Ricevo con molto piacere e profonda gratitudine questa testimonianza del prof. Gilberto-Antonio Marselli sul ruolo svolto dal “Gruppo di Portici” – guidato dal prof. Manlio Rossi-Doria e di cui fece parte Rocco Scotellaro, e fece parte lo stesso Marselli – nell’impegno culturale di ricerca sul mondo contadino del Meridione d’Italia, e sul dibattito che quella avventura intellettuale suscitò a vario titolo da parte dei giovani cattolici di “Terza Generazione”, di due esponenti di contrapposti meridionalismi quali Francesco Compagna, Giuseppe Galasso e Gerardo Chiaromonte, e della dirigenza comunista ai più alti livelli.  

Il contributo del prof. Morselli, oggettivamente, ha anche la funzione di semplice e limpida introduzione a quegli eventi. Essa prenderà il n. 5, perché giunge quinta alla pubblicazione sul blog, ma mi riservo di riordinare gli scritti quando questa Categoria dell’Antologia della Civiltà contadina avrà esaurite le pubblicazioni; in questo riordino, al contributo del prof. Marselli, toccherà quindi introdurre l’Antologia.

 CONTRIBUTO DI GILBERTO A. MARSELLI ALLA
ANTOLOGIA DELLA CIVILTA’ CONTADINA

 

     Nell’ambito delle interessanti e puntuali considerazioni fatte da Antonio Martino nel suo blog  “Rabatana”, forse può essere utile anche fornire qualche ulteriore elemento di approfondimento, visto da quel particolare punto di riferimento che era, negli anni ’50, il cosiddetto “Gruppo di Portici”, gravitante intorno alla figura ed alla guida del Prof. Manlio Rossi-Doria e di cui fece parte anche lo stesso Rocco Scotellaro negli ultimi anni della sua vita.

     Indubbiamente, un primo incontro tra i due può farsi risalire ai tempi delle elezioni per l’Assemblea Costituente (1946) quando, a Grassano ed a Tricarico, si ebbero due comizi molto significativi da parte dei candidati della lista facente capo al Partito d’Azione: quella che comprendeva, appunto, Carlo Levi, Guido Dorso e lo stesso Rossi-Doria. Anzi, le cronache riferirono che vi fu un intervento del giovanissimo Sindaco di Tricarico (proprio Rocco Scotellaro) che provvide a rimediare ad alcuni incidenti provocati da sostenitori di altre liste.

Quando Rocco fu rilasciato dal carcere di Matera, ove era stato ristretto per indagini in corso a suo carico (1950), provocate da denunzie – risultate, poi, del tutto infondate – mossegli da suoi avversari politici che lo accusavano di aver commesso illeciti favoritismi nella distribuzione degli aiuti previsti dal Piano Marshall fu naturale che, in occasione di una sua successiva visita a Tricarico, Rossi-Doria  lo avesse trovato estremamente provato: tanto da offrirgli di trasferirsi con lui a Portici, dove avrebbe potuto riprendersi, continuando le sue attività culturali. In quei tempi, a Portici, erano in corso numerose ricerche nelle varie aree del Mezzogiorno, a livello della comunità rurali, al fine di  documentare e comprendere meglio  anche le componenti socio-culturali oltre a quelle economiche e, addirittura, tecniche che ne ostacolavano un vero e proprio sviluppo.

E’ bene ricordare che, in quei tempi, si rivolgevano a Rossi-Doria tutti gli studiosi stranieri (specialmente americani) che intendevano fare ricerca nel Mezzogiorno – non solo nel campo dell’Economia, ma anche, e soprattutto, in quelli dell’Antropologia culturale e della Sociologia- attrattivi dalla lettura del ‘Cristo si è fermato ad Eboli’ di Carlo Levi.

Del tutto inevitabile, quindi, che le ricerche nelle comunità rurali meridionali preferissero rivolgersi soprattutto alla Basilicata, così tanto efficacemente presentata da Carlo Levi.

