Carlo Salinari (Montescaglioso 1919 – †Roma 1977), critico letterario, professore di letteratura italiana nelle università di Cagliari, Salerno, Milano e Roma, diede importanti contributi al dibattito sulla letteratura da posizioni marxiste. Responsabile della politica culturale del PCI (1951-55), fondò (1954) e diresse con altri la rivista settimanale Il contemporaneo, nata a Roma il 27 marzo 1954.

Il 28 agosto 1954 Salinari pubblica su «Il Contemporaneo» un articolo sul premio Viareggio di quell’anno intitolato Tre errori a Viareggio. Il terzo errore, secondo Salinari, fu l’assegnazione del premio a Rocco Scotellaro, perché Scotellaro poeta non apriva una strada nuova. «E’ un poeta, abbastanza vivo, di una tradizione e un passato ormai chiusi, non è certo il poeta dell’avvenire». In confronto all’intervento di Mario Alicata, che pubblicherò più avanti, condotto col solito impeto, che stravolge il dibattito, passando dalla poesia a «Contadini del Sud» per attaccare Rossi-Doria e Levi, la critica di Salinari appare un «sobrio giudizio critico». Occorre, tuttavia, considerare circostanze di non poco conto, che portano a concludere che non si tratta della personale opinione di un giovane (trentacinquenne) docente universitario, bensì della linea di politica culturale del partito comunista. Salinari, infatti, fra il 1951 e il 1955, fu responsabile della politica culturale del PCI (e quindi da tre anni aveva tale responsabilità politica quando espresse il «sobrio giudizio critico») e tale giudizio espresse su una rivista marxista, di cui aveva la direzione. Avendo tali responsabilità nel partito comunista, egli teorizzava con Mario Alicata il diritto-dovere del Partito di orientare e dirigere il dibattito culturale, che sembra l’applicazione delle decisioni del 1° Congresso degli scrittori sovietici del 1934, quasi a confermare che «l’età staliniana ha costruito un edificio di principi e di istituti troppo solidi per scomparire senza traccia» (L. Sacco, L’Orologio della Repubblica, Argo, Lecce, 1996, p. 235). Non senza significato per capire il clima e il senso della critica – di cui Scotellaro fu piuttosto bersaglio di comodo per colpire, ripeto, Rossi-Doria e Levi, fu l’intervento di un giovane dirigente comunista – oggi presidente della Repubblica -, il quale sostenne ( come vedremo più avanti leggendo integralmente l’intervento che sarà pubblicato in questa categoria) che le interpretazioni del mondo contadino di Levi furono piuttosto mitiche, e siccome erano accaduti tanti fatti nuovi, questo era un motivo più che fondato per liberarsene del tutto. Cosa che, sempre secondo il giovane (trentenne) Giorgio Napolitano, non aveva saputo fare Scotellaro e tanto meno Rossi-Doria. Napolitano, pochi giorni dopo la pubblicazione dell’articolo di Salinari, occupandosi per prima del lavoro di Scotellaro,sposterà la critica sui Contadini del Sud, seconda opera di Scotellaro pubblicata, con E’ fatto giorno, sei mesi dopo la sua morte, dando, se posso permettermi un linguaggio calcistico, un assist a Mario Alicata e alla violenta polemica contro Scotellaro-Levi-Rossi-Doria.

Tant’acqua è passata sotto i ponti, quanta e forse più ne contengano gli oceani.

CARLO SALINARI

Tre errori a Viareggio in « Il Contemporaneo » 28 agosto 1954 – « Omaggio a Scotellaro » Lacaita, Manduria, 1974, p. 695 ss.

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     La III osservazione riguarda il vincitore R. S. Il fatto che si sia affermato un libro di poesia va salutato con gioia.

     Il panorama della lirica ital. di quest’ultimi anni è così squallido, le case del Parnaso sono così vuote che la vittoria di un poeta riempie il cuore di speranze. Per di più nel libro di S. si può trovare realmente qualche bella lirica. Tuttavia bisogna subito aggiungere che Carlo Levi (amorevole curatore di questa raccolta) per troppo affetto forse ha esagerato. Includendo molte poesie che sarebbe stato meglio lasciare fuori (quanto avrebbe guadagnato il libretto se fosse stato ridotto a metà!) e presentando R. S. come un grande poeta e un poeta nuovo. In realtà la vena di R. S. è assai esile e limitata. Le cose che di lui si ricordano sono certi paesaggi lucani ora affettuosi (« le casine imbiancate dell’alba ») ora malinconici o addirittura tragici (« e queste nubi sono così ferme» ). Sono certi aspetti della vita familiare e di paese: il moto di tenerezza per la sorella incinta: (« Me l’hanno ridotta povera sorella / Ha la faccia tanto piccola sulla pancia piena / che deve figliare») il ricordo del padre ciabattino e ribelle che ha un’apertura degna di fiaba ( « Mio padre misurava il piede destro / vendeva le scarpe fatte da maestro / nelle fiere piene di polvere» ) , la figura della madre (« Tu sola sei vera / e non muori perché sei sicura» ); l’amore della stalla (« Misuravo le parole tue calde / cercando ti le labbra con le dita ») e il vino bevuto nello stesso bicchiere e i muli che passano « a ferri dolci » e la lunga processione dei mietitori. Ma questi motivi e la forma stessa che li esprime non escono dall’ambito della tradizionale lirica ital. di quest’ultimi trent’anni, dominata per intenderei da Montale e Saba. R. S. poeta contadino è solo un’intelligente e affettuosa invenzione di C. Levi. Nelle cosiddette poesie sociali, troppo stridente è il contrasto fra una materia nuova che preme e le forme e le parole ancora troppo essenziali e allusive per dar voce a quelle speranze e a quella lotta (si veda ad es. « Sempre nuova è l’alba », quella che Levi chiama la « Marsigliese contadina » ). Ma soprattutto troppo lontano è il mondo ideale di S. (che non va al di là del vagheggiamento di una giustizia primitiva, della simpatia per un modo anarchico e ribelle, della pietà per una miseria senza fine), della reale fisionomia del movimento di Liberazione del Mezzogiorno, delle attuali aspirazioni e speranze delle masse contadine meridionali. Per questo S. poeta ci sembra che non apra una strada nuova.

     È un poeta, abbastanza vivo, di una tradizione e di un passato ormai chiusi, non è certo il poeta dell’avvenire.

 

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