ROCCO MAZZARONE E … LA DIFESA CIVICA

Da miei vecchi incartamenti che sto selezionando per la raccolta differenziata con l’obiettivo di recuperare più spazio possibile (insomma: delle vecchie cartacce non m’importa nulla) è venuto fuori lo «sbobbinato» di un mio vecchio intervento pronunciato a braccio a un Convegno nazionale dei difensori civici che si tenne a Matera nel mese di marzo 2007, di cui mi ero del tutto dimenticato.
Io ero difensore civico della regione Emilia-Romagna, e l’organizzatore del convegno, il sen. Silvano Micele, difensore civico pro-tempore della Basilicata, mi chiese di partecipare alla tavola rotonda conclusiva del convegno.
Avevo deciso di trattare il tema «difesa civica e tributi regionali e locali», sul quale coltivavo un pensiero minoritario, e avevo consegnato una relazione scritta, pubblicata agli atti del convegno.
Avuta la parola, sul tema della difesa civica in relazione ai tributi mi limitai ad enunciare in nucleo essenziale della mia tesi, rimettendomi quindi alla relazione agli atti, e parlai dei due Rocco (e d’altro che qui non interessa dire). Per il motivo che tra poco dirò, decido ora di aggiungere alle bagatelle di questo blog la parte dello «sbobbinato» concernente tale divagazione.

 