Dato il carattere interdisciplinare delle nostre ricerche, era naturale che non ci si limitasse a studiare solo gli aspetti economici di quelle comunità, ma ci si interessasse anche a registrare e considerare tutti quegli elementi che potevano fornire un loro  quadro quanto mai completo ed esauriente, utile a meglio comprendere le caratteristiche ed i problemi propri di quella che Carlo Levi aveva individuata come la ‘civiltà contadina’. Quella, appunto, che consisteva nella contrapposizione tra i ’Contadini’ – che, ovviamente, non erano solo i coltivatori della terra ! – ed i ‘Luigini’ così come definiti entrambi dallo stesso Levi nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli” ed ancor più precisato nel suo successivo libro “L’Orologio”.

Niente affatto trascurabili furono pure le sollecitazioni che ci vennero dalla ricerca di Frederick G. Friedmann sui ‘Sassi’ di Matera, che, poi, sarebbe stata riconosciuta come un indiscutibile punto di riferimento – teorico e metodologico – per lo studio delle società contadine e non solo in Italia.

Fu, quindi, più che naturale la decisione di Rocco Scotellaro di dedicarsi anche a questo studio che – come notava Rossi-Doria nella prefazione ai “Contadini del Sud”- gli aveva offerta la possibilità di trovare “una strada che cercava fin dai giorno in cui, chiusa l’attività di giovane Sindaco socialista del suo paese, era partito di là per bisogno di respirare e di formare più liberalmente sé stesso”.

Ma mai, percorrendo questa nuova strada, aveva potuto dimenticare le motivazioni che, prima, lo avevano indotto ad una politica militante, sin dai giorni gloriosi delle occupazioni di terra (memorabili le occupazioni dell’azienda Turati, vicino a Tricarico), che meglio illustrò sé stesso nel suo romanzo autobiografico de “L’uva puttanella”. Oltre alla naturale disposizione del poeta e dello scrittore, quindi, operava in lui anche il fervore della lotta politica che, in quegli anni, era alquanto dura e senza esclusione di colpi.

Non si può, certo, fare astrazione da questa circostanza quando si vogliano meglio comprendere le reazioni negative che si ebbero quando a Rocco fu assegnato, dopo la morte, il prestigioso Premio Viareggio 1954 , per i “Contadini del Sud” e per le poesie “E’ fatto giorno”  con la prefazione di Carlo Levi.

Non può esservi alcun dubbio che, in quegli anni di troppo accesa polemica e di clima politico vissuto in un’esasperata contrapposizione di blocchi, il bersaglio di quelle critiche non era tanto Rocco ma, piuttosto, Rossi-Doria.

Questi che, mentre era studente alla Facoltà di Agraria di Portici, aveva incontrato, con il suo compagno di studi Emilio Sereni, anche il giovane Giorgio Amendola, non ancora iscritto al PCI, e, incolpato di aver collaborato alla formazione di una cellula comunista tra gli operai dell’Ilva di Bagnoli, nel 1930 era stato condannato a 15 anni di reclusione (a Napoli, Roma e Civitavecchia) e, a seguito di un’amnistia nel 1935, inviato al confino in Basilicata (a  San Fele, prima, e, poi, ad Avigliano).

I comunisti non gli poterono mai perdonare di aver lasciato il PCI e, successivamente, di essere stato uno dei protagonisti nell’approvazione delle leggi di riforma agraria promulgate dal Parlamento nel 1950 e che lui aveva auspicato ancor prima che tutto il territorio nazionale venisse liberato (Convegno del Partito d’Azione a Bari, nel 1944, con le relazioni sua e di Guido Dorso).

Quella riforma ‘agraria’ che nel corso della sua realizzazione – quando Fanfani sostituì Segni al Ministero dell’Agricoltura- fu, poi, ridimensionata ad una mera riforma ‘fondiaria’, con l’intento di accrescere l’influenza della piccola proprietà coltivatrice (i ‘Coltivatori diretti’ di Paolo Bonomi che, tra l’altro, fu anche il responsabile della degenerazione dei ‘Consorzi Agrari’ e che tanta influenza avevano nell’orientamento degli elettori). Purtroppo, in quelle circostanze, anche i ‘miglioristi’ comunisti (gli Amendoliani come Giorgio Napolitano e Gerardo Chiaromonte) non seppero distanziarsi dall’estremismo comunista, mirante al mantenimento di un’atmosfera  rivoluzionaria (assurda e niente affatto praticabile in un’Italia ancora presidiata dalle truppe americane), che, oggettivamente, si scontrava con il nostro intento riformatore (e non meramente riformistico).

