Rocco SCOTELLARO, STORIELLA DEL VICINATO
ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – VERDE NASCE
STORIELLA DEL VICINATO
Era cosi folla di rondini
sulle nostre teste piccine,
era facile sempre
sganciare per le scale
da una spirale di ferro
una farfalla di latta,
e si feriva a segno un’ala,
il becco, il ventre d’un rondinone.
Crescemmo a frotte in ogni vicinato
fiori di delinquenti
piedi nella guazza.
Noi morsicammo i capezzoli delle mamme,
sono neri ora di fumo gl’incisivi.
E siamo ancora tutti vivi,
rifaremmo i giuochi ad uno ad uno,
non abbiamo più avuto un raduno.
Oh il nostro saluto è primaverile,
è come una cangiata sottile
di sole sull’inferriata
dove in ore distinte
ci sediamo di rado.
E negl’incontri di stagione,
ci si incontra come l’acqua e il sole,
andiamo spiando nei vestiti
gli organi ingranditi
col sorriso sulla fronte.
I primi han scordato l’appello,
era un fischio d’uccello.
Ma siamo tutti presenti i compagni,
fin qua nessuno è caduto,
nessuno di noi è rimasto in campagna,
e nessuno è marchiato dalla fionda.
Il primo e l’ultimo fu buon soldato
dell’armata del quartiere.
Io che fui il pioniere
forse per voi mi son perduto.
Ho le carni verdi del fanciullo battuto.
Vado coi quaderni al petto
infilo le parole come insetti,
mi tengo la testa in altro mondo,
non seguo più gli orari dell’alba e del tramonto.
Oh le mie ossa rotte,
non sono il più capace saltagrotte!
Dopo un lampo tra i ciliegi
contare fino a dieci
lo scoppio del tuono
io non sono più buono.
Ogni lampo che si spegne, quel dito
che m’insegue mi ha già colpito.
Chi mi fece mettere la firma
ogni giorno che passo da riserva?
M’avete ridotto un tabernacolo.
Il capitano è sempre il più solo nella battaglia.
Mi affaccio di notte da questa muraglia,
tengo le fila di quei pupazzi
allegri che noi fummo.
M’avete degradato,
m’avete messo di guardia
e non credete che possa tradirvi
e la rondine aggressiva
davanti al mio balcone
svolta a un palmo di mano
dall’occhio del capitano.
(1948)
_______________________
II ed. dicembre 1954 di E’ fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 100-2
_______________________
«Il vicinato è quel ristretto spiazzo simmetrico in cui si consuma la propria vita di fanciulli. Con esso si misura nel ricordo la propria condizione attuale. Scotellaro vi si riconosce vinto con “le carni verdi del fanciullo battuto” in Storiella del vicinato, che è tutta imperniata su questo amaro confronto»[1]
Lascio ancora la parola al prof. Bronzini. «Il vicinato che da ambito spaziale diventa istituto sociale con le sue norme, le sue tensioni e la sua funzione di comunicazione interna, ricorre come motivo formulare nelle serenate tradizionali lucane ( «Mi part da luntane e da Cusènz, / veng a cantà nda stu vicinanz») e con la stessa funzione ricade nel racconto de L’Uva puttanella:
Andò alla finestra:
Vicini che dormite, risvegliatevi
Ho contrattato di vendere, ho già venduto
L’ultima figlia mia, Francesca se ne va.
Erano parole che uscivano tra le corde.
I compari del vicinato venero e le canzoni del fabbro, fatte più allegre e piccanti, durarono fino al mattino»[2]
Rocco questa poesia me l’ha letta più volte e quasi si commoveva a riascoltare il racconto in versi dei suoi giochi di ragazzo e di adolescente – Rocco, è intuitivo, era il “capitano” – con i compagni del vicinato. C’è tanta nostalgia nella sequenza delle due immagini con le rondini (Era così folla di rondini / sulle nostre teste piccine). Tra lo sganciare da una spirale di ferro una farfalla ritagliata da un pezzo di latta, che andava a colpire una rondine, ferendola o uccidendola, e la rondine che svolta aggressiva sul balcone, a un palmo di mano dall’occhio del “capitano”. Tra queste due immagini scorrono versi che raccontano la crescita (Noi morsicammo / i capezzoli delle mamme, / sono neri ora di fumo gl’incisivi) e i giochi di strada dei ragazzi di un vicinato tricaricese di circa ottant’anni fa.
Confesso che, quando Rocco la leggeva, la poesia non mi sembrava sincera: Rocco, nel 1948 anno di datazione della poesia – a venticinque anni e da due anni sindaco – sindaco, era ancora – come scriverà Carlo Muscetta -, un “ilare folletto lucano”, aveva un’aria di monello, il piglio di un capo, che non si conciliavano coi versi del declino (M’avete ridotto a un tabernacolo. / Il capitano è sempre / il più solo nella battaglia. )
[1] G.B. Bronzini, L’Universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, ED. Dedalo, Bari, 1987, p.84
[2] Rocco Scotellaro, L’Uva puttanella – Contadini del Sud –, Laterza 2000, p. 12
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È da tanti giorni ormai, che a mezzanotte passata e a volte in mattinata apro il PC per godermi le delizie delle incantevoli poesie di Rocco Scotellaro. Mi aiutano a vedere il mio tempo che passa inesorabilmente oppure le nuove giornate con un certo ottimismo e un ringraziamento anche per essendo rimasto accarezzato dal godimento vissuto. Grazie, caro A. M.
Grazie a lei, caro Dusco. Ci conosciamo da alcuni decenni e so con quanto amore legge le poesie di Rocco Scotellaro. Rocco continua a vivere non perché qualcuno metta le sue poesie in rete, ma se ci sono animi sensibili che nelle sue poesie trovano ispirazione e godimento.