ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – NEVE

GIA’ SI SENTONO LE MELE ODORARE

Già si sentono le mele odorare

e puoi dormire i tuoi sonni tranquilli,

non entra farfalla,

a prendere il giro attorno al lume.

Ma non ho mai sentito tante voci

insolite salirmi dalla strada

i giorni ultimi di ottobre,

la sorella mi cuciva le giubbe

ed io dovevo andarmene a studiare

nella città sconosciuta!

E mi sentivo l’anima di latte

alle dolci parole dei compagni

rimasti soli e pudichi alle porte.

 

Ora forse devo andarmene zitto

senza guardare indietro nessuno,

andrò a cercare un qualunque mestiere.

Qui uno straccio sventola sui fili

e le foglie mi vengono a cadere

dalle mele che odorano sul capo.

                                                          (1947)

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II ed. dicembre 1954 con 10 Tavole
di Aldo Turchiaro, p. 60
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«Già si sentono le mele odorare». L’odore delle mele che alla fine dell’estate si diffondeva nelle case dai solai, da sotto i letti, dove erano poste a maturare, quando le falene (le palombelle, le colombe della sera) non girano più attorno al lume a bruciarsi le ali, è il segno di un radicale cambio di tempo e di vita: la vacanza è finita, il padre prepara il bagaglio, la sorella «cuciva le giubbe» per la partenza  a studiare nella « città sconosciuta».

«Il Tempo delle mele», tempo del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, è il titolo di un film francese del 1980, diretto da Claude Pinoteau, che ebbe uno straordinario successo di pubblico in tutto il mondo e rappresentò l’esordio cinematografico di Sophie Marceau, protagonista nel ruolo di una studentessa tredicenne. Il titolo originale del film è «La Boum», la Festa. Si può escludere che il titolo della poesia di Scotellaro non abbia ispirato il titolo della versione italiana del film?

Carlo Muscetta (Rocco Scotellaro e la cultura dell’ «Uva puttanella – con carteggio inedito -, Il Girasole Edizioni, Valverde (CT), 2010, p. 23 s.), richiamando un passo di Leonardo Sinisgalli («Le cotogne sulfuree spiccavano contro il cielo bigio, le cotogne che sono il frutto del sonno, così gonfie e di un colore così irreale, quasi saturnino, le cotogne che tardano a maturare come il sonno che tarda a venire e assorbono dalla terra un succo amaro e intenso, l’umore potente della terra adulta»), sostiene che il momento poetico di Rocco è in questa lirica «nuova benché la memoria elegiaca dell’infanzia fosse un tema sfruttatissimo dai testi che egli aveva più letti (e non aveva certo dimenticati le «cotogne sulfuree» che col loro «colore saturnino» sembravano a Sinisgalli il «frutto del sonno» e gli ispiravano una pagina di nostalgia mortale per il cimitero di Montemurro»). E si chiede «Ma perché questi temi diffusi nella letteratura dei nostri anni, condannata ai «calzoni corti» dagli stessi miti del decadentismo che l’avevano sollevata, divenivano per Rocco una sorgente viva di poesia?» La risposta è che « Egli li riviveva in una situazione diversa, drammatica. La famiglia, la società lo volevano maturato, indurito alle necessità e alle lotte ed egli non si sentiva abbastanza adulto ». (E mi sentivo l’anima di latte / alle dolci parole dei compagni /rimasti soli e pudichi alle porte ).

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