ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – LA CASA

 

IL VICINATO

Ho dato la mia guancia a te, secondino del cielo

che mi chiudi a chiave e governi il mio cammino.

Torno, come vuoi, al vecchio sentiero

dalla terra laggiù che tiene avanti il mare

e una finestra grande per l’amore.

Morte che qui fosti una straniera,

ma poi ti sedesti buona al nostro gradino

quando il padre uscì con te e non è più tornato,

me e mia madre ci ha abbandonati

a questa casa ancora in piedi al sole e alla luna.

Amore, amore, che mi hai fatto, amore che non vieni!

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 p. 149 II ed. dicembre 1954 con 10 Tavole di Aldo Turchiaro
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     L’immedesimazione di te stesso col vicinato è il motivo di questa poesia. Al malinconico personale dolore, raccolto e intimo per la morte del padre, Rocco sente partecipare il vicinato, al quale pure la morte era sconosciuta (straniera) e la conosce con lui, quando la morte si affacciò al vicinato (qui) e sedette buona al gradino della sua casa, da cui il padre uscì senza farne più ritorno, abbandonando lui e la madre a questa casa ancora in piedi al sole e alla luna.

     Percorrere la strada dove ha abitato Rocco è una immersione nella poesia: il sopportico delle api, luogo nascosto del primo amore suo e dei ragazzi della sua generazione, il gradino della sua casa, che qui è gradino del vicinato, vico tapera di fronte, il pezzetto di strada a fuori porta monte dove portavano il vecchio garibaldino a prendere il sole … . Ma se mai io tornerò a Tricarico (e oramai temo di non avere più la forza di tornare) quella passeggiata non compirò, per non vedere lo sfregio del rifiuto del dono dei poeti (v. La favola delle api).

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     Il vicinato, come istituzione meridionale, è ricorrente nell’opera di Scotellaro. Quanta malinconia ritorna nella scena delle famiglie del vicinato riunite nel trigesimo della morte del padre:

In quei viottoli neri una serata di queste, sedevano le famiglie dopo cena ai gradini delle porte,

contavano i defunti e i nati dell’estate che correva. E il contadino tardo che trascorse per i monti sul mulo con l’ultimo raccolto passava salutando i suoi compari. Una porta era deserta del compare scomparso un mese fa.

     “Il vicinato che da ambito spaziale diventa istituto sociale con le sue norme, le sue tensioni e la sua funzione di comunicazione interna, ricorre come motivo formulare nelle serenate tradizionali lucane e con la stessa funzione ricade nel racconto de L’Uva puttanella del fidanzamento della madre:

« Andò alla finestra:

Vicini che dormite, risvegliatevi

Ho contrattato di vendere, ho già venduto

L’ultima figlia mia, risvegliatevi

Bella nottata fresca, Francesca se ne va.

« Erano parole che uscivano tra le corde.

  « I compari del vicinato vennero e le canzoni del fabbro, fatte più  allegre e piccanti, durarono fino al mattino. »»

      Veramente bello il terzo racconto sconosciuto di Francesca Armento, la madre di Rocco (1a edizione di «Contadini del Sud»), dove il vicinato è descritto con efficacia e sequela di scene divertenti, quasi esilaranti, e ce lo presenta come istituto sociale: « nei nostri paesi questi sono i divertimenti: liti, chiacchiere, sentenze, mormorazioni, e anche noi abbiamo cinema e varietà senza pagare nulla »

 

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