigore da due anni, un mese e otto giorni, ma sembrava un testo scritto in arabo; e il giudice istruttore che applicando, senza porsi alcun problema, la disposizione del diritto processuale che prescriveva, per quel caso, l’arresto obbligatorio, non conosceva l’arabo. Con sentenza della sezione istruttoria presso la corte d’appello di Potenza del 24 marzo 1950 Rocco fu assolto. Nella sentenza si può constatare che si parlava di vendetta, imbastita con acredine da avversari politici e personali.
Tornato libero, non partecipò alle sedute del consiglio comunale tenutesi in aprile e a quelle della giunta tenutesi nello stesso mese e il 3 maggio. Nella seduta consiliare dell’8 maggio presentò le dimissioni da sindaco, ma non da consigliere comunale. Nel silenzio generale dell’aula consiliare, i 16 consiglieri presenti accolsero a maggioranza assoluta le dimissioni con 15 voti a favore e una scheda bianca. (P. Scotellaro, Rocco Scotellaro Sindaco, Edizioni RCE, 1999, p. 97 ss.).
Il nuovo sindaco, l’avv. Rocco Benevento, fu eletto nella seduta consiliare dell’11 maggio 1950 col voto dei 16 consiglieri presenti, tra cui Scotellaro. Dopo l’elezione del nuovo sindaco, Scotellaro e Benevento tennero un discorso in piazza.
Scotellaro scelse quindi di fissare altrove la sede del suo impegno (prima a Roma, per un brevissimo periodo, e quindi a Portici presso l’Istituto di Economia e politica agraria diretto dal prof. Manlio Rossi Doria), non facendo tuttavia mancare la sua collaborazione ai lavori del consiglio comunale.
A una poesia bellissima e struggente consegna i suoi sentimenti per questa svolta radicale, breve e definitiva, della sua vita.
Passaggio alla città, poesia che rileggo da sessantaquattro anni, suscita sempre la stessa forte emozione. Sono note che scandiscono i momenti più delicati e difficili della vita di Rocco, di cui sono stato in un qualche modo testimone. Rocco ha appena patito da innocente la grave ingiustizia della galera, si dimise da sindaco (un evento su cui è stato steso un velo retorico per nascondere la verità, che mi impegno a raccontare, limitandomi ora a ricordare che egli resterà fedelmente nel consiglio comunale fino al suo regolare scioglimento) e lasciò Tricarico senza una prospettiva, una sicurezza di vita. Cercava una sistemazione tra Torino, Roma e Napoli, e infine si fermò a Portici, dove morì tre anni dopo. Quando Rocco lasciò Tricarico, io ero a Napoli per la mia prima sessione d’esami, a pensione con Antonio Albanese. Ci vedevamo spesso, talvolta si fermava a dormire, ci dovevamo arrangiare “capo e piedi”. Una possibile collaborazione col giornale, che usciva a Napoli, Il Mattino d’Italia, diretto da Ugo Amedeo Angiolillo, che aveva come collaboratori personalità prestigiose come Gino Doria, singolare figura di storico, che ne era il vice direttore, e Francesco Compagna e Michele Prisco, non si concretizzò per la chiusura del giornale, uscito soccombente nei confronti dello storico quotidiano di Napoli Il Mattino per concorrenza sleale, in quanto il tribunale sentenziò, anche se si trattava di una vecchia testata, che il titolo del giornale costituisse atto idoneo a ingenerare confusione tra i lettori. Sul Mattino d’Italia Scotellaro pubblicò qualche articolo in terza pagina (lo spazio che, storicamente, i quotidiani italiani hanno dedicato alla cultura). Il nostro rapporto frequente durò quasi due anni, fino alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del consiglio provinciale a maggio del 1952 e subì una sospensione di circa un anno, nel corso del quale, a gennaio del 1953, si votò per il rinnovo del consiglio comunale di Tricarico e, il successivo 7 giugno, per l’elezione della seconda legislatura, caratterizzata dal furioso scontro per la “legge truffa”. La fraterna amicizia di Rocco e mia con Antonio Albanese portò a riannodare il rapporto. Ma a Rocco restava poco da vivere. Mi farà male ricordare, ma mi impegno a raccontare prima o poi quei lontani eventi, che in una certa misura hanno anche cambiato la mia vita.
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