ROCCO SCOTELLARO – E’ FATTO GIORNO – NEVE

NEL TRIGESIMO DI MIO PADRE

In quei viottoli neri

una serata di queste,

sedevano le famiglie dopo cena

ai gradini delle porte,

contavano i defunti e i nati

dell’estate che correva.

E il contadino tardo che trascorse

per i monti sul mulo

con l’ultimo raccolto

passava salutando i suoi compari.

Una porta era deserta

del compare scomparso un mese fa.

(1942)

_______________________________
II ed. dicembre 154
con 10 Tavole di Aldo Turchiaro, p. 59
_______________________________

 

” Nel trigesimo di mio padre” è la quarta lirica della Sezione “Neve” dedicata al padre. L’efficacia veristica della scena sembra essere proprio di ambientazione malavogliesca (GB. Bronzini, «L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro», Dedalo, Bari, 1978, pp. 64 – 75). La scena è delle famiglie del vicinato riunite. « Stesso ritmo e stessa atmosfera di questi due passi:

“ Era una bella sera di primavera col chiaro di luna per le strade e nel cortile, la gente davanti agli usci. […]. Ora non si vedrà più il lume di compar Alfio alla sera, – disse Nunziata, – e la casa rimarrà chiusa

[…] Una sera si fermò sulla strada del Nero Alfio Mosca, col carro, che ci aveva attaccato il mulo adesso, […]. quando stavamo a chiacchierare da un uscio all’altro, e c’era la luna e i vicini discorrevano lì davanti; […]».

« Il vicinato è quel ristretto spiazzo simmetrico in cui si consuma la propria vita di fanciulli. Con esso si misura nel ricordo la propria condizione attuale. Scotellaro vi si riconosce vinto con « le carni verdi del fanciullo battuto » in «Storiella del vicinato» (poesia compresa nella Sezione «Verde nasce», che è tutta imperniata su questo amaro confronto.

     « Il vicinato, che da ambito spaziale diventa istituto sociale con le sue norme, le sue tensioni e la sua funzione di comunicazione interna, ricorre come motivo formulare nelle serenate tradizionali lucane («Mi part da luntane e da Cusènz, / veng a cantà nda stu vicinanz») e con la stessa funzione ricade nel racconto de L’Uva puttanella:

« Andò alla finestra: Vicini che dormite, risvegliatevi Ho contrattato di vendere, ho già venduto L’ultima figlia mia, risvegliatevi Bella nottata fresca, Francesca se ne va. « Erano parole che uscivano tra le corde.

« I compari del vicinato vennero e le canzoni del fabbro, fatte più allegre e piccanti, durarono fino al mattino. » (Rocco Scotellaro, «L’uva puttanella – Contadini del Sud», ed. 2000, p. 12)

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.