Rocco SCOTELLARO, LA MANDRIA TURBINAVA L’ACQUA MORTA
ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – CAPOSTORNO
LA MANDRIA TURBINAVA L’ACQUA MORTA
Che si dimena tra le foglie di granturco
e la malaria lo dissangua e beve
gli dà il colore della terra maggesata
il nodoso salariato nel suo letto.
Quanti monti si caricò sulle spalle
scendendo sulla verga alle marine,
ingiallivano le lettiere al sole,
la mandria turbinava l’acqua morta
dei pilacci maledetti.
Con la faccia alla sconfitta
La catasta di legna cruda accanto,
le galline raschiano la terra
e pendola la coda
dell’asina sul letame,
non ho visto il fiorire del tramonto
quando i cani lamentano
e la nuvola cala sull’addiaccio,
Dovè puntare i piedi alla montagna
ritornare a sentire nella morte
pungerli il granone dove nacque.
(1947)
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II ed. dicembre 1954 di E’ fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 76
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Le liriche «La mandria turbinava l’acqua morta» con «Novena per giugno», «Primo sciopero», «Topi e condannati», che seguono in questa Sezione «Capostorno» (e altre non comprese nella Raccolta «E’ fatto giorno»), lette di seguito, formano un duro e unitario canto di lotta dei poveri e dei contadini contro le avversità della natura e le malattie che trasmette, e l’incerta sopravvivenza.
Con la lirica «La mandria turbinava l’acqua morta», la malaria è la configurazione della percezione della mancanza, che ha colpito il salariato, il quale «non ha visto il fiorire del tramonto / quando i cani lamentano / e la nuvola cala sull’addiaccio, vv. 15-17».
Il titolo si potrebbe ridurre a una parola “Mal aria”), una grave malattia endemica che si credeva che venisse contratta dai miasmi malsani emanati dalle acque stagnanti delle paludi. Credenza che si rinnova nei versi 8 e 9 «La mandria turbinava l’acqua morta / dei pilacci maledetti». La malattia, per il vero, veniva contratta per la puntura di zanzare ad attività crepuscolare-notturna del genere Anopheles; peraltro le zone acquitrinose e paludose sono infestate di zanzare.
La malaria si trasmette tramite punture di un insetto che abbia punto una persona malata. Una volta che i parassiti sono entrati nel sangue raggiungono il fegato e si moltiplicano. Nel giro di pochi giorni migliaia di parassiti vengono rilasciati dal fegato nel sangue, dove distruggono i globuli rossi (e la malaria lo dissangua e beve, v. 2). La malattia, che si presenta con febbre molto alta, mal di testa, tensione di muscoli nucali (il nodoso salariato nel suo letto, v.4) brividi e sudorazione, talvolta nausea, vomito e diarrea, interrompe l’afflusso di sangue agli organi vitali e rende la pelle di colore giallo grinzoso, come incartapecorito (gli da il colore della terra maggesata, v. 3) può diventare rapidamente pericolosa per la vita. Si curava col chinino, che si vendeva persino nelle tabaccherie, che avevano esposta l’insegna «Qui si vende Chinino di Stato). Ricordo che il chinino era diventato un’ossessione: a ogni starnuto, sbucciatura di ginocchio, mal di testa o di pancia, mia madre ci somministrava il chinino.
L’eradicazione della malattia si ottiene con l’interruzione della catena anofele-soggetto malato. In Italia il risultato si è ottenuto negli anni Cinquanta e non so dire se Rocco Scotellaro abbia potuto averne piena percezione. Per quanto mi riguarda, ricordo di essermi occupato, come funzionario all’epoca del ministero della sanità, della revoca della dichiarazione di zona ad endemia malarica del Basso Ferrarese.
Il ‘nodoso salariato’, per la febbre si dimena tra le foglie di granturco (v. 1). Il verso meriterebbe una spiegazione: i giacigli erano formati di sacchi di tela grezza riempiti di foglie di granturco (il saccone) o di semplici foglie di granturco stese per terra.
Il poeta ricorda la dura vita del salariato con le molte transumanze (scendendo sulla verga alle marine v. 6), passando per i “pilacci maledetti” (fontane con vasca lungo i tratturi per l’abbeveramento degli animali, con acqua stagnante intorno). La verga è il bastone o il ramo con cui guida il gregge e s’appoggia: Guida la greggia a i paschi e la riduce / Con la povera verga al chiuso ovile (T. Tasso, La Gerusalemme Liberata, canto VII, 18).
Tutto intorno aria di desolazione: il salariato ha la faccia volta alla soffitta, la catasta di legna accanto, le galline che raschiano la terra e l’asina che pendola la coda sul letame.
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