ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – MARGHERITE E ROSOLACCI

IL MURO DI CINTA DEI FRATI

 
C’è una nebbia di mattina
svaria come l’ombra che porto addosso.
Gli uomini attingono al bar
un po’ d’acqua calda.
Si danno fumo alle narici
con mezze cicche.
Sono gli sparuti viaggiatori
accasciati che aspettano il giorno.
Ed io vado di là nei quartieri
a figurare il passo
del primo contadino
sotto il muro di cinta dei frati:
ché sospirino in sogno la dolcezza
di questo passo libero!

(1941)

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p. 132  II ed. dicembre 1954 con 10 Tavole di Aldo Turchiaro

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      Da un articolo di Giovanni Caserta pubblicato sull’Eco di Bergamo del 25 aprile 2003. «Ma il momento centrale e determinante nella formazione di Rocco Scotellaro, come avemmo modo di scrivere in anni lontani, fu l’esperienza che egli fece da seminarista nel Convento dei Cappuccini, prima a Sicignano degli Alburni e, poi, a Cava dei Tirreni. Fu nel muro di cinta dei frati, secondo una sua confessione, che gli nacque l’amore per il proprio simile, visto come un fratello. Nacque la cosiddetta «religione dei poveri», che, rimastagli anche dopo aver perduto la Fede, lo fece approdare, in seguito, al partito socialista, con cui la sua via era scelta. Il tutto avveniva all’interno e col supporto di una formazione classica, che egli maturò nei licei di Matera, Potenza e Trento, ove, nel 1942, conseguì la maturità classica».

     Certamente il prof. Caserta alludeva al seguente passo del capitolo V della parte prima dell’Uva puttanella: «I frati non furono un’esperienza negativa, lo capivo appena uscito, chiaramente se ero capace di sostenere il contegno davanti agli altri petulanti, prepotenti, se tra la folla ogni uomo, con la sua faccia e il suo peccato, o con la sua bellezza, io dovevo rispettarlo come fratello».

 

 

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