Le dimissioni di Scotellaro nel libro “Il prezzo della libertà” e il vescovo Delle Nocche
Le dimissioni di Scotellaro nel libro «Il prezzo della libertà» e il vescovo Delle Nocche
Il libro a cura di Pasquale Doria commenta le dimissioni da Sindaco di Rocco Scotellaro nel 1948 con impareggiabile tecnica di confusione e mistificazione di fatti e logica.
Il commento, ignorando il contesto storico delle dimissioni, commenta non sapendo che cosa, per addossare la responsabilità, come si vedrà, al vescovo delle Nocche con un racconto che ricorda la favola del lupo e dell’agnello.
Le dimissioni le spiega lo stesso Scotellaro con poche e semplici parole: «Sono sindaco dal 1946. Dopo il 18 Aprile le dimissioni dei repubblicani e indipendenti riducevano il gruppo di sinistra e l’amministrazione era sciolta» (Carlo Muscetta, Rocco Scotellaro e la cultura dell’Uva puttanella, in Omaggio a Scotellaro, Lacaita editore, Manduria, 1974). Scotellaro allude al 18 aprile del 1948, una data cruciale nella storia repubblicana, ma che in altre parti del libro rischia di spostarsi in avanti al 1952. Rocco si era schierato, prendendo parte attiva allo storico scontro elettorale, per il Fronte popolare, che uscì pesantemente sconfitto, mentre consiglieri repubblicani e indipendenti della sua stessa maggioranza, avevano compiuto la scelta opposta e, pertanto, rassegnarono le dimissioni da consiglieri comunali. Il collante politico della giunta Scotellaro si era sciolto e le dimissioni del Sindaco furono inevitabili.
Con un salto logico e cronologico la responsabilità delle dimissioni di Scotellaro, avvalendosi della relazione di uno zelante funzionario della prefettura di Matera, dal Doria è invece addossata alla manovre da politicante «di vecchia data» del Vescovo Delle Nocche, «padrone di vaste terre in provincia e fuori» che «dirige[va] le fila (dell’opposizione) aiutato nel compito da un astutissimo segretario», da individuare nel vicario generale mons. Pietro Mazzilli. La relazione è del dott. Vincenzo Macioce e porta la data del 29. 9. 1946. Le elezioni del Consiglio comunale si tennero a Tricarico 21 giorni dopo, il 20 ottobre, con la vittoria della lista capeggiata dal giovanissimo Rocco Scotellaro. La quale lista, politicamente, non fu una lista di sinistra, in quanto ne facevano parte esponenti repubblicani e indipendenti (qualcuno di essi si qualificava liberale). A maggio del 1947, con la formazione del IV Governo De Gasperi, il PCI e il PSI furono espulsi dal governo, determinandosi quindi una rottura politica durata mezzo secolo. I conti furono saldati con le elezioni del 18 aprile 1948, producendo inevitabili effetti anche all’interno della maggioranza che aveva eletto Scotellaro sindaco, dove scoppiarono le contraddizioni e alcuni consiglieri uscirono dal consiglio comunale. Scotellaro trasse le conseguenze e, con le sue dimissioni, determinò lo scioglimento della giunta.
Tanto per precisare.
Ora alcune repliche, che sono eventualmente in grado di motivare con prove documentali.
1. Il Venerabile Vescovo delle Nocche non possedeva vaste terre in provincia e altrove. Egli apparteneva a una famiglia benestante del napoletano e durante il lungo suo ministero episcopale nella diocesi di Tricarico, vendette alcune proprietà per far fronte alle necessità delle sue straordinarie opere benefiche.
2.L’era fascista si è svolta interamente quando egli era vescovo di Tricarico, essendo stato nominato Vescovo qualche mese prima della marcia su Roma. I tricaricesi hanno conosciuto il suo operato e di esso sono consultabili inconfutabili documenti. L’aspirazione più profonda del Vescovo fu il bene delle anime affidate alle sue cure spirituali, ideale al quale, nella sua scala di valori, tutto doveva essere subordinato. Sapeva però che l’uomo si salva nella storia, vivendo la sua appartenenza alla città terrena con tutte le implicazioni e le responsabilità che questo comporta. Delle Nocche non fu fervente fascista al punto da essere proposto per una medaglia come benemerito del regime e svolse un ruolo attivo nello scontro tra la Chiesa Italiana e il regime fascista sull’educazione dei giovani.
3. Per inquadrare la relazione del commissario prefettizio Macioce, passo in rapida rassegna le vicende dell’amministrazione del comune di Tricarico dalla caduta del fascismo. Ricopriva allora la carica di podestà il perito agrario Tommaso Gigli. Una legge transitoria pose fine al regime podestarile fascista con un regime di sindaci e giunte di nomina prefettizia. La prima giunta fu quella dell’avv. Carlo Grobert. Ad essa seguì la giunta di Vito Brandi. Con la crisi di questa, si susseguirono nell’amministrazione del Comune, dal gennaio 1946, tre commissari prefettizi: i primi due furono tricaricesi (Nunzio Riccardi e Nicola Toscano), il terzo, in vista delle elezioni, che, come ho già detto, si tennero il 20 ottobre 1946, fu il citato funzionario di prefettura dott. Vincenzo Macioce. Allora i prefetti erano di nomina politica e il prefetto di Matera, Aurelio Ponte, fu di spettanza comunista, che, in vista delle elezioni, sostituì il commissario Nicola Toscano con un suo funzionario. Non erano tempi facili, quelli. Il dott. Macioce tre anni prima andava in prefettura in camicia nera e, quando conferiva col prefetto, batteva i tacchi e si irrigidiva nel saluto fascista; tre anni dopo doveva dar conto a un prefetto comunista. Non c’è quindi da sorprendersi se, a tre settimane dalle elezioni, ebbe lo zelo di inviare al suo prefetto una relazione che metteva le mani avanti per giustificare l’eventuale sconfitta della lista gradita al prefetto stesso, addossando la colpa al vescovo con quella verve anticlericale che, egli immaginava, a S.E. il compagno prefetto sarebbe stata gradita.
4.Chiudo ricordando che Scotellaro nei «Contadini del Sud» parla del vescovo Delle Nocche come di «uno dei vescovi moderni che attivizza il clero della diocesi e lo impegna in istituzioni benefiche, dagli asili ai mendicicomi e manda in Italia e all’estero fino in Brasile le Suore di Gesù Eucaristico, congregazione da lui creata. A Tricarico ha dato muri nuovi e impianti moderni alla vecchia casa vescovile, ai monasteri di Sant’Antonio e di Santa Chiara già morti ruderi per colombi e cornacchie, ora squillanti di campanelli elettrici e voci femminili delle suore, delle convittrici del magistrale parificato, delle allieve delle scuole di taglio e di cucito e di ricamo e ha dato energia, gentilezza ed eleganza ai sacerdoti, sebbene molti di questi, i vecchi, ancora impenetrabili come contadini, altri, i giovani, diplomatici e faziosi».
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