ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – LA CASA

IL GRANO DEL SEPOLCRO

E’ cigliato nello stipo il grano

del sepolcro per Gesù bendato.

Verrà giugno, morirà anche mia madre,

voglio portarle spighe spigolate

dentro il suo scialle sacro

che per altro non avrà toccato.

Allora la casa sarà la via che mi mantiene:

muorimi mamma mia, che ti vorrò più bene.

(1950)

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p. 147 della II ed., dicembre1954, con 10 Tavole di Aldo Turchiaro
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     Il grano del sepolcro rievoca la tradizione popolare dei “Sepolcri” praticata a Tricarico il Giovedì santo in occasione del «triduo pasquale», che nasce dalla pietà popolare e si colora di elementi folcloristici, secondo gli usi tipici delle varie località. La diffusione di questa pratica, tuttavia, non dovrebbe oscurare il valore primario dell’azione liturgica della Pasqua dell’Anno. In effetti non la oscura, ma non se ne ha consapevolezza. Fin dai primi secoli al centro dell’anno liturgico «il triduo pasquale» scandisce la memoria storica della Passione, Morte e Resurrezione del Signore Gesù. I giorni del Triduo sono il venerdì, il sabato e la domenica. Il computo dei giorni avviene secondo l’uso antico, quando il giorno iniziava (e tuttora ha inizio nel mondo ebraico e musulmano) al tramonto, al brillare delle prime stelle. Pertanto, la messa in coena Domini, ossia l’azione liturgica che da inizio al Triduo, è venerdì, e non giovedì. Giovedì il Signore Gesù non giace  nel sepolcro.

     La tradizione consiste nella adorazione del Santissimo mediante una visita ai Sepolcri nelle sette principali chiese. I Sepolcri, deposti ai piedi dell’altare addobbato con fiori e candele, sono vasi nei quali le donne hanno fatto germogliare(“cigliare”: voce dialettale) in casa, al buio, secondo gli usi, grano, orzo, lenticchie e altri cereali. I sepolcri rappresentano la propiziazione della rigenerazione del ciclo vegetale e in ciò si può vedere una coerenza col valore ultimo dei riti della Settimana Santa. La visita ai sepolcri, a Tricarico, è (o era: ignoro se la tradizione è ancora rispettata) effettuata la sera di giovedì, quando nel mondo antico aveva inizio il nuovo giorno, venerdì, rispettando, così, la memoria storica del triduo. In questa poesia la tradizione è appena accennata: la morte del Signore per il poeta è l’annuncio della morte della madre (Verrà giugno, morirà anche mia madre, / voglio portarle spighe spigolate /dentro il suo scialle sacro). La morte della madre diventa il motivo della poesia ed è invocata (muorimi mamma mia, che ti vorrò più bene). Nella poetica di Scotellaro l’invocazione si alterna in un rapporto di amore-odio, che Rocco stabilisce poeticamente con la madre carnale, che vuole viva e morta. Nell’ultimo verso dell’ultima poesia Tu sola sei vera, di quel 13 dicembre 1953, l’alternativa si scioglie in certezza di immortalità ( Mamma, tu sola sei vera. / E non muori perché sei sicura).

     In Sardegna si tramanda la sagra dei nenniris. Ne fa una stupenda descrizione Grazia Deledda, poetessa sarda premio Nobel per la letteratura, nel suo ultimo romanzo La chiesetta della solitudine. La riporto di seguito.

I Nenneris

« Il mercoledì santo, Concezione preparò nella chiesetta il Sepolcro di Nostro Signore. Poco più sotto i gradini dell’altare stese un’antica coperta filata e tessuta dalla nonna del padre, la moglie del famoso rapinatore, riserbata solo per l’uso della sacra ricorrenza: era di lana di pecora, ma sembrava di seta cruda, con un bordo di greche nere, e sul fondo fiori di asfodelo.

Vi depose al centro il crocefisso di legno, che il resto dell’anno rimaneva appeso, stanco e rassegnato, alla parete nell’angolo della chiesa. Steso sulla coperta parve un altro; il viso dolce e olivastro, bucato dai tarli come quello di uno che ha sofferto il vaiuolo, pulito dalla polvere, si rivolgeva in alto, gli occhi si socchiudevano, le membra tutte, pur così inchiodate e insecchite, si distendevano, nude e d’una castità di ramo stroncato dal vento, con un vero abbandono di riposo. Era, sì, come il ramo caduto sull’erba, stroncato dal vento o dal potatore, non morto, anzi pronto a germogliare di nuovo, se la terra lo riprende: e Concezione, in quel giorno di acerba primavera, sentiva anche lei qualche cosa di simile. Sette piattini fondi, dove ella aveva fatto germogliare nell’acqua un po’ di grano, furono collocati, come diadema di rinascita, intorno alla testa del Cristo: era bianco, il grano, e odorava di amido: come simbolo poteva andare, ma sarebbe stato troppo melanconico, quasi innaturale, come i capelli dei neonati, cresciuti nel buio delle viscere materne, se in sette bicchieri di vetro, uno diverso dall’altro, non avessero riprodotto i colori dell’arcobaleno i primi fiori dell’orto e quelli del ciglione sopra la valle: viole, narcisi, violacciocche, margherite bianche e arancione, e pervinche nel colore cielo di marzo. Stretti e lunghi erano i mazzolini; e pareva si sorridessero, infantili, al di sopra dei pallidi ciuffi del grano, illuminando l’aria coi loro colori.

Quando ebbe finito, Concezione s’inginocchiò sul lembo rimasto libero del tappeto, piegandosi a baciare i piedi di Nostro Signore: e le parve che il freddo di quelle dita stanche non fosse il freddo della morte, ma quello di un povero che non ha fuoco e aspetta il primo sole primaverile per riscaldarsi. »

 

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