ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – SEMPRE NUOVA E’ L’ALBA

SEMPRE NUOVA E’ L’ALBA

 

Non gridatemi più dentro

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi contadini.

 

Beviamoci insieme una tazza colma di vino

che all’ilare tempo della sera

s’acquieti il nostro vento diperato.

 

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna –

l’oasi verde della triste speranza –

lindo conserva un guanciale di pietra …

 

Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova,

perché lungo il perire dei tempi

l’alba è nuova, è nuova.

 

(1948)

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II ed. dicembre 1954 di E’ fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 96
E’ stata pubblicata in «Botteghe Oscure», quad, II, 1948, e in
«Basilicata», gennaio 1954
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Sempre nuova è l’alba, questa bellissima e senza dubbio più nota poesia di Rocco Scotellaro, che Carlo Levi ha definito «Marsigliese contadina» da il titolo alla settima Sezione di «E’ fatto giorno» e la conclude.

Un filo rosso lega le poesie di questa Sezione con quelle della precedente Sezione «Capostorno», formando un ordito ispirato, prevalentemente nel torno di tempo della maturazione e dell’impegno politico, amministrativo e sindacale, alla stessa condizione spirituale con cui Rocco guarda alla situazione sociale e politica; riguardo a talune poesie – si pensi a «Pozzanghera nera il diciotto aprile» e questa «Sempre nuova è l’alba» – il legame è particolarmente stretto, pur nell’indeterminatezza della continuità o dell’opposizione. Questa poetica è stata vista al limite tra la protesta e la rivoluzione, suscitando aspre critiche – critiche ingiuste: dove sono i poeti della rivoluzione?. Una posizione difficile quella di Rocco, che, per quanto a me pare di aver capito, Carlo Levi aveva ben compreso e aveva avuto l’attenzione di non rendere subito pubbliche poesie e prose che, allora, in quel periodo, non sarebbero state capite.

La poesia è formata di quattro strofe: due terzine, una quartina e una pentastica, i cui cinque versi sono scolpiti sulla tomba di Rocco.

Carlo Levi, nella Prefazione alla sua edizione di E’ fatto giorno, parla della maturazione di Rocco legata alla sua attività politica e amministrativa (l’elezione a sindaco a soli 23 anni), che non è «per lui un’esperienza esterna e pratica, ma un’esperienza, nel pieno senso della parole, poetica». «Questa sua maturazione e liberazione nell’azione (un ospedale, una strada, un’occupazione di terre, una discussione sindacale, sono, in un mondo nuovo, profonde verità poetiche) creano il grande periodo della poesie di Rocco del 47-48, con le poesie contadine, le poesie di ispirazione politica e sociale, tutte bellissime: alcune di esse sono … grandi poesie, eccezionali nella nostra letteratura» («Sempre nuova è l’alba», questa Marsigliese del movimento contadino, «Pozzanghera nera», «Il Massaro» ecc.)

Ma c’è un mondo che s’immagina vocato alla rivoluzione e a Rocco, come egli si sfogherà con la sua amica di Parma Anna Botteri, rimprovererà di non avere verve pugilistica. Carlo Muscetta, che di Rocco era stato affettuosamente amico, esaltando l’ora poetica del giovane poeta accennando a poesie come «Capostorno», «Noi che facciamo?», ai versi per la morte del bracciante Giuseppe Novello, avverte che non sembra che egli andasse oltre, che avesse l’animo per innalzarsi a una «Marsigliese contadina». Una «Marsigliese», sostiene Muscetta, non può che esprimere una rivoluzione nella sua fase esplosiva ed espansiva, e come inno politico non può non avere estremamente chiari i motivi ideologici e di classe che guidano un popolo alla lotta in un determinato momento. Sempre nuova è l’alba – è sempre il giudizio di Muscetta – (che Carlo Levi loda come «Marsigliese contadina» preferendola a Noi che facciamo?, dove c’è almeno il tono e il vigore dell’inno) finisce là dove dovrebbe cominciare, dove il giovane poeta, piuttosto che abbandonare il capo a un idilliaco struggimento «lungo il perire dei tempi» avrebbe dovuto svolgere il concetto, rimasto generico e vago, che «nei sentieri non si torna indietro» … Oggi, si chiede Muscetta, quello che si muove nella vita reale non è forse la coscienza sempre più diffusa anche nel mondo contadino, che la lotta è guidata dalla classe operaia? La novità dell’alba è in questo, e questo sfugge all’intuizione poetica di Rocco.[1]

Un registro diverso si nota nel commento di Franco Fortini[2]. Il moto iniziale, fondamentale di Scotellaro – egli nota in una rapida carrellata della poetica scotellariana – è il compianto di sé, l’intenerimento su di sé e su i suoi, un atteggiamento di idillio e di elegia; è senso di un passato patetico: le antiche zampogne, le nenie afflitte del tempo passato. Il paese è il luogo malinconico della miseria e dell’amore materno, dell’infanzia; esprime desiderio di conforto e paura della solitudine e in questo Rocco esprime già un momento importante della psicologia contadina: il timore di essere derelitti, ai margini della storia. E così Fortini continua con altri temi, commentando: «Fin qui, una tematica non nuova, ma detta con ricchezza, dolcezza, franchezza». E viene al punto.  «Ma ora si inserisce il tema della protesta. Chiedere a Rocco di non esprimere il momento della protesta bensì quello della rivoluzione è chiedere troppo più di quanto egli potesse, forse di quanto possiamo». Per poter esprimere un momento veramente rivoluzionario avrebbe dovuto gettar via tutta la tenerezza e l’angoscia della sua natura elegiaca, partire da un altro punto. Dalla tenerezza e dall’angoscia non possono venire che parole di protesta, anche se l’istintiva ricchezza umana di Rocco gli ha fatto sentire il valore di una particolare protesta, quella astuta, quella dei piccoli e tenaci roditori[3] contadini; e anche la disperazione implicita in ogni protesta». Acutamente osserva Franco Vitelli[4] che non è mai buon criterio pretendere da uno scrittore cose che non può darci (che nessuno può darci, aggiungo richiamando Fortini appena citato), al fine di puntare poi l’indice accusatorio sulle insufficienze ideologiche che in qualche maniera condizionerebbero gli esiti di natura estetica.

Concludo sempre con Vitelli, che rovescia l’assunto che tra Pozzanghera nera il diciotto aprile e Sempre nuova è l’alba vi sia opposizione; in realtà la seconda è la naturale evoluzione della prima.

 

[1]Carlo Muscetta,Rocco Scotellaro e la cultura dell’ «Uva puttanella», 2010, p. 21

[2]  Franco Fortini, La poesia di Scotellaro, Basilicata editrice, 1974, pp. 7 s.

[3] qui bisogna vedere una allusione alla poesia Topi e condannati

[4] Franco Vitelli, Postfazione a Tutte le poesie di Rocco Scotellaro, Oscar Mondadori 2004, p. 348

 

 

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