ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – CAPOSTORNO 

POZZANGHERA NERA IL 18 APRILE

 

Carte abbaglianti e pozzanghere nere

hanno pittato la luna

sui nostri muri scalcinati!

I padroni hanno dato da mangiare

quel giorno si era tutti fratelli,

come nelle feste dei santi

abbiamo avuto il fuoco e la banda.

Ma è finita, è finita è finita

quest’altra torrida festa

siamo qui soli a gridarci la vita

siamo noi soli nella tempesta.

 

E se ci affoga la morte

nessuno sarà con noi,

e col morbo e la cattiva sorte

nessuno sarà con noi.

I portoni ce li hanno sbarrati

si sono spalancati i burroni.

Oggi ancora e duemila anni

porteremo gli stessi panni.

Noi siamo rimasti la turba

la turba dei pezzenti,

quelli che strappano ai padroni

le maschere coi denti.

                                                             (1948)

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II ed. dicembre 1954 di E’ fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 79
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     «Pozzanghera nera il 18 aprile» è il secondo polo, con «Noi che facciamo ?» di una vivace polemica politica sull’opera di Scotellaro di ispirazione marxista e scuola comunista.
     Non solo le poesie della Sezione «Capostorno» e non solo le poesie in generale, ma anche le prose, Contadini del Sud in primo luogo, per la penna del non ancora trentenne Giorgio Napolitano, e L’Uva puttanella a cura di Mario Alicata e quindi di Alberto Asor Rosa, sono state il pretesto di una critica quasi totalmente negativa basata su elementi politici dell’opera di Scotellaro (ad esempio, la scarsa considerazione in Contadini del Sud dei contadini attivi, dei contadini rivoluzionari). Si aprì un capitolo, che non si può ignorare. Nella polemica si impegnò tutto lo stato maggiore del partito comunista del Sud e dei suoi più raffinati chierici, da Carlo Salinari a Alberto Asor Rosa a Mario Alicata, già citati, e persino a Carlo Muscetta, che peraltro per Rocco, che  definiva « ilare folletto lucano », ebbe grande ammirazione e lo aiutò molto nel fallito tentativo di pubblicare le sue poesie presso Einaudi. La polemica fece cadere sull’opera di Scotellaro un silenzio tombale durato vent’anni; da quel silenzio l’opera di Rocco emerse tuttavia per forza vitale propria e impose la sua verità. I giovani leggono Scotellaro; lo scrupolo conservativo di Rocco Mazzarone e l’acribia filologica di Franco Vitelli hanno permesso la pubblicazione di tutte le poesie; nelle Università si discutono tesi di laurea su Scotellaro poeta, saggista, amministratore; giovani studiosi, avendo deciso di studiare Scotellaro, sentono il bisogno di visitare Tricarico in lungo e in largo per «rileggere» nei luoghi cantati il canzoniere di Scotellaro; e ancora c’è in Europa chi sente il bisogno, come il prof. Allen Prowle, professore di letteratura inglese in alcune Università, di tradurre nella lingua del suo Paese le poesie di Rocco, e di presentare presso centri culturali di Londra i suoi due volumi in cui le traduzioni sono raccolte. Non posso tacere che in questa polemica si è inserito alcuni anni fa un « capostorno » – torna bene in tema questo termine scotellariano – di un libro peraltro bellissimo, dalla copertina solare, che getta un po’ di luce su quanto di meglio oggi produce il bistrattato Sud e ci fa capire in che modo, nel Sud, «il sole sorge ancora». «Il Sole sorge a Sud»  di Marina Valensise – il libro a cui alludo – è un libro che parla del Sud, e ne parla bene, contro la tendenza nazionale a parlarne male e con malevola disinformazione o esasperata parzialità, contrastata nel libro da un senso di autostima e di appartenenza. Ma su Scotellaro e anche su Tricarico l’autrice si smarrisce a causa di una totale disinformazione e dell’evidente e, mi pare, divertito pregiudizio degli scritti di Gaetano Cappelli, che sembra aver costituito la principale fonte dell’autrice.
     Già Carlo Muscetta aveva appuntato la sua critica alla poesia «Ti rubarono a noi come una spiga», al cui commento rinvio. Il pianto troppo intimista per l’amico assassinato sarebbe il limite che si esprimerebbe comprensibilmente con la poesia «Pozzanghera nera il 18 aprile». Il 18 aprile è quello del 1948, che vide la sconfitta del fronte democratico popolare costituito dal partito comunista e dal partito socialista, oltre che da altre liste minori. Per Muscetta, riferendosi appunto al senso di languore notato per «Ti rubarono a noi come una spiga», riesce comprensibile, perché preso dal panico della sconfitta, che Scotellaro invocasse soccorso a una retorica tutt’altro che contadina e sfociasse in un grido di superficiale veemenza, che nasceva in realtà come avvilito e come sommerso dal trionfo della parte politica avversa. La disperazione di Rocco, scrive Muscetta, era la disperazione di un piccolo borghese, « che eternava in duemila anni la durata di una breve sconfitta episodica » (Oggi e ancora duemila anni / porteremo gli stessi panni. /Noi siamo rimasti la turba / la turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni / la maschera coi denti ». Si tratta, per Muscetta, di violenze verbali e letterarie. ( E non vale la pena continuare a citare questa critica, su cui ha fatto giustizia il corso ultra sessantennale della storia).