Lo scontro fu reso ancora più duro dal fatto che, a Napoli, si pubblicavano due autorevoli riviste tra loro drasticamente contrapposte: quella di ispirazione democratica e riformatrice -‘Nord e Sud’, diretta da Francesco (Chinchino) Compagna- a cui collaborava assiduamente Rossi-Doria e che pubblicò anche la ricerca fatta da Rocco Scotellaro nell’ambito del Piano Lucano SVIMEZ (sulle condizioni della scuola in Basilicata) e quella di Rocco Mazzarone (sulle condizioni sanitarie in Basilicata); e ‘Cronache Meridionali’, diretta da Mario Alicata ed alla quale collaboravano anche i ‘miglioristi’. Si aggiunga, poi, che su ‘Il Contemporaneo’ era stato pubblicato un articolo di Carlo Salinari (dirigente del PCI, responsabile della Sezione Culturale, proprietario fondiario dell’azienda ‘La Dogana’ in agro di Montescaglioso, espropriato in virtù delle leggi di riforma) fortemente polemico contro le decisioni assunte dalla giuria del Premio Viareggio.

Dall’altro lato, non si può ignorare che, invece, noi fummo molto appoggiati, nelle nostre ricerche, da Danilo Dolci allora impegnato nelle sue campagne ‘non violente’ in Sicilia, a favore della diga sullo Jato, delle occupazioni di terra e di altre iniziative da lui illustrate nel suo libro “Processo all’art.4” in difesa del diritto al lavoro. In quell’epoca, noi di Portici fummo avvicinati anche dai giovani di ‘Terza Generazione’ –Ubaldo (detto Baldo) Scassellati, Bartolo Ciccardini e Piero Ugolini- che ci erano stati presentati da due autorevoli rappresentanti della SVIMEZ di Pasquale Saraceno: Giorgio Ceriani-Sebregondi e Claudio Napoleoni, entrambi appartenenti ai ‘cattolici-comunisti’. Quest’ultimo, che era un autorevole economista, successivamente negli anni ’60, avrebbe fatto parte del corpo docente del ‘Centro di specializzazione e ricerche economico -agrarie per il Mezzogiorno’, voluto da Rossi-Doria e finanziato dalla Cassa per il Mezzogiorno e dalla Ford Foundation.

L’incontro tra Rossi-Doria e Scassellati, del resto, era già avvenuto in precedenza quando entrambi collaboravano con Giulio Pastore al Ministero per il Mezzogiorno.

Quanto alle critiche mosse ai “Contadini del Sud”, credo possa essere più che sufficiente invitare ad una più attenta lettura della documentata prefazione di Rossi-Doria.

A causa della sua morte prematura, erano stati pubblicati solo i risultati dei suoi incontri con cinque contadini: quattro addirittura di Tricarico (il Michele Mulieri, con le sue particolari originalità della dedica dei suoi alberi ad esponenti politici; Andrea Di Grazia, il contadino cattolico; Antonio Laurenzana, per tre volte sposato; e l’evangelico Francesco Chironna) che, ovviamente, erano stati i primi ad essere contattati e, del resto, le cui storie erano già più che note allo stesso Rocco, mentre il quinto era un ‘bufalaro’ della Piana del Sele, dove il nostro gruppo stava compiendo delle ricerche relative agli interventi di bonifica e trasformazione fondiaria compiuti dalla Cassa per il Mezzogiorno. Secondo una metodologia propria degli antropologi culturali, si trattava di compiere delle interviste e registrare una sorta di autobiografia da parte di contadini aventi determinate caratteristiche peculiari.

