ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – SEMPRE NUOVA E’ L’ALBA

 LA PRIMA DI AGOSTO

a Manlio Rossi-Doria

In un momento cesserà la giostra

delle giumente bendate che trebbiano

a giri vorticosi sulle aie.

Hanno bisogno d’essere cantate

allora si mettono al trotto

e gli uomini sanno farle sognare:

 

O esauste fontane, a briglie lente,

dopo i picchi fatigati,

o amore sommo dell’uomo

un vero fratello

che scendeva da cavallo,

rimescolava invano nella ciba

d’acqua al fondo d’un’argilla

che la lunga cervice non lambiva!

O vero amore di compagni di lavoro:

ho visto un uomo dare a bere

le sue mani a una giumenta e bestemmiare!

 

A un cenno, nel momento

or rendetele franche

le giumente sulle aie

con le sacchette gonfie della biada.

Oggi nelle terre

si lavora e si fa festa

la prima di agosto

la gioia di riserva

il cibo di nascosto.

Dall’ombra dei fichi

si vede come una bandiera

sull’ultima biga.

E sono imbianchite le casine

la festa gloriosa dei santi

padri contadini.

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II ed. dicembre 1954 di E’ fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 87-8
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     La poesia «La prima di agosto», dedicata a Manlio Rossi-Doria, apre la sesta Sezione di «E’ fatto giorno», sezione che prende il titolo «Sempre nuova è l’alba» dall’ultima delle otto poesie che la compongono.
     Un filo rosso lega le poesie delle sezioni «Sempre nuova è l’alba» e «Capostorno», che la precede, formando un ordito ispirato, prevalentemente nel torno di tempo della maturazione e dell’impegno politico, amministrativo e sindacale, alla stessa condizione spirituale con cui Rocco guarda alla situazione sociale e politica; riguardo a talune poesie – si pensi a «Pozzanghera nera il diciotto aprile» e «Sempre nuova è l’alba» – il legame è particolarmente stretto, pur nell’indeterminatezza della continuità o dell’opposizione. Questa poetica è stata vista al limite tra la protesta e la rivoluzione, suscitando aspre critiche – critiche ingiuste: dove sono i poeti della rivoluzione? -. Una posizione difficile per Rocco, che, per quanto a me pare di aver capito, Carlo Levi aveva ben compreso e aveva avuto l’attenzione di non rendere subito pubbliche poesie e prose che, allora, in quel periodo, non sarebbero state capite.
     «La prima di agosto»esige una spiegazione, che attingo da una di quelle stupende pagine (54) che formano il bellissimo volume di Giovanni Battista Bronzini «L’universo contadino e l’immaginario contadino di Rocco Scotellaro».
     La poesia è formata di tre strofe, che presentano tre quadri o immagini di riferimenti etno-demologici stilizzati attraverso l’immaginario del poeta. La denominazione femminile “prima di agosto” sottende la festa del raccolto, che in varie parti d’Europa si celebrava il 1° agosto. La dedica a Manlio Rossi-Doria è significativa del nesso culturale con l’orizzonte agrario dei contadini e di Scotellaro.
     I quadri o immagini sono: 1) il sistema tradizionale di trebbiare sull’aia (trebbiatura per calpestio, di cui, forse, le generazioni più giovani ignorano l’esistenza) con le giumente, fatte girare in cerchio come in una giostra attorno al contadino, che le fa andare al piccolo trotto, cantando trezza-tre, e le fa sognare con lui. Le giumente erano bendate a evitare giramenti di testa e altri disturbi); 2) la fratellanza nel lavoro di contadini e animali (O vero amore di compagni di lavoro); 3) la festa del raccolto, che non è evasione, ma celebrazione del lavoro, perché la cultura contadina non conosce la separazione operata dalla cultura borghese tra il tempo lavorativo e quello festivo (Oggi nelle terre / si lavora e si fa festa). La bandiera issata sull’ultimo covone, in cui è riposto lo spirito del grano, riporta a un rito agrario dell’Europa naturistica tutta ammantata di verde.
     Qui si vede che la poesia di Rocco Scotellaro è tutt’altro che folclorica: la presenza delle tradizioni non è mai descrittiva, ma è la trama narrativa che reticola il sentimento del poeta, la sua visione del mondo, per cui analizzando il suo immaginario si ricostruisce il suo universo contadino e si fa storia interna della sua poesia.
     L’appellativo di “santi padri” riferito ai contadini è spiegato dal ruolo di primogeniti di cui essi si sentono investiti, come Scotellaro scrisse nel 1949, perché «il primo lavoro umano fu di sollevare una zolla, tutto venne poi da lì. Essi danno il pane, essi danno il vino. Per loro il mondo cammina. Sono consapevoli di tanto, ne sono fieri, hanno sempre l’aria paterna, anche se pregano una grazia, che non va mai loro negata». Padri della terra anche in senso religioso, che è sempre legato al senso del frutto della terra, perché «la terra è madre», cristianamente ‘madre e sposa’. E pertanto essi – Rocco se lo sentì ripetere da un vecchio contadino – «dal principio del mondo sono stati i padri operosi e buoni dell’umanità» (Per i riferimenti al rito agrario dell’Europa verde e gli scritti di Rocco Scotellaro si veda op. e luogo cit.).

 

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