ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – CAPOSTORNO

 

TI RUBARONO A NOI COME UNA SPIGA

Vide la morte con gli occhi e disse:

Non mi lasciate morire

con la testa sull’argine

della rotabile bianca. Non passano che corriere

veloci e traini lenti

ed autocarri pieni di carbone.

Non mi lasciate con la testa

sull’argine recisa da una falce.

Non lasciatemi la notte

con una coperta sugli occhi

tra due carabinieri

che montano di guardia.

Non so chi m’ha ucciso

portatemi a casa, i contadini come me

si ritirano in fila nelle squadre

portatemi sul letto

dov’è morta mia madre.

Lungo è aspettare l’aurora e la legge,

domani anche il gregge

fuggirà questo pascolo bagnato.

E la mia testa la vedrete, un sasso

rotolare nelle notti

per la cinta delle macchie.

Così la morte ci fa nemici!

Così una falce taglia netto!

(Che male vi ho fatto?)

Ci faremo scambievole paura.

Nel tempo che il grano matura

al ronzare di questi rami

avremmo cantato, amici, insieme.

E il vecchio mio padre

non si taglierà le vene

a mietere da solo

i campi di avena?

(1948)

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II ed. di E’ fatto giorno con
10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 72-3
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     La poesia rievoca un fatto realmente accaduto: l’assassinio di un giovane amico di Rocco, vicino di casa, che aveva all’incirca la sua età. Scendeva in bicicletta, di ritorno dalla campagna, nella discesa della Serra verso Tricarico, davanti, alla curva della Pietra; lo procedevano a piedi un gruppo di ragazze contadine,  qualcuna portava la falce. Quando le raggiunse avvenne la tragedia, ebbe la testa mozzata da un colpo di falce. Non racconto altro, perché non è giusto ricordare questa tragedia che si confonde nel fumo di lontanissimi ricordi.
    Questa lirica è stata oggetto della polemica politica che investì la poesia (e l’opera) di Scotellaro. Carlo Muscetta (in Rocco Scotellaro e la cultura dell’uva puttanella, Girasole edizioni, Valverde 2010, p. 21), riconosce a Scotellaro di aver saputo comporre una poesia originale per il giovane amico assassinato: iterazioni, assonanze, rime casuali, l’uso sobrio e necessario di voci e locuzioni che sanno di dialetto, tutto risponde a un disegno semplice, a un sentimento casto d’amore per la vita, all’orrore della morte. Ma già nel senso di languore che si intonava misuratamente a una lirica tanto ispirata, secondo Muscetta, affiora il limite del fiato poetico di Rocco. Troppo intimista il pianto per l’amico assassinato. Limite, questo, che si esprimerebbe comprensibilmente con la poesia «Pozzanghera nera il 18 aprile», pubblicata alcune pagine avanti in questa Sezione. Per Muscetta, che si riferisce appunto al senso di languore notato per la morte dell’amico, riesce comprensibile, perché preso dal panico della sconfitta, che Scotellaro invocasse soccorso a una retorica tutt’altro che contadina e sfociasse in un grido di superficiale veemenza, che nasceva in realtà come avvilito e come sommerso dal trionfo della parte politica avversa.
 

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