     Rocco, in una lettera a Anna Botteri, la sua amica di Parma, del 19 giugno 1948, scrive: « Quelli di “Rinascita” che avevano già quasi accettato “Pozzanghera nera il 18 aprile”, la poesia, credo non l’abbiano più pubblicata. Il concetto della poesia è certamente diverso dalle verve pugilistica di questo periodo. Fa niente ». Saranno gli amici di una vita, non sopraffatti dalla cappa dell’ideologia, a dare soddisfazione a Rocco. Carlo Levi e Manlio Rossi Doria, che non avevano condiviso la scelta frontista di Rocco, apprezzarono invece la poesia per il suo valore letterario.
     La sconfitta del 18 aprile e la scelta frontista di Rocco ebbero effetti sull’amministrazione comunale eletta nel 1946, provocando le dimissioni di consiglieri indipendenti e lo scioglimento dell’amministrazione.
     Muscetta, inoltre, polemizza con la definizione di « Marsigliese contadina » attribuita da Levi alla poesia Sempre nuova è l’alba, pubblicata nella successiva sesta sezione che porta lo stesso titolo della poesia, l’ultima strofe della quale è incisa sulla tomba di Rocco (Ma nei sentieri non si torna indietro. / Altre ali fuggiranno /dalle paglie della cova / perché lungo il perire dei tempi / l’alba è  nuova, è nuova ). Muscetta sembra quasi contrappore la poesia «Noi che facciamo ?» a «Sempre nuova è l’alba». In «Noi che facciamo ?À egli sente esprimersi la forza impetuosa dei momenti epici che affiorano alla coscienza più evoluta delle masse, legge un canto bellissimo, pieno di popolare energia. Ma non gli sembra che Rocco andasse oltre, che egli avesse l’animo per innalzarsi a una “ Marsigliese contadina ”. « Una «Marsigliese» non può che esprimere una rivoluzione nella sua fase esplosiva ed espansiva, e come inno politico non può non avere estremamente chiari i motivi ideologici e di classe che guidano un popolo alla lotta in un determinato momento. Sempre nuova è l’alba [ … ] finisce là dove dovrebbe cominciare, dove il giovane poeta, piuttosto che abbandonare il capo a un idilliaco struggimento « lungo il perire dei tempi » avrebbe dovuto svolgere il concetto, rimasto generico e vago, che « nei sentieri non si torna indietro ».
     Mi piace ora citare, a conclusione di questo aspetto delle considerazioni, gli ultimi righi del saggio sui Contadini del Sud , di tono affatto opposto, e vivo e significativo, dell’ex presidente della Repubblica Antonio Segni, all’epoca ministro della pubblica istruzione nel governo Pella: «Questi contadini rivelatici da Rocco Scotellaro non sono i gretti materialisti definiti da grandi scrittori (Balzac, Maupassant insegnino). Hanno un’anima profonda; i fatti dello spirito costituiscono un elemento fondamentale della loro vita, anche se in forma ingenue, grezze e primitive. Essi sono estremamente sensibili alle qualità spirituali, alla intelligenza, alla bontà, come il fratello di Giustino Fortunato, il dr. R. Mazzarone, esercitano una profonda influenza in queste masse, fondata su motivi essenzialmente spirituali. Quando cesseremo di pensare che anche nei rapporti tra uomini (anche i rapporti produttivi) contino solo i puri calcoli economici, ci avvicineremo di più ad una realistica concezione della vita e dei compiti della società: e questo potrà salvarci dalla terza definitiva catastrofe. Manlio Rossi Doria ha compreso, ha sentito questo amore, che era il fondamento anche dell’opera di Scotellaro, e ne ha curato l’edizione e scritto una profonda prefazione, conforme allo spirito dell’A. scomparso».
      Il prof. G.B. Bronzini in «L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro» p. 77, sottolinea che il tono della poesia di Scotellaro si mantiene alto e non scade mail a livello di canzone di massa, che è invece rilevabile nella canzone composta in seguito nell’aprile del 1948, in seguito al responso elettorale, dal poeta contadino Lanfranco Bellotti, diffusasi nell’area padana e ancora conosciuta e cantata nei decenni successivi in versioni poco discoste dal testo originale del Bellotti, che si può leggere nel citato scritto dello studioso materano.

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