ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – LA CASA

LA GINESTRA

Vergine col canestro, che ridai

la ginestra ai santi,

non si sentono pianti più muti dei tuoi:

che farà quella mano tesa d’argento

che sollevano a benedire la campagna?

Le fatiche e le spighe e le viti in gola al vento,

s’aprirà ai morti la castagna?

O bella col canestro che canti e porti

ginestre ai vivi, ginestre ai morti.

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p. 146 II ed. dicembre 1954 con 10 Tavole di Aldo Turchiaro
Pubblicata in «Botteghe Oscure», Quaderno VIII, II sem. 1951
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     Nella presentazione della poesia sulla rivista «Botteghe Oscure» si legge: «… i pianti della canefora – fanciulla d’illustre famiglia che nelle processioni porta in un canestro gli arredi sacri – sono muti». Si parla di canefora, perché nei versi 1 e 8 del testo pubblicato nella rivista, l’aggettivo canefora è adoperato al posto di “col canestro”. Canefora è il nome dato alle fanciulle, che, in parecchie cerimonie religiose elleniche, portavano in canestri  offerte e strumenti del rito. Nelle famose festività ateniesi in onore di Atena, dette le Panatenee, questa funzione era riserbata a nobili fanciulle della città. Per l’uso di questa parola a Scotellaro fu rivolta l’accusa di carduccianesimo. In una lettera a Mario Cerroni, poeta friulano e militante comunista, Scotellaro tiene a precisare la continuità della « patria meridionale » più rispetto alla Grecia che a Roma. « Per il mio “canefora” non ti arrabbiare. Carducci non c’entra. Non ti sei piuttosto chiesto che la Grecia – più che Roma – sia la patria meridionale, sicché una parola può appartenere al dialetto come le tante cose antiche sepolte sotto la terra che si ara ». All’accusa di carduccianesimo rivoltagli dal poeta friulano, Scotellaro replica, dunque, che per l’aggettivo « canefora » si tratta di grecismo: ma il rilievo l’aveva certamente scosso se poi nella versione definitiva troviamo la forma « col canestro ». (Franco Vitelli, Postfazione a Tutte le poesie di Rocco Scotellaro, Oscar Mondadori 2004, p. 336).

 

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