ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – CAPOSTORNO

PRIMO SCOPERO

A passi volenterosi

siamo qui giunti io e te

come truppa di riserva,

compagno della Camera di Bernalda,

e possiamo solo emettere un grido.

Sperduti siamo in questo mezzogiorno

nella lunga mulattiera

cordonata da agavi sempreverdi.

E ancora dietro le agavi i padroni

puntano i fucili sulle bocche

dei foresi silenziosi come bestie.

(1947)

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II ed. dicembre 1954 di E’ fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 82
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     Il «compagno della Camera di Bernalda» al quale, col quarto verso, è dedicata la poesia, è Domenico Delicio, politico e sindacalista originario di Bernalda, eletto sindaco di Bernalda nel 1946, a ventisei anni, lo stesso anno in cui Rocco Scotellaro fu eletto sindaco di Tricarico a ventitre anni. La poesia evoca un episodio dell’ottobre 1946: quello delle raccoglitrici di olive che si riuniscono nella piana del Basento e, abbacchiato il frutto, si rifiutano di raccoglierlo minacciando di farlo marcire. Ribellandosi alla grave situazione economica in cui versava la comunità bernaldese, dovuta soprattutto ai bassi salari delle raccoglitrici di olive, si rese necessario proclamare uno sciopero a cui partecipò la totalità delle donne addette alla raccolta. Vennero occupate le terre del grande latifondista di Policoro, il barone Berlingieri. La massa degli scioperanti in corteo, giunta all’altezza del castello di Policoro, simbolo della feudalità, al grido di pane e lavoro e di giustizia e libertà, ritenne di dover occupare immediatamente il grande maniero ed issarvi una bandiera rossa. Delicio, allora sindaco di Bernalda ed a capo della manifestazione, si oppose ai manifestanti che volevano occupare il castello ed a seguito di una lunga ed animata discussione li convinse che fosse più giusto occupare le terre da rendere produttive e non issare bandiere in senso di dominio e di guerra. Ciò non bastò, tuttavia, ad evitare una presa di posizione dell’allora prefetto di Matera, che lo rimosse dalla carica di sindaco nominando al suo posto un commissario.

     La lirica, peraltro, con altre incluse in questa stessa categoria «Capostorno», forma un tassello di quel duro e unitario canto di lotta dei poveri e dei contadini. Qui è la lotta contro la sopraffazione dei padroni, che dietro siepi di agavi, che delimitano la loro “roba”, puntano i fucili sulle bocche / dei foresi silenziosi come bestie.

     Si noti l’uso del termine “agave”. Non si può escludere che Scotellaro non abbia confuso l’agave col fico d’india, che nell’immaginario collettivo è legato sia alle siepi che delimitano e proteggono i fondi dei padroni sia agli omicidi che avvengono in Sicilia. A testimonianza vale la pena citare un aneddoto, riportato nel libro di Barbera e Inglese, Ficodindia, secondo il quale Natale Gaggioli, storico fotoreporter palermitano, constatando la propensione dei grandi quotidiani a pubblicare foto di omicidi solo se sullo sfondo si intravedeva un fico d’india, se ne portava sempre uno di cartapesta nel bagagliaio dell’auto, tirandolo fuori quando arrivava sulla scena del delitto.

     Originario del Messico, il fico d’india, con incredibile anacronismo, compare sempre, assieme all’agave, altra specie messicana, negli esterni dei film sulla vita di Gesù, come elemento caratteristico della flora della Palestina.

     L’agave è cantata da grandi poeti. Cito Agave di Federico Garcia Lorca, Agave di Primo Levi, L’agave sullo scoglio di Eugenio Montale, che si possono leggere su Internet..

 

 

 

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