Non è detto che poi, al termine del suo lavoro, non si sarebbero potuto avere diverse modalità di rappresentazione delle differenti realtà e situazioni. E’, comunque, un dato sicuro che, in quegli anni, Rocco aveva iniziato a collaborare con la Rivista ‘Nuovi Argomenti’ di Moravia (da lui conosciuto negli incontri che aveva con Carlo levi a Roma) dando vita ad un’apposita rubrica ‘Racconti sconosciuti’: il primo di questi racconti ebbe come protagonista la stessa sua madre Francesca Armento (zia Francesca per tutti noi).

Successivamente, fummo di nuovo attaccati da Gerardo Chiaromonte e da Giuseppe Galasso (“L’Italia dimezzata”, Laterza, Bari 1980) che ripresero le antiche critiche mosse ai tempi del Premio Viareggio, ma inisistettero particolramente su certi aspetti storico-culturali che, stranamente, si rifacevano sia alla tradizione marxista (Chiaromonte) e sia a quella crociana (Galasso) particolarmente ostile e diffidente verso la Sociologia.

In quella sede, così si espresse Chiaromonte: “(…) Ci chiamarono, come ho già ricordato, ‘gracchisti’ .  E fummo accusati di essere nostalgici della ‘civiltà contadina’ dimenticando che su questa storia della ‘civiltà contadina’ , avevamo avuto, negli anni precedenti, una polemica vivacissima con  Rocco Scotellaro, e anche con Manlio Rossi-Doria. Mario Alicata aveva scritto, su ‘Cronache Meridionali’, un articolo bellissimo ma vivacissimo in polemica con Carlo Levi. Noi ritenevamo –e riteniamo- sbagliata ogni visione statica di questa ‘civiltà contadina’: perché sapevamo che la vita dei contadini meridionali non era fatta di cose belle e felici, ma di fatica inumana, di oppressione durissima, e anche di sporcizia e ignoranza. Noi questa ‘civiltà’ volevamo superarla rendendo veramente civili e moderne le campagne meridionali. Non guardavamo con nostalgia al passato precapitalistico: guardavamo all’avvenire.” (pp. 86-87)

Ma in quale nostra ricerca, in quale poesia o saggio di Rocco vi è mai stata una sola nota nostalgica del mondo dei nostri contadini del quale, invece, studiavamo proprio le storture, le insopportabili condizioni che noi eravamo fortemente intenzionati a superare definitivamente grazie alle riforme da noi volute e proposte e, non meno, i nostri sforzi a ricostituire lo spirito della ‘comunità’?

Da parte sua, Giuseppe Galasso, che pur collaborava alla Rivista ‘Nord e Sud’ di Chinchino Compagna, nel rispondere alle affermazioni di Chiaromonte non esitò  a riconoscere che negli anni Sessanta la cultura democratica in Italia aveva, in sostanza, perso il senso della questione agraria e, conseguentemente, della stessa ‘questione meridionale’ fino a  scrivere: “(…) Per quanto riguarda la ‘civiltà contadina’, dovrei, però, dirti che la battaglia storicistica di un Alicata, ad esempio, contro il mito  della civiltà contadina fu del tutto condivisa dalla cultura crociana, al punto che, su questo tema, noi del gruppo di ‘Nord e Sud’ avversammo in maniera aperta i nostri amici  di Portici, da Rossi-Doria a Marselli, e polemizzammo con essi.” (p. 87).

C’è da augurarsi che le vicende successive li abbiano convinti (purtroppo, oggi l’amico Gerardo Chiaromonte non è più tra noi) che l’unica strada da percorrersi per affrontare realisticamente la ‘questione agraria’ nel Mezzogiorno era proprio quella da noi faticosamente intrapresa quando lavoravamo per una efficace ed efficiente realizzazione delle riforme proposte e, soprattutto, per una modernizzazione reale  e non illusoria o tradita come quella purtroppo inflitta al nostro Mezzogiorno, abbandonato ad un illusorio modernismo generatore di più profondi squilibri.

One Response to 13_Antologia della Civiltà Contadina – Testimonianza di un protagonista, Gilberto Antonio Marselli

  1. D. Jankovich ha detto:

    Il notevole lavoro svolto da A.M. per riordinare i vari contributi

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