« Il mio intervento sarà sobriamente extravagante, perché la ragione per la quale ritengo che Silvano Micele, che ringrazio moltissimo, mi ha invitato a partecipare a questa tavola rotonda è che io sono di Tricarico, un paese lucano che ai miei tempi distava da Matera circa 70 chilometri e ora, pare, meno della metà.
Un’ora e mezzo col postale della SITA attraverso un tratto dell’Appennino lucano della romana via Appia, che noi, senza alcuna ironia, chiamavamo Via Nuova. Il postale congiungeva Matera a Potenza, e viceversa, con una sola corsa giornaliera, attraversando quattro Paesi, che dominano dall’alto la valle del Basento.
Miglionico, dove sono le origini della famiglia del ministro degli esteri. Diversi D’Alema, prima e dopo l’Unità, ne sono stati sindaci. L’ultimo sindaco D’Alema continuò per un anno ad amministrare il comune come podestà.
Grottole, recentemente balzato alla notorietà per merito di un felice romanzo, forse un capolavoro, di Mariolina Venezia, Sono mille anni che sto quì, edito da Einaudi, che narra la saga di una famiglia grottolese dal 1860 alla caduta del Muro di Berlino. «Non è facile raccontare questa storia – scrive Mariolina Venezia – a chi non conosce la valle del Basento, il cielo celeste come i colori a matita dei bambini, i pendii che il grano rende verdi a primavera e gialli d’estate, i fuochi nelle stoppie, i tralicci per l’estrazione del petrolio, i paesi agonizzanti sulle colline, il volo del nibbio».
Pagine indimenticabili di letteratura e poesie, tra le più alte e significative del nostro tempo, come autorevolmente le giudicò Eugenio Montale, accompagnano il resto del percorso.
A Grottole segue Grassano, sede dei primi due mesi del confino di Carlo Levi, al quale soggiorno sono dedicate le prime pagine del Cristo si è fermato a Eboli.
Da Grassano, appena si scende con rapidi tornanti dall’alta collina dove il paese si stende come «morbide trecce» (è ancora da una poesia di Scotellaro che cito) ci si avvia verso Tricarico, lambendo un campo con una pompa di benzina, che fu la Repubblica di Michele Mulieri, figlio del Tricolore. sofferente di dolori burocratici, una delle cinque vite di contadini narrate da Rocco Scotellaro nei «Contadini del Sud». Ogni squarcio di paesaggio ritorna nelle poesie di Rocco Scotellaro, o nelle pagine dell’«Uva puttanella», le sue due opere in prosa. Ritorna il brigantaggio «Spuntano ai pali ancora le teste dei briganti/ e la caverna, l’oasi verde della triste speranza/ lindo conserva un guanciale di pietra»: versi da una poesia di Scotellaro, che Carlo Levi ha definito La Marsigliese contadina.
Alle porte di Potenza c’è Serra di Vaglio e dei suoi scavi, alle porte di Potenza, dove è stato rintracciato l’antenato dei lucani in un anfratto della possente fortificazione che per chilometri chiudeva ad anello tutto l’abitato. Un antenato ricco e potente che rivoluzionò teorie e credenze sull’ancestrale miseria dei Lucani, dice Trufelli, lasciandomi perplesso, anche se ho letto con piacere sulla Garzantina che il livello medio del reddito regionale, metà di quello lombardo, è tra i più alti delle regioni meridionali.
 Tricarico, il mio paese, è il paese di Rocco Mazzarone, cittadino onorario di Matera, e di Rocco Scotellaro, al quale, a poche decine di metri dal luogo dove ci troviamo, Matera ha dedicato una via.
Rocco Scotellaro nacque undici anni dopo Rocco Mazzarone. Quando il passaggio del tempo abbatté velocemente, per la precocità del più giovane Rocco, la barriera dell’età, l’incontro dei due Rocco fu uno scoppio, lo scoccare di una scintilla, di una fiamma che tuttora arde. Io ho avuto la fortuna di assistere allo scoccare di questa scintilla e di essere amico di entrambi. Troppo breve l’amicizia con Rocco Scotellaro morto a 30 anni, 53 anni fa. Fortunatamente lunghissima quella con Rocco Mazzarone, un saggio vegliardo, morto da poco più di un anno.  La nostra amicizia è cresciuta col tempo. Il telefono ha annullato la distanza, negli ultimi decenni le nostre conversazioni telefoniche erano lunghe, frequenti e faticose, quando le sue parole, che sono sempre state pietre, rotolavano con crescente lentezza, i suoi occhi si riempivano di ombre, il respiro diventava più ansimante. Ma, al di là del piacere della compagnia, sia pure a 800 chilometri di distanza, grande era la voglia di Mazzarone di confrontarsi, con intatta incredibile freschezza di energie intellettuali e vivacità di interessi.
 In Emilia-Romagna l’ufficio del difensore civico era vacante da alcuni mesi, per la legge del divieto della prorogatio l’attività era interrotta e c’erano problemi, che ignoro nei dettagli, per la nomina del nuovo difensore civico.
Io non ero tra i concorrenti. Una sera mi venne fatta telefonicamente la proposta della candidatura, perché, mi dissero, che sul mio nome, fatto in conversari dell’ultima ora, la situazione s’era sbloccata. Fui colto di sorpresa, non mi sentivo spiritualmente pronto, e mi riservai di dare una risposta. Mi pregarono di rivederci l’indomani.
Telefonai subito a Rocco Mazzarone, con la scusa di un consiglio sanitario, giacché lui era medico. Io abito a Ferrara, gli inverni emiliani sono lunghi, freddi e nebbiosi, ho una certa età e non floride condizioni di salute. Avevo paura di tornare a fare il pendolare da Ferrara a Bologna, cosa che avevo fatto per una vita.
Mazzarone mi disse che lo stress fisico mi avrebbe fatto bene e volle sapere cos’è questo difensore civico. Glielo spiegai come mi riuscii di farlo. Naturalmente egli capì tutto, anche quello che io non sapevo. E’ un servizio delicato e utile, mi disse. Impegnati. Serve a contribuire a dare un volto amico alla pubblica amministrazione, a stabilire un rapporto di amicizia tra essa e i cittadini. Non basta la preparazione. Servono umiltà nel capire le situazioni e mitezza nell’esercizio della funzione. Non basta stimolare buone pratiche, bisogna scoprile e farle emergere. Serve libertà interiore più che autonomia per essere veramente al di sopra delle parti. Al di sopra dell’amministrazione e del cittadino. Perché burocrazia è una termine che ingiustamente ha una valenza esclusivamente spregiativa, ma bisogna avere discernimento. Non sapeva, dicendomi questo, che stava ripetendo un pensiero del grande Massimo Severo Giannini, che si può leggere nel suo Diritto amministrativo.
Il mio programma di difensore civico era così delineato e l’indomani accettai l’incarico ».

 

